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mercoledì 31 ottobre 2007

Opportunità pastorale


By Sherif El Sebaie on Religioni










Qualcuno sottolinea malignamente che nella "ricorrenza non casuale della marcia su Roma e dell'avvento del fascismo" e cioè ieri, la Chiesa Cattolica ha beatificato - come preannunciato e nonostante le polemiche - tutti insieme 498 martiri franchisti, ponendoli sul percorso di una possibile santificazione. Con questa azione, la Chiesa ha rievocato in modo dirompente i ricordi di un conflitto che ancor oggi divide la Spagna. Molti di quelli dichiarati martiri erano infatti preti e suore uccisi da militanti di sinistra nell'escalation della guerra fra 1936 e 1939, poiché accusati di essersi schierati con Francisco Franco nel conflitto, scoppiato dopo un colpo di Stato del generale contro il governo di sinistra della Repubblica spagnola e la sua ascesa al potere come dittatore. "La gerarchia della Chiesa Cattolica sta perdendo un'occasione per riconoscere pubblicamente le sue responsabilità nel sostegno al golpe militare di Franco ed alla sua dittatura", ha detto l'Associazione per la Memoria Storica, che ricerca fosse comuni in cui si trovano vittime delle forze di Franco. La Chiesa, invece, insiste sul fatto che una cerimonia religiosa non va confusa con una dichiarazione politica.



Continua cliccando sul titolo.

Opportunità pastorale


By Sherif El Sebaie on Religioni










Qualcuno sottolinea malignamente che nella "ricorrenza non casuale della marcia su Roma e dell'avvento del fascismo" e cioè ieri, la Chiesa Cattolica ha beatificato - come preannunciato e nonostante le polemiche - tutti insieme 498 martiri franchisti, ponendoli sul percorso di una possibile santificazione. Con questa azione, la Chiesa ha rievocato in modo dirompente i ricordi di un conflitto che ancor oggi divide la Spagna. Molti di quelli dichiarati martiri erano infatti preti e suore uccisi da militanti di sinistra nell'escalation della guerra fra 1936 e 1939, poiché accusati di essersi schierati con Francisco Franco nel conflitto, scoppiato dopo un colpo di Stato del generale contro il governo di sinistra della Repubblica spagnola e la sua ascesa al potere come dittatore. "La gerarchia della Chiesa Cattolica sta perdendo un'occasione per riconoscere pubblicamente le sue responsabilità nel sostegno al golpe militare di Franco ed alla sua dittatura", ha detto l'Associazione per la Memoria Storica, che ricerca fosse comuni in cui si trovano vittime delle forze di Franco. La Chiesa, invece, insiste sul fatto che una cerimonia religiosa non va confusa con una dichiarazione politica.



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Ti segnalo il video all'indirizzo:


http://www.video.mediaset.it/video.html?sito=matrix&data=2007/10/29&id=2243&categoria=servizio&from=matrix


Al numero 5 della serie "preti e amore" trovi la storia di D.Gelmini.

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Al numero 5 della serie "preti e amore" trovi la storia di D.Gelmini.

La città del fiore


Domenica 4 novembre 2007, anniversario dell'alluvione, alle ore 10,15 in via degli Aceri 1 a Firenze, alle "Baracche",  sarà presentato il libro "La città del fiore" che contiene una favola scritta da Enzo Mazzi e magicamente illustrata dall'artista curdo Fuad Aziz, pubblicata dalla Regione Toscana per trasmettere alle  generazioni più giovani la memoria dell'alluvione del 1966.


L’incontro sarà introdotto da Claudia Daurù della Comunità dell’Isolotto. Parteciperanno Paolo Cocchi, Assessore alla Cultura della Regione Toscana e Simonetta Soldani, docente si storia contemporanea all’Università di Firenze. Saranno presenti gli autori e i Presidenti del Consiglio del Q4 e del Consiglio Comunale. I bambini della Comunità leggeranno brani del libro, mentre su uno schermo saranno proiettate le immagini di Fuad. Ai presenti sarà offerta una copia del libro.


Un secondo incontro di presentazione, specificamente per alunni, insegnanti e genitori, si farà lunedì 5 novembre 2007 al mattino nella Scuola elementare della Montagnola in via G. da Montorsoli 1 Firenze. Leggerà la favola l'attore Antonio Masi.


*********


Ad ogni anniversario dell'alluvione si moltiplicano le iniziative, convegni, pubblicazioni, mostre, manifestazioni. In questi quarant’anni però ci sembra che non ci sia traccia di una iniziativa specifica per favorire la trasmissione della memoria alle nuove generazioni e in particolare ai bambini.


Per questo la Regione Toscana e la Comunità dell’Isolotto hanno preso l’iniziativa di pubblicare una favola magicamente illustrata dall’artista curdo Fuad Aziz, scritta da Enzo Mazzi, intitolata "La città del fiore", da diffondere nelle scuole e per quanto è possibile anche nelle famiglie.


L’intento era ed è quello di trasmettere con modalità e linguaggi rispettosi delle modalità di apprendimento, della fantasia e creatività dei bambini non solo la memoria dell’evento drammatico ma quella della straordinaria esperienza che si sviluppò nei quartieri fiorentini invasi dall'acqua e dal fango. La violenza della natura fu vinta ancora una volta dalla colomba e dall'arcobaleno, come nel mito del diluvio; fu vinta cioè dal volo alto dell'iniziativa di base e dall’inarcarsi tutti insieme dei cittadini, dal dispiegarsi della solidarietà popolare, dall'integrazione feconda fra realtà sociali e fra persone di aree ideologiche e culturali diverse. Non fu però un fatto isolato: si intrecciava con grandi trasformazioni culturali a livello mondiale e si legava ad importanti tappe della storia recente della città. La liberazione di Firenze, le prime giunte comunali, la stagione politica lapiriana, le lotte operaie degli anni 50-60, l'alluvione e i Comitati di quartiere, le scuole popolari, le mobilitazioni per la pace e per un "nuovo mondo possibile" sono tante radici di un'unica trama storica animata dai valori, dall'intelligenza, dalla cultura popolare della gente dei quartieri fiorentini. E’ questa trama positiva che anche i bambini devono conoscere con le modalità che sono loro proprie. Non la solidarietà come eccezione favorita da eventi drammatici, ma la solidarietà come trama profonda della vita e della storia.


E non si tratta solo di trasmettere memoria ma di intrecciarla col presente e di favorire un’apertura delle coscienze infantili ai temi della solidarietà, del protagonismo di base, del rapporto di autonomia critica rispetto ai condizionamenti dello sconfinato egoismo individuale senza prospettive né speranza.


                                                                               La Comunità dell'Isolotto


 


 

La città del fiore


Domenica 4 novembre 2007, anniversario dell'alluvione, alle ore 10,15 in via degli Aceri 1 a Firenze, alle "Baracche",  sarà presentato il libro "La città del fiore" che contiene una favola scritta da Enzo Mazzi e magicamente illustrata dall'artista curdo Fuad Aziz, pubblicata dalla Regione Toscana per trasmettere alle  generazioni più giovani la memoria dell'alluvione del 1966.


L’incontro sarà introdotto da Claudia Daurù della Comunità dell’Isolotto. Parteciperanno Paolo Cocchi, Assessore alla Cultura della Regione Toscana e Simonetta Soldani, docente si storia contemporanea all’Università di Firenze. Saranno presenti gli autori e i Presidenti del Consiglio del Q4 e del Consiglio Comunale. I bambini della Comunità leggeranno brani del libro, mentre su uno schermo saranno proiettate le immagini di Fuad. Ai presenti sarà offerta una copia del libro.


Un secondo incontro di presentazione, specificamente per alunni, insegnanti e genitori, si farà lunedì 5 novembre 2007 al mattino nella Scuola elementare della Montagnola in via G. da Montorsoli 1 Firenze. Leggerà la favola l'attore Antonio Masi.


*********


Ad ogni anniversario dell'alluvione si moltiplicano le iniziative, convegni, pubblicazioni, mostre, manifestazioni. In questi quarant’anni però ci sembra che non ci sia traccia di una iniziativa specifica per favorire la trasmissione della memoria alle nuove generazioni e in particolare ai bambini.


Per questo la Regione Toscana e la Comunità dell’Isolotto hanno preso l’iniziativa di pubblicare una favola magicamente illustrata dall’artista curdo Fuad Aziz, scritta da Enzo Mazzi, intitolata "La città del fiore", da diffondere nelle scuole e per quanto è possibile anche nelle famiglie.


L’intento era ed è quello di trasmettere con modalità e linguaggi rispettosi delle modalità di apprendimento, della fantasia e creatività dei bambini non solo la memoria dell’evento drammatico ma quella della straordinaria esperienza che si sviluppò nei quartieri fiorentini invasi dall'acqua e dal fango. La violenza della natura fu vinta ancora una volta dalla colomba e dall'arcobaleno, come nel mito del diluvio; fu vinta cioè dal volo alto dell'iniziativa di base e dall’inarcarsi tutti insieme dei cittadini, dal dispiegarsi della solidarietà popolare, dall'integrazione feconda fra realtà sociali e fra persone di aree ideologiche e culturali diverse. Non fu però un fatto isolato: si intrecciava con grandi trasformazioni culturali a livello mondiale e si legava ad importanti tappe della storia recente della città. La liberazione di Firenze, le prime giunte comunali, la stagione politica lapiriana, le lotte operaie degli anni 50-60, l'alluvione e i Comitati di quartiere, le scuole popolari, le mobilitazioni per la pace e per un "nuovo mondo possibile" sono tante radici di un'unica trama storica animata dai valori, dall'intelligenza, dalla cultura popolare della gente dei quartieri fiorentini. E’ questa trama positiva che anche i bambini devono conoscere con le modalità che sono loro proprie. Non la solidarietà come eccezione favorita da eventi drammatici, ma la solidarietà come trama profonda della vita e della storia.


E non si tratta solo di trasmettere memoria ma di intrecciarla col presente e di favorire un’apertura delle coscienze infantili ai temi della solidarietà, del protagonismo di base, del rapporto di autonomia critica rispetto ai condizionamenti dello sconfinato egoismo individuale senza prospettive né speranza.


                                                                               La Comunità dell'Isolotto


 


 

lunedì 29 ottobre 2007

David Bidussa

La Chiesa si difende beatificando i martiri

In “il Secolo XIX2, 29 ottobre 2007, p. 11

 

=============================

 

Ieri, in Piazza San Pietro, Papa Benedetto XXVI ha reso effettivo quanto deciso il 27 aprile scorso al termine della LXXXIX Assemblea Plenaria della Conferenza episcopale spagnola: la beatificazione a Roma, di 498 martiri spagnoli degli anni 30, uccisi nel corso della Guerra civile per mano repubblicana. Un evento interno alla Chiesa solo in parte.

Certo la beatificazione indica un percorso in cui quei beati sono indicati come vite esemplari. La loro esemplarità non consiste, tuttavia, solo nel martirio. Nelle procedure di beatificazione, nella “fabbrica dei Santi” la regola della morte per mano nemica, per testimoniare della fede, costituisce una parte della costruzione identitaria della Chiesa. Quei martiri, tuttavia, acquistano valore non solo per le modalità o le circostanze della loro morte, ma perché individuano una geografia. Ossia non solo raccontano che cosa sia avvenuto, ma soprattutto, dove. Ed è il dove ad essere oggi prevalente. Questo indipendentemente dalla fisionomia politica del nemico (anche se poi prevalentemente nel corso del ‘900 quel nemico, nella maggior parte dei casi, si è incarnato nell’esperienza comunista).

A una prima lettura – quella più facile e per certi aspetti scontata - questa beatificazione “di massa” potrebbe essere interpretata come una scelta politica che si contrappone alla Spagna di Zapatero in nome di una Spagna tradizionale. Una scelta che nei fatti contesta e respinge quanto il parlamento spagnolo è in procinto di legiferare su proposta del governo: la legge sulla Memoria. legge che stabilisce che tutti i simboli della dittatura franchista siano rimossi dagli spazi pubblici, vie piazze, facciate delle chiese. La lettura più facile, dunque, è quella che identifica questa scelta della Chiesa come risposta speculare a quella legge.

Forse è anche così. Più profondamente ciò che quest’atto testimonia è la rivendicazione dei confini della Chiesa romana ad Ovest, ovvero in una terra che è segnata appunto dai martiri. La Spagna, dunque, come una Lepanto occidentale.

Se la memoria pubblica, più che il risultato di un ricordo, deriva da un patto in cui si riconosce ciò che è importante trasmettere alle generazioni future, allora è chiaro il senso di questa scelta: il franchismo è solo un’occasione, al più uno strumento. Il vero nodo è l’identità dell’Europa come terra di cristianità non acquisita una volta per sempre, ma ogni volta da riconfermare e da riprendere in mano. Un’identità continentale ieri minacciata in Spagna dai sostenitori della Repubblica e oggi più che dalla multiculturalità, dagli effetti indesiderati della interculturalità, vissuta come sindrome di accerchiamento. Un continente dove le pratiche dell’abbandono della Chiesa sono maggiori dei ritorni e dove improvvisamente altri “credo” rivendicano il fascino del martirio come testimonianza della forza della fede.
David Bidussa

La Chiesa si difende beatificando i martiri

In “il Secolo XIX2, 29 ottobre 2007, p. 11

 

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Ieri, in Piazza San Pietro, Papa Benedetto XXVI ha reso effettivo quanto deciso il 27 aprile scorso al termine della LXXXIX Assemblea Plenaria della Conferenza episcopale spagnola: la beatificazione a Roma, di 498 martiri spagnoli degli anni 30, uccisi nel corso della Guerra civile per mano repubblicana. Un evento interno alla Chiesa solo in parte.

Certo la beatificazione indica un percorso in cui quei beati sono indicati come vite esemplari. La loro esemplarità non consiste, tuttavia, solo nel martirio. Nelle procedure di beatificazione, nella “fabbrica dei Santi” la regola della morte per mano nemica, per testimoniare della fede, costituisce una parte della costruzione identitaria della Chiesa. Quei martiri, tuttavia, acquistano valore non solo per le modalità o le circostanze della loro morte, ma perché individuano una geografia. Ossia non solo raccontano che cosa sia avvenuto, ma soprattutto, dove. Ed è il dove ad essere oggi prevalente. Questo indipendentemente dalla fisionomia politica del nemico (anche se poi prevalentemente nel corso del ‘900 quel nemico, nella maggior parte dei casi, si è incarnato nell’esperienza comunista).

A una prima lettura – quella più facile e per certi aspetti scontata - questa beatificazione “di massa” potrebbe essere interpretata come una scelta politica che si contrappone alla Spagna di Zapatero in nome di una Spagna tradizionale. Una scelta che nei fatti contesta e respinge quanto il parlamento spagnolo è in procinto di legiferare su proposta del governo: la legge sulla Memoria. legge che stabilisce che tutti i simboli della dittatura franchista siano rimossi dagli spazi pubblici, vie piazze, facciate delle chiese. La lettura più facile, dunque, è quella che identifica questa scelta della Chiesa come risposta speculare a quella legge.

Forse è anche così. Più profondamente ciò che quest’atto testimonia è la rivendicazione dei confini della Chiesa romana ad Ovest, ovvero in una terra che è segnata appunto dai martiri. La Spagna, dunque, come una Lepanto occidentale.

Se la memoria pubblica, più che il risultato di un ricordo, deriva da un patto in cui si riconosce ciò che è importante trasmettere alle generazioni future, allora è chiaro il senso di questa scelta: il franchismo è solo un’occasione, al più uno strumento. Il vero nodo è l’identità dell’Europa come terra di cristianità non acquisita una volta per sempre, ma ogni volta da riconfermare e da riprendere in mano. Un’identità continentale ieri minacciata in Spagna dai sostenitori della Repubblica e oggi più che dalla multiculturalità, dagli effetti indesiderati della interculturalità, vissuta come sindrome di accerchiamento. Un continente dove le pratiche dell’abbandono della Chiesa sono maggiori dei ritorni e dove improvvisamente altri “credo” rivendicano il fascino del martirio come testimonianza della forza della fede.

giovedì 25 ottobre 2007

 

Comunità Isolotto


Spunti per la riflessione dell’incontro comunitario di


 domenica 28 novembre 2007


a cura del gruppo: Tina – Carmen – Luciana – Francesca .- Marco


     Per la prossima domenica proponiamo di riflettere sul significato – i contenuti – le caratteristiche – la conduzione – la prassi di questo nostro incontro settimanale.


Il desiderio di approfondimento nasce da alcune problematiche emerse in questo primo periodo dopo la pausa estiva:


- il bisogno di rinnovare ed attualizzare i linguaggi, a partire dal padrenostro;


- il disagio di relegare il momento della condivisione del pane alla fine della discussione, in uno spazio di tempo frettoloso e deconcentrato;


- le riflessioni sempre molto interessanti del gruppo che introduce non hanno a disposizione un tempo sufficiente all’ approfondimento con interventi dei presenti che desiderano dare il proprio contributo;


- la ripetitività della scansione nel modo di condurre l’incontro non si è arricchita di


elementi nuovi, creativi, coinvolgenti anche sul piano della corporeità;


- i ruoli e l’assunzione di responsabilità dei singoli e dei gruppi non trovano abbastanza spazio per la comunicazione;


- il desiderio di comunicazione spontanea interpersonale non trova una risposta adeguata per la limitatezza del tempo a disposizione, spesso non si riesce nemmeno a salutarsi.


     Non vogliamo fare prima di tutto una discussione organizzativa, ma prenderci i tempi necessari per approfondire il significato di questo nostro stare insieme a partire dal percorso che abbiamo fatto in questi quaranta anni e dalla specificità di gesti – parole – riti e messaggi con cui abbiamo fatto memoria dell’esperienza cristiana .


Proprio per entrare dentro ciascun aspetto problematico pensiamo di fare riferimento


ad alcune parole chiave:


 RITUALITA’- RITO


Ci chiediamo:


come e perché nascono i riti;


i riti sono importanti nel nostro vissuto quotidiano;


i riti sono un peso e una schiavitù –sono rassicuranti – sono utili – sono socializzanti – sono escludenti;


i riti sono una caratterizzazione di identità;


quali sono i riti della società moderna;


i riti sono statici, fissi, vanno mantenuti così come sono, vanno attualizzati;


il nostro incontro settimanale ha una sua identità rituale;


il rito nella piazza…e il rito in una stanza….quali differenze e similitudini.




EUCARESTIA – CONDIVISIONE


- Mangiare insieme sarebbe una condivisione certamente più concreta e significativa ma purtroppo più faticosa e difficile da realizzare ( alcune comunità comunque riescono a farlo).


- Ripetere il segno simbolico dello spezzare il pane mantiene comunque una carica emotiva?


- Sottrarci alla convivialità del mangiare insieme è un impoverimento?


- Accompagnare lo spezzare il pane con gesti di comunicazione e corporeità sarebbe un modo significativo e più coinvolgente oppure una forzatura innaturale dato che non siamo abituati a gesti affettivi?


- I momenti della memoria della cena eucaristica, della lettura corale di un testo, avrebbero bisogno di essere accompagnati da uno spazio di silenzio –riflessione -rilassamento…senza troppa frettolosità, dopo tante parole?……


- La lettura corale delle parole della eucaristia la sentiamo coinvolgente e significativa al fine di condividere la responsabilità del gesto che andiamo a compiere?




MINISTERI – SERVIZIO – ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA’


Riflettiamo su:


- continuità – costanza dell’impegno


- pesantezza ed insofferenza per un impegno troppo assillante


- gioia e gratificazione nel sentirsi utile


- soddisfazione nello svolgere un ruolo e nel rendere un servizio


- frustrazione per non essere valorizzato dagli altri


- difficoltà a collaborare o ad entrare in feeling


- mancanza di collaborazione


-altro


 

PREGHIERA – PADRE NOSTRO


l’argomento è già stato introdotto domenica scorsa attraverso un’analisi sulla parola che cambia…che si rinnova…come e perché, vorremmo approfondire:


- il padre nostro come preghiera che significato ha per noi (su questo abbiamo tutta la raccolta delle discussioni che facemmo in comunità nel 1997)?


- quale è il significato vero e originario delle parole del padrenostro?


- per rispettare il suo messaggio originale possiamo noi oggi ripetere le parole di allora?


- cambiare le parole per renderne attuale il messaggio?


- mantenere le parole per conservare una tradizione e una memoria storica?


- conservare le parole per non creare disagio a chi è abituato?


- cambiare le parole per  esprimere insieme, coralmente,atteggiamenti interiori, convinzioni, disponibilità, accoglienza reciproca?


- la lettura corale di brani e riflessioni condivise è per noi significante?


      Come vedete i materiali di riflessione sono molti, se ci farà piacere ne affronteremo un po’ alla volta, senza fretta. Abbiamo creduto opportuno inviarvi questa scheda perché chi vorrà partecipare alla discussione avrà il tempo di rifletterci e magari arricchire questi spunti con riflessioni personali o ricerche di testi di approfondimento.


L’obbiettivo potrebbe essere:


- dare maggiore spazio alla creatività personale o di gruppo,


- trovare un tempo più comodo e sereno da trascorrere insieme (pensiamo, per esempio, anziché la domenica mattina trovarci la domenica pomeriggio dalle 17 alle19),


- riscoprire la nostra identità alla luce anche di una maggiore convivialità.




 

Comunità Isolotto


Spunti per la riflessione dell’incontro comunitario di


 domenica 28 novembre 2007


a cura del gruppo: Tina – Carmen – Luciana – Francesca .- Marco


     Per la prossima domenica proponiamo di riflettere sul significato – i contenuti – le caratteristiche – la conduzione – la prassi di questo nostro incontro settimanale.


Il desiderio di approfondimento nasce da alcune problematiche emerse in questo primo periodo dopo la pausa estiva:


- il bisogno di rinnovare ed attualizzare i linguaggi, a partire dal padrenostro;


- il disagio di relegare il momento della condivisione del pane alla fine della discussione, in uno spazio di tempo frettoloso e deconcentrato;


- le riflessioni sempre molto interessanti del gruppo che introduce non hanno a disposizione un tempo sufficiente all’ approfondimento con interventi dei presenti che desiderano dare il proprio contributo;


- la ripetitività della scansione nel modo di condurre l’incontro non si è arricchita di


elementi nuovi, creativi, coinvolgenti anche sul piano della corporeità;


- i ruoli e l’assunzione di responsabilità dei singoli e dei gruppi non trovano abbastanza spazio per la comunicazione;


- il desiderio di comunicazione spontanea interpersonale non trova una risposta adeguata per la limitatezza del tempo a disposizione, spesso non si riesce nemmeno a salutarsi.


     Non vogliamo fare prima di tutto una discussione organizzativa, ma prenderci i tempi necessari per approfondire il significato di questo nostro stare insieme a partire dal percorso che abbiamo fatto in questi quaranta anni e dalla specificità di gesti – parole – riti e messaggi con cui abbiamo fatto memoria dell’esperienza cristiana .


Proprio per entrare dentro ciascun aspetto problematico pensiamo di fare riferimento


ad alcune parole chiave:


 RITUALITA’- RITO


Ci chiediamo:


come e perché nascono i riti;


i riti sono importanti nel nostro vissuto quotidiano;


i riti sono un peso e una schiavitù –sono rassicuranti – sono utili – sono socializzanti – sono escludenti;


i riti sono una caratterizzazione di identità;


quali sono i riti della società moderna;


i riti sono statici, fissi, vanno mantenuti così come sono, vanno attualizzati;


il nostro incontro settimanale ha una sua identità rituale;


il rito nella piazza…e il rito in una stanza….quali differenze e similitudini.




EUCARESTIA – CONDIVISIONE


- Mangiare insieme sarebbe una condivisione certamente più concreta e significativa ma purtroppo più faticosa e difficile da realizzare ( alcune comunità comunque riescono a farlo).


- Ripetere il segno simbolico dello spezzare il pane mantiene comunque una carica emotiva?


- Sottrarci alla convivialità del mangiare insieme è un impoverimento?


- Accompagnare lo spezzare il pane con gesti di comunicazione e corporeità sarebbe un modo significativo e più coinvolgente oppure una forzatura innaturale dato che non siamo abituati a gesti affettivi?


- I momenti della memoria della cena eucaristica, della lettura corale di un testo, avrebbero bisogno di essere accompagnati da uno spazio di silenzio –riflessione -rilassamento…senza troppa frettolosità, dopo tante parole?……


- La lettura corale delle parole della eucaristia la sentiamo coinvolgente e significativa al fine di condividere la responsabilità del gesto che andiamo a compiere?




MINISTERI – SERVIZIO – ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA’


Riflettiamo su:


- continuità – costanza dell’impegno


- pesantezza ed insofferenza per un impegno troppo assillante


- gioia e gratificazione nel sentirsi utile


- soddisfazione nello svolgere un ruolo e nel rendere un servizio


- frustrazione per non essere valorizzato dagli altri


- difficoltà a collaborare o ad entrare in feeling


- mancanza di collaborazione


-altro


 

PREGHIERA – PADRE NOSTRO


l’argomento è già stato introdotto domenica scorsa attraverso un’analisi sulla parola che cambia…che si rinnova…come e perché, vorremmo approfondire:


- il padre nostro come preghiera che significato ha per noi (su questo abbiamo tutta la raccolta delle discussioni che facemmo in comunità nel 1997)?


- quale è il significato vero e originario delle parole del padrenostro?


- per rispettare il suo messaggio originale possiamo noi oggi ripetere le parole di allora?


- cambiare le parole per renderne attuale il messaggio?


- mantenere le parole per conservare una tradizione e una memoria storica?


- conservare le parole per non creare disagio a chi è abituato?


- cambiare le parole per  esprimere insieme, coralmente,atteggiamenti interiori, convinzioni, disponibilità, accoglienza reciproca?


- la lettura corale di brani e riflessioni condivise è per noi significante?


      Come vedete i materiali di riflessione sono molti, se ci farà piacere ne affronteremo un po’ alla volta, senza fretta. Abbiamo creduto opportuno inviarvi questa scheda perché chi vorrà partecipare alla discussione avrà il tempo di rifletterci e magari arricchire questi spunti con riflessioni personali o ricerche di testi di approfondimento.


L’obbiettivo potrebbe essere:


- dare maggiore spazio alla creatività personale o di gruppo,


- trovare un tempo più comodo e sereno da trascorrere insieme (pensiamo, per esempio, anziché la domenica mattina trovarci la domenica pomeriggio dalle 17 alle19),


- riscoprire la nostra identità alla luce anche di una maggiore convivialità.




mercoledì 24 ottobre 2007

 Ad ogni anniversario dell'alluvione si moltiplicano le iniziative, convegni, pubblicazioni, mostre, manifestazioni. In questi quarant’anni però ci sembra che non ci sia traccia di una iniziativa specifica per favorire la trasmissione della memoria alle nuove generazioni e in particolare ai bambini.

Per questo la Regione Toscana e la Comunità dell’Isolotto hanno preso l’iniziativa di pubblicare una favola magicamente illustrata dall’artista curdo Fuad Aziz, scritta da Enzo Mazzi, intitolata "La città del fiore", da diffondere nelle scuole e per quanto è possibile anche nelle famiglie.


L’intento era ed è quello di trasmettere con modalità e linguaggi rispettosi delle modalità di apprendimento, della fantasia e creatività dei bambini non solo la memoria dell’evento drammatico ma quella della straordinaria esperienza che si sviluppò nei quartieri fiorentini invasi dall'acqua e dal fango. La violenza della natura fu vinta ancora una volta dalla colomba e dall'arcobaleno, come nel mito del diluvio; fu vinta cioè dal volo alto dell'iniziativa di base e dall’inarcarsi tutti insieme dei cittadini, dal dispiegarsi della solidarietà popolare, dall'integrazione feconda fra realtà sociali e fra persone di aree ideologiche e culturali diverse. Non fu però un fatto isolato: si intrecciava con grandi trasformazioni culturali a livello mondiale e si legava ad importanti tappe della storia recente della città. La liberazione di Firenze, le prime giunte comunali, la stagione politica lapiriana, le lotte operaie degli anni 50-60, l'alluvione e i Comitati di quartiere, le scuole popolari, le mobilitazioni per la pace e per un "nuovo mondo possibile" sono tante radici di un'unica trama storica animata dai valori, dall'intelligenza, dalla cultura popolare della gente dei quartieri fiorentini. E’ questa trama positiva che anche i bambini devono conoscere con le modalità che sono loro proprie. Non la solidarietà come eccezione favorita da eventi drammatici, ma la solidarietà come trama profonda della vita e della storia.


E non si tratta solo di trasmettere memoria ma di intrecciarla col presente e di favorire un’apertura delle coscienze infantili ai temi della solidarietà, del protagonismo di base, del rapporto di autonomia critica rispetto ai condizionamenti dello sconfinato egoismo individuale senza prospettive né speranza.


Il libro sarà presentato e distribuito in un incontro che si terrà il mattino di domenica 4 novembre 2007 alle ore 10,15 alle "Baracche" in via degli Aceri 1 a Firenze, uno dei luoghi storici della solidarietà e dell’intreccio culturale proprio a partire dall’alluvione e fino ad oggi.


L’incontro sarà introdotto da Claudia Daurù della Comunità dell’Isolotto. Parteciperanno Paolo Cocchi, Assessore alla Cultura della Regione Toscana e Simonetta Soldani, docente si storia contemporanea all’Università di Firenze. Saranno presenti gli autori e i Presidenti del Consiglio del Q4 e del Consiglio Comunale. I bambini della Comunità leggeranno brani del libro.


Un secondo incontro di presentazione, specificamente per alunni, insegnanti e genitori, si farà lunedì 5 novembre 2007 al mattino nella Scuola elementare della Montagnola in via G. da Montorsoli 1 Firenze.


                                                                                              La Comunità dell'Isolotto

 Ad ogni anniversario dell'alluvione si moltiplicano le iniziative, convegni, pubblicazioni, mostre, manifestazioni. In questi quarant’anni però ci sembra che non ci sia traccia di una iniziativa specifica per favorire la trasmissione della memoria alle nuove generazioni e in particolare ai bambini.

Per questo la Regione Toscana e la Comunità dell’Isolotto hanno preso l’iniziativa di pubblicare una favola magicamente illustrata dall’artista curdo Fuad Aziz, scritta da Enzo Mazzi, intitolata "La città del fiore", da diffondere nelle scuole e per quanto è possibile anche nelle famiglie.


L’intento era ed è quello di trasmettere con modalità e linguaggi rispettosi delle modalità di apprendimento, della fantasia e creatività dei bambini non solo la memoria dell’evento drammatico ma quella della straordinaria esperienza che si sviluppò nei quartieri fiorentini invasi dall'acqua e dal fango. La violenza della natura fu vinta ancora una volta dalla colomba e dall'arcobaleno, come nel mito del diluvio; fu vinta cioè dal volo alto dell'iniziativa di base e dall’inarcarsi tutti insieme dei cittadini, dal dispiegarsi della solidarietà popolare, dall'integrazione feconda fra realtà sociali e fra persone di aree ideologiche e culturali diverse. Non fu però un fatto isolato: si intrecciava con grandi trasformazioni culturali a livello mondiale e si legava ad importanti tappe della storia recente della città. La liberazione di Firenze, le prime giunte comunali, la stagione politica lapiriana, le lotte operaie degli anni 50-60, l'alluvione e i Comitati di quartiere, le scuole popolari, le mobilitazioni per la pace e per un "nuovo mondo possibile" sono tante radici di un'unica trama storica animata dai valori, dall'intelligenza, dalla cultura popolare della gente dei quartieri fiorentini. E’ questa trama positiva che anche i bambini devono conoscere con le modalità che sono loro proprie. Non la solidarietà come eccezione favorita da eventi drammatici, ma la solidarietà come trama profonda della vita e della storia.


E non si tratta solo di trasmettere memoria ma di intrecciarla col presente e di favorire un’apertura delle coscienze infantili ai temi della solidarietà, del protagonismo di base, del rapporto di autonomia critica rispetto ai condizionamenti dello sconfinato egoismo individuale senza prospettive né speranza.


Il libro sarà presentato e distribuito in un incontro che si terrà il mattino di domenica 4 novembre 2007 alle ore 10,15 alle "Baracche" in via degli Aceri 1 a Firenze, uno dei luoghi storici della solidarietà e dell’intreccio culturale proprio a partire dall’alluvione e fino ad oggi.


L’incontro sarà introdotto da Claudia Daurù della Comunità dell’Isolotto. Parteciperanno Paolo Cocchi, Assessore alla Cultura della Regione Toscana e Simonetta Soldani, docente si storia contemporanea all’Università di Firenze. Saranno presenti gli autori e i Presidenti del Consiglio del Q4 e del Consiglio Comunale. I bambini della Comunità leggeranno brani del libro.


Un secondo incontro di presentazione, specificamente per alunni, insegnanti e genitori, si farà lunedì 5 novembre 2007 al mattino nella Scuola elementare della Montagnola in via G. da Montorsoli 1 Firenze.


                                                                                              La Comunità dell'Isolotto

martedì 23 ottobre 2007

Laicità


 

----- Original Message -----

From: Franco Friscia

To: UAAR Circolo di Roma ; LIBERAUSCITA

Sent: Tuesday, October 23, 2007 2:11 AM

Subject: [liberauscita] Fw: 7 DICEMBRE - SIT IN per Luigi Tosti


Venerdì 7 dicembre alle ore 08,00 in Piazza Indipendenza a Roma il Giudice Luigi Tosti sarà nuovamente chiamato in causa dal CSM (dopo che l'udienza del 21 settembre era stata spostata). La sua unica colpa ? … Essere “troppo laico” !

Tutto iniziò quando tra il 2004 ed il 2005 il giudice decise di sospendere le udienze presso il tribunale di Camerino perchè non venne accolta la sua richiesta di rimuovere i crocifissi dalle aule di giustizia (e a tal fine rinunciò anche al proprio stipendio).

Questo gesto gli costò una lunga serie di ritorsioni da parte delle istituzioni per “sospensione pubblico servizio”.

Il Giudice Tosti non ha mai declinato le proprie responsabilità circa le proprie funzioni, ma lo stato italiano si è ben guardato dal riconoscere le proprie responsabilità nel garantire la laicità delle sue istituzioni.

Ancora oggi troppi cittadini si chiedono perchè in un’aula di tribunale debba essere esposto un simbolo religioso e non l’emblema della Repubblica Italiana a cui le nostre leggi e le nostre istituzioni dovrebbero fare riferimento.

Ancora oggi troppi cittadini si chiedono perchè un giudice (che desidera che il principio di laicità dello stato sia rispettato per tutti, soprattutto nelle aule di giustizia) sospende le udienze e viene giustamente perseguito per “interruzione di pubblico servizio”, mentre un farmacista o un medico dipendenti di strutture pubbliche che si dichiarano obiettori (e che finiscono per imporre agli altri i dettami della loro religione) possono tranquillamente sospendere un servizio pubblico senza che questo comporti per loro la minima sanzione.

Il 7 dicembre alle ore 08,00 in Piazza Indipendenza a Roma l’UAAR ci sarà !

Tutte le associazioni sono invitate ad aderire inviando la propria sottoscrizione all’indirizzo roma@uaar.it


 

Laicità


 

----- Original Message -----

From: Franco Friscia

To: UAAR Circolo di Roma ; LIBERAUSCITA

Sent: Tuesday, October 23, 2007 2:11 AM

Subject: [liberauscita] Fw: 7 DICEMBRE - SIT IN per Luigi Tosti


Venerdì 7 dicembre alle ore 08,00 in Piazza Indipendenza a Roma il Giudice Luigi Tosti sarà nuovamente chiamato in causa dal CSM (dopo che l'udienza del 21 settembre era stata spostata). La sua unica colpa ? … Essere “troppo laico” !

Tutto iniziò quando tra il 2004 ed il 2005 il giudice decise di sospendere le udienze presso il tribunale di Camerino perchè non venne accolta la sua richiesta di rimuovere i crocifissi dalle aule di giustizia (e a tal fine rinunciò anche al proprio stipendio).

Questo gesto gli costò una lunga serie di ritorsioni da parte delle istituzioni per “sospensione pubblico servizio”.

Il Giudice Tosti non ha mai declinato le proprie responsabilità circa le proprie funzioni, ma lo stato italiano si è ben guardato dal riconoscere le proprie responsabilità nel garantire la laicità delle sue istituzioni.

Ancora oggi troppi cittadini si chiedono perchè in un’aula di tribunale debba essere esposto un simbolo religioso e non l’emblema della Repubblica Italiana a cui le nostre leggi e le nostre istituzioni dovrebbero fare riferimento.

Ancora oggi troppi cittadini si chiedono perchè un giudice (che desidera che il principio di laicità dello stato sia rispettato per tutti, soprattutto nelle aule di giustizia) sospende le udienze e viene giustamente perseguito per “interruzione di pubblico servizio”, mentre un farmacista o un medico dipendenti di strutture pubbliche che si dichiarano obiettori (e che finiscono per imporre agli altri i dettami della loro religione) possono tranquillamente sospendere un servizio pubblico senza che questo comporti per loro la minima sanzione.

Il 7 dicembre alle ore 08,00 in Piazza Indipendenza a Roma l’UAAR ci sarà !

Tutte le associazioni sono invitate ad aderire inviando la propria sottoscrizione all’indirizzo roma@uaar.it


 

22/10/2007 08:45:00 - 160 letture

Maurizio Chierici: ll diavolo confessore


Non so quale tormento ha sconvolto i cattolici argentini nell’ascoltare le voci dei sopravissuti alle squadre della morte dei generali P2. Imputato il cappellano militare Christian Von Wernich. Le Tv e i fotografi che cercavano di cogliere nel volto un’ombra di imbarazzo ( se non di pentimento ) trovavano occhi di ghiaccio, labbra piegate nel sarcasmo quando, chi uscito vivo dalle prigioni clandestine, spiegava di quale inferno il sacerdote era stato protagonista.. L’ho visto e rivisto in Tv per evitare il luogo comune del colpevole indifferente, ma Von Wernich insisteva nel rappresentarsi come luogo comune senza speranza. Ha confessato i prigionieri che non si erano arresi alla tortura non avendo segreti da raccontare. Li invitava a collaborare perché l’Altissimo lo pretendeva. Chi confidava la verità nascosta - abbandono di ogni credente che si inginocchia - era lontano dal sospetto di un confessore spia dei torturatori. L’accusa ha inchiodato all’ergastolo Von Wernich: 7 omicidi, 32 casi di tortura ripetuta dopo le notizie raccolte nel confessionale e 42 amici spariti nel nulla. Nove anni fa il capitano Scilingo è stato il primo repressore a spiegare con quali parole di consolazione Von Wermich ed altri cappellani militari accompagnavano i condannati a morire sull’aereo che li avrebbe dispersi in mare: la volontà del Signore lo pretendeva, segno dell’ amore col quale proteggeva la patria. < Rassegnati, Dio lo sa >. Nell’interpretazione di questi sacerdoti, la rassegnazione disinfettava dagli insetti maligni la nuova società. Ma non erano insetti e non erano maligni: solo ragazzi che non sopportavano l’oppressione armata.

Ecco perché 30 anni dopo memoria e perdono restano i problemi irrisolti della Chiesa nel continente più cattolico del mondo. Von Wermich non è diventato improvvisamente colpevole otto giorni fa. Subito dopo la sentenza del tribunale, la Chiesa annuncia procedure che gli statuti vaticani contemplano per decidere il destino di un prete del quale si conoscono i delitti da tempo immemorabile. Negli ultimi mesi ogni vescovo ha incontrato ogni giorno su ogni giornale e ogni Tv i racconti dei testimoni e i documenti che provano l’orrore. Non a caso il comunicato della Commissione Episcopale appare cinque minuti dopo l’annuncio dell’ergastolo. Perché cinque minuti dopo e non cinque anni o cinque mesi fa come i credenti pretendevano ? Parole preparate da tempo; poche righe che deludono: < Il vangelo di Cristo impone a noi discepoli una condotta rispettosa verso i fratelli. Un sacerdote cattolico, per azioni e omissioni, si è allontanato dall’esigenze della missione che gli era stata affidata. Chiediamo perdono con pentimento sincero mentre pregiamo Dio nostro Signore di illuminarci per poter compiere la missione di unità e di servizio >. Non una parola di pena per le vittime. La deviazione di Von Wermich rimpicciolisce nella deviazione personale, pecora nera lontana dall’impegno della comunità ecclesiale. Ed è vero, ma il silenzio della comunità ecclesiale resta il peccato inspiegabile che ha riunito tanti vescovi e tanti sacerdoti alcuni di loro prossimi al processo. E dopo la sentenza se ne aggiungono altri. Il vescovo vicario della diocesi di san Miguel, Federico Gogala, visitava giovani donne che stavano per partorire. Nude e incappucciate per non riconoscerlo. Se ne andava col bambino appena nato mentre la madre veniva assassinata. Una suora e un’infermiera stanno testimoniando. E testimoniano le nonne di piazza di Maggio con la prova di una nipote ritrovata, data in adozione dal Movimento Familiare Cristiano vicino al vescovo ausiliare Gocala. Comprensibile l’imbarazzo e il dolore eppure nessuna spiegazione su < omissioni ed azioni > che tormentano il clero argentino, ma anche sacerdoti e cattolici di tutte le americhe latine, e non solo delle americhe. Non hanno saputo affrontare il passato prossimo con la lealtà che obbliga la loro missione. Per il diritto canonico la decisione sul futuro sacerdotale dell’ex cappellano militare è competenza del vescovo della diocesi, monsignor Martin Elizaide, 67 anni, profilo incolore nella gerarchia argentina. Facile pensare che il verdetto risentirà degli umori della conferenza episcopale. La procedura sarà lunga, Martin Elizaide non ha indicato quanto finirà. A Von Wermich è consentito ricorrere al tribunale vaticano se gli sarà proibito di esercitare la funzione ministeriale. Si apre un tempo paradossale. Von Wermich può continuare a confessare, celebrare messa come ogni parroco in pace con Dio; potrà distribuire la comunione agli altri torturatori chiusi nella stessa prigione fino a quando la decisione del vescovo non lo impedirà. Ma glielo proibirà per sempre o < la contrizione palese per il male commesso > potrà risorgerlo a nuova vita restituendogli messa, comunione e confessione? Su Ernesto Cardenal e Manuel D’Escoto, ministri nel governo sandinista, papa Woytila aveva alzato l’indice del rimprovero. Hanno perso la messa per sempre. Ferdinando Cardenal, fratello di Ernesto e gesuita, a 70 anni ha riaffrontato il noviziato con l’umiltà di un seminarista adolescente. Ed è tornato a celebrare dopo la lunga punizione. Loro colpa aver accettato un ruolo politico come è successo in altre regioni, anche in Italia. Baget Bozzo ( don Gianni per i ragazzi ormai bianchi del ’68 ) era diventato parlamentare europeo nel nome di Craxi: gli hanno benevolmente imposto la proibizione del predicare in pubblico. Nel privato restava il prete di sempre. Nessuna sanzione radicale.

I delitti di Von Vernich oscurati da silenzio e complicità aprono un capitolo finora esplorato con imbarazzo: il rapporto tra cappellani militari e dittature, dall’America Centrale a Brasile, Cile, Argentina. Con quale spiritualità si sono rivolti a Dio gomito a gomito con le squadre della morte ? Fedeli ai doveri pastorali o ligi all’obbedienza dovuta che incatena ogni militare ? Fino al processo Von Wernich, ai cappellani militari di Argentina e Cile la Chiesa non ha detto niente. Si sapeva e si sa delle ambiguità a volte degenerate in collaborazione al delitto. Sembra impossibile che i vescovi cappellani militari e i vescovi amici dei vescovi militari siano stati all’oscuro. Possibile che i nunzi apostolici, ambasciatori del Papa, si siano limitati ai sussurri ? Forse i doveri diplomatici e l’amicizia personale con gli strateghi della repressione hanno annacquato nell’ipocrisia l’impegno che impone la fede. Vent’anni dopo, 1996, i vescovi argentini si fanno vivi con un’autocritica superficiale. Nel 2000 chiedono per la prima volta perdono. In Cile il silenzio continua. Alla messa della domenica nella cattedrale castrense di Santiago, vecchi e nuovi militari si accostano all’altare con la devozione di Pinochet.

La storia dei rapporti chiesa-stato ha conosciuto in Argentina momenti che oggi ( solo oggi ) imbarazzano le coscienze. Subito dopo il colpo di stato 1976, il cardinale di Buenos Aires Carlo Aramburu invita i fedeli a collaborare col governo dei generali < i cui membri appaiono assai bene ispirati >. Gran parte dei vescovi e il nunzio apostolico Pio Laghi ( cardinale romano ) assistono alla cerimonia di insediamento del generale Videla. Laghi è il solo diplomatico straniero presente. Perché ? Tre mesi dopo benedice a Tucuman le truppe scatenate nella repressione: < l’autodifesa contro chi vorrebbe far prevalere idee estranee alla nazione… impone misure determinate. In queste circostanze si potrà rispettare il diritto fin dove si potrà >. Anche Benelli, sostituto segretario di stato vaticano, si dichiara < soddisfatto per l’orientamento assunto dal nuovo governo argentino nella sua vocazione cristiana e occidentale >. Paolo VI era stanco, malato. Lo si informa in qualche modo nascondendo quasi tutto. Anche Giovanni Paolo II viene a sapere della tragedia argentina dalle Madri di piazza di Maggio. La Chiesa di Buenos Aires tranquillizzava il Vaticano ma le madri alle quali avevano rubato i ragazzi vengono a Roma sperando di informare il papa. Per sopravvivere lavorano come perpetue o inservienti in collegi religiosi e parrocchie. Ed è così che Giovanni Paolo II, e non un vescovo argentino, pronuncia per primo la parola < desaparecido >. Tardi, purtroppo: 30 mila morti.

Ieri, come oggi, in Argentina e nel continente latino ( Venezuela compreso ) si delineano Chiese che non si capiscono. Tanti preti e qualche vescovo fra le vittime. Romero e dodici religiosi in Salvador. Due vescovi e religiosi assassinati in Argentina. Il primo a morire don Carlos Mugica, fondatore del movimento dei sacerdoti terzomondismi. Poi padre Josè Tedeschi, poi l’intera comunità dei Pallottini: tre preti, due seminaristi. Il vescovo Enrique Angeletti viene ucciso al ritorno da un convegno in Ecuador organizzato dai teologi della liberazione; il vescovo Carlos Ponce muore a San Nicolas in un incidente stradale che la polizia definisce < immaginario >. Due suore francesi violentate, torturate e uccise dal guardiamarina Astiz. L’essere riconosciuto colpevole non ferma la sua carriera: l’indulto del presidente Menem gli permette la divisa immacolata di capitano di vascello. I vescovi Karlic e Novak non sopportano: precedono il mea culpa ufficiale invocando perdono per il male che la Chiesa < non ha impedito, sopportato e in qualche caso aiutato >. Il regime cade eppure certe solidarietà non svaniscono. 24 settembre 1991: il nunzio apostolico Ubaldo Calabresi organizza un ricevimento per festeggiare il dodicesimo anniversario dell’investitura di Giovanni Paolo II. Fra gli invitati i generali Videla, Viola e l’ammiraglio Massera riconosciuti colpevoli dell’uccisione di migliaia persone, ma perdonati e rimessi in libertà dalla legge che < riappacifica il paese >. L’altra Chiesa argentina guarda al futuro in modo diverso. Dopo la condanna di Von Wernich la Commissione Giustizia e Pace assistita dal vescovo Jorge Casaretto ( 71 anni, origini genovesi ) si preoccupa del dolore dei familiari ed esprime pietà per le vittime invitando la giustizia a scoprire quali complicità e quanti tradimenti siano allo radice di una tragedia impossibile da nascondere. Casaretto ha guidato la Caritas negli anni del disastro economico: metà Argentina non sapeva cosa mangiare. Ha aperto mense popolari, bussato alle porte che contano. Von Wernich appartiene all’altra Chiesa. Il suo ergastolo illumina lo scandalo dei sacerdoti che hanno trasformato la confessione in un gadget della tortura. < Era difficile >, sospirava qualche anno fa il vescovo Laguna, portavoce della conferenza episcopale, nella sua stanzetta di Morelos. < Difficile restare fedeli alla promessa e sopravvivere nella paura >. Difficile, ma non impossibile. Cambiando latitudine ecco la storia del cardinale di Praga Miloslav Vlk. Il socialismo reale avevo imposto l’ateismo trasformando la devozione religiosa in un < sentimento privato >. I preti dovevano lavorare per vivere. Per i credenti una sfida andare a messa mentre mani curiose annotavano i nomi sul registro dei sovversivi. Il giovane prete Miloslav Vlk lavava vetri agli angoli delle strade. Ogni tanto perdeva tempo a discorrere coi passanti. Lo racconta nel libro di Sara Regina ( edizione San Paolo: < Da lavavetri a cardinale > ). Chi lo avvicinava voleva confessarsi lontano dagli occhi delle polizie. Col secchio d’acqua in mano, Miloslav Vlk ascoltava e assolveva chiudendo nel cuore le loro parole. Qualcuno dovrebbe mandare il libro a Von Wernich e a chissà quanti cappellani militari dell’altra America ( ma non solo ). Magari capiranno.

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22/10/2007 08:45:00 - 160 letture

Maurizio Chierici: ll diavolo confessore


Non so quale tormento ha sconvolto i cattolici argentini nell’ascoltare le voci dei sopravissuti alle squadre della morte dei generali P2. Imputato il cappellano militare Christian Von Wernich. Le Tv e i fotografi che cercavano di cogliere nel volto un’ombra di imbarazzo ( se non di pentimento ) trovavano occhi di ghiaccio, labbra piegate nel sarcasmo quando, chi uscito vivo dalle prigioni clandestine, spiegava di quale inferno il sacerdote era stato protagonista.. L’ho visto e rivisto in Tv per evitare il luogo comune del colpevole indifferente, ma Von Wernich insisteva nel rappresentarsi come luogo comune senza speranza. Ha confessato i prigionieri che non si erano arresi alla tortura non avendo segreti da raccontare. Li invitava a collaborare perché l’Altissimo lo pretendeva. Chi confidava la verità nascosta - abbandono di ogni credente che si inginocchia - era lontano dal sospetto di un confessore spia dei torturatori. L’accusa ha inchiodato all’ergastolo Von Wernich: 7 omicidi, 32 casi di tortura ripetuta dopo le notizie raccolte nel confessionale e 42 amici spariti nel nulla. Nove anni fa il capitano Scilingo è stato il primo repressore a spiegare con quali parole di consolazione Von Wermich ed altri cappellani militari accompagnavano i condannati a morire sull’aereo che li avrebbe dispersi in mare: la volontà del Signore lo pretendeva, segno dell’ amore col quale proteggeva la patria. < Rassegnati, Dio lo sa >. Nell’interpretazione di questi sacerdoti, la rassegnazione disinfettava dagli insetti maligni la nuova società. Ma non erano insetti e non erano maligni: solo ragazzi che non sopportavano l’oppressione armata.

Ecco perché 30 anni dopo memoria e perdono restano i problemi irrisolti della Chiesa nel continente più cattolico del mondo. Von Wermich non è diventato improvvisamente colpevole otto giorni fa. Subito dopo la sentenza del tribunale, la Chiesa annuncia procedure che gli statuti vaticani contemplano per decidere il destino di un prete del quale si conoscono i delitti da tempo immemorabile. Negli ultimi mesi ogni vescovo ha incontrato ogni giorno su ogni giornale e ogni Tv i racconti dei testimoni e i documenti che provano l’orrore. Non a caso il comunicato della Commissione Episcopale appare cinque minuti dopo l’annuncio dell’ergastolo. Perché cinque minuti dopo e non cinque anni o cinque mesi fa come i credenti pretendevano ? Parole preparate da tempo; poche righe che deludono: < Il vangelo di Cristo impone a noi discepoli una condotta rispettosa verso i fratelli. Un sacerdote cattolico, per azioni e omissioni, si è allontanato dall’esigenze della missione che gli era stata affidata. Chiediamo perdono con pentimento sincero mentre pregiamo Dio nostro Signore di illuminarci per poter compiere la missione di unità e di servizio >. Non una parola di pena per le vittime. La deviazione di Von Wermich rimpicciolisce nella deviazione personale, pecora nera lontana dall’impegno della comunità ecclesiale. Ed è vero, ma il silenzio della comunità ecclesiale resta il peccato inspiegabile che ha riunito tanti vescovi e tanti sacerdoti alcuni di loro prossimi al processo. E dopo la sentenza se ne aggiungono altri. Il vescovo vicario della diocesi di san Miguel, Federico Gogala, visitava giovani donne che stavano per partorire. Nude e incappucciate per non riconoscerlo. Se ne andava col bambino appena nato mentre la madre veniva assassinata. Una suora e un’infermiera stanno testimoniando. E testimoniano le nonne di piazza di Maggio con la prova di una nipote ritrovata, data in adozione dal Movimento Familiare Cristiano vicino al vescovo ausiliare Gocala. Comprensibile l’imbarazzo e il dolore eppure nessuna spiegazione su < omissioni ed azioni > che tormentano il clero argentino, ma anche sacerdoti e cattolici di tutte le americhe latine, e non solo delle americhe. Non hanno saputo affrontare il passato prossimo con la lealtà che obbliga la loro missione. Per il diritto canonico la decisione sul futuro sacerdotale dell’ex cappellano militare è competenza del vescovo della diocesi, monsignor Martin Elizaide, 67 anni, profilo incolore nella gerarchia argentina. Facile pensare che il verdetto risentirà degli umori della conferenza episcopale. La procedura sarà lunga, Martin Elizaide non ha indicato quanto finirà. A Von Wermich è consentito ricorrere al tribunale vaticano se gli sarà proibito di esercitare la funzione ministeriale. Si apre un tempo paradossale. Von Wermich può continuare a confessare, celebrare messa come ogni parroco in pace con Dio; potrà distribuire la comunione agli altri torturatori chiusi nella stessa prigione fino a quando la decisione del vescovo non lo impedirà. Ma glielo proibirà per sempre o < la contrizione palese per il male commesso > potrà risorgerlo a nuova vita restituendogli messa, comunione e confessione? Su Ernesto Cardenal e Manuel D’Escoto, ministri nel governo sandinista, papa Woytila aveva alzato l’indice del rimprovero. Hanno perso la messa per sempre. Ferdinando Cardenal, fratello di Ernesto e gesuita, a 70 anni ha riaffrontato il noviziato con l’umiltà di un seminarista adolescente. Ed è tornato a celebrare dopo la lunga punizione. Loro colpa aver accettato un ruolo politico come è successo in altre regioni, anche in Italia. Baget Bozzo ( don Gianni per i ragazzi ormai bianchi del ’68 ) era diventato parlamentare europeo nel nome di Craxi: gli hanno benevolmente imposto la proibizione del predicare in pubblico. Nel privato restava il prete di sempre. Nessuna sanzione radicale.

I delitti di Von Vernich oscurati da silenzio e complicità aprono un capitolo finora esplorato con imbarazzo: il rapporto tra cappellani militari e dittature, dall’America Centrale a Brasile, Cile, Argentina. Con quale spiritualità si sono rivolti a Dio gomito a gomito con le squadre della morte ? Fedeli ai doveri pastorali o ligi all’obbedienza dovuta che incatena ogni militare ? Fino al processo Von Wernich, ai cappellani militari di Argentina e Cile la Chiesa non ha detto niente. Si sapeva e si sa delle ambiguità a volte degenerate in collaborazione al delitto. Sembra impossibile che i vescovi cappellani militari e i vescovi amici dei vescovi militari siano stati all’oscuro. Possibile che i nunzi apostolici, ambasciatori del Papa, si siano limitati ai sussurri ? Forse i doveri diplomatici e l’amicizia personale con gli strateghi della repressione hanno annacquato nell’ipocrisia l’impegno che impone la fede. Vent’anni dopo, 1996, i vescovi argentini si fanno vivi con un’autocritica superficiale. Nel 2000 chiedono per la prima volta perdono. In Cile il silenzio continua. Alla messa della domenica nella cattedrale castrense di Santiago, vecchi e nuovi militari si accostano all’altare con la devozione di Pinochet.

La storia dei rapporti chiesa-stato ha conosciuto in Argentina momenti che oggi ( solo oggi ) imbarazzano le coscienze. Subito dopo il colpo di stato 1976, il cardinale di Buenos Aires Carlo Aramburu invita i fedeli a collaborare col governo dei generali < i cui membri appaiono assai bene ispirati >. Gran parte dei vescovi e il nunzio apostolico Pio Laghi ( cardinale romano ) assistono alla cerimonia di insediamento del generale Videla. Laghi è il solo diplomatico straniero presente. Perché ? Tre mesi dopo benedice a Tucuman le truppe scatenate nella repressione: < l’autodifesa contro chi vorrebbe far prevalere idee estranee alla nazione… impone misure determinate. In queste circostanze si potrà rispettare il diritto fin dove si potrà >. Anche Benelli, sostituto segretario di stato vaticano, si dichiara < soddisfatto per l’orientamento assunto dal nuovo governo argentino nella sua vocazione cristiana e occidentale >. Paolo VI era stanco, malato. Lo si informa in qualche modo nascondendo quasi tutto. Anche Giovanni Paolo II viene a sapere della tragedia argentina dalle Madri di piazza di Maggio. La Chiesa di Buenos Aires tranquillizzava il Vaticano ma le madri alle quali avevano rubato i ragazzi vengono a Roma sperando di informare il papa. Per sopravvivere lavorano come perpetue o inservienti in collegi religiosi e parrocchie. Ed è così che Giovanni Paolo II, e non un vescovo argentino, pronuncia per primo la parola < desaparecido >. Tardi, purtroppo: 30 mila morti.

Ieri, come oggi, in Argentina e nel continente latino ( Venezuela compreso ) si delineano Chiese che non si capiscono. Tanti preti e qualche vescovo fra le vittime. Romero e dodici religiosi in Salvador. Due vescovi e religiosi assassinati in Argentina. Il primo a morire don Carlos Mugica, fondatore del movimento dei sacerdoti terzomondismi. Poi padre Josè Tedeschi, poi l’intera comunità dei Pallottini: tre preti, due seminaristi. Il vescovo Enrique Angeletti viene ucciso al ritorno da un convegno in Ecuador organizzato dai teologi della liberazione; il vescovo Carlos Ponce muore a San Nicolas in un incidente stradale che la polizia definisce < immaginario >. Due suore francesi violentate, torturate e uccise dal guardiamarina Astiz. L’essere riconosciuto colpevole non ferma la sua carriera: l’indulto del presidente Menem gli permette la divisa immacolata di capitano di vascello. I vescovi Karlic e Novak non sopportano: precedono il mea culpa ufficiale invocando perdono per il male che la Chiesa < non ha impedito, sopportato e in qualche caso aiutato >. Il regime cade eppure certe solidarietà non svaniscono. 24 settembre 1991: il nunzio apostolico Ubaldo Calabresi organizza un ricevimento per festeggiare il dodicesimo anniversario dell’investitura di Giovanni Paolo II. Fra gli invitati i generali Videla, Viola e l’ammiraglio Massera riconosciuti colpevoli dell’uccisione di migliaia persone, ma perdonati e rimessi in libertà dalla legge che < riappacifica il paese >. L’altra Chiesa argentina guarda al futuro in modo diverso. Dopo la condanna di Von Wernich la Commissione Giustizia e Pace assistita dal vescovo Jorge Casaretto ( 71 anni, origini genovesi ) si preoccupa del dolore dei familiari ed esprime pietà per le vittime invitando la giustizia a scoprire quali complicità e quanti tradimenti siano allo radice di una tragedia impossibile da nascondere. Casaretto ha guidato la Caritas negli anni del disastro economico: metà Argentina non sapeva cosa mangiare. Ha aperto mense popolari, bussato alle porte che contano. Von Wernich appartiene all’altra Chiesa. Il suo ergastolo illumina lo scandalo dei sacerdoti che hanno trasformato la confessione in un gadget della tortura. < Era difficile >, sospirava qualche anno fa il vescovo Laguna, portavoce della conferenza episcopale, nella sua stanzetta di Morelos. < Difficile restare fedeli alla promessa e sopravvivere nella paura >. Difficile, ma non impossibile. Cambiando latitudine ecco la storia del cardinale di Praga Miloslav Vlk. Il socialismo reale avevo imposto l’ateismo trasformando la devozione religiosa in un < sentimento privato >. I preti dovevano lavorare per vivere. Per i credenti una sfida andare a messa mentre mani curiose annotavano i nomi sul registro dei sovversivi. Il giovane prete Miloslav Vlk lavava vetri agli angoli delle strade. Ogni tanto perdeva tempo a discorrere coi passanti. Lo racconta nel libro di Sara Regina ( edizione San Paolo: < Da lavavetri a cardinale > ). Chi lo avvicinava voleva confessarsi lontano dagli occhi delle polizie. Col secchio d’acqua in mano, Miloslav Vlk ascoltava e assolveva chiudendo nel cuore le loro parole. Qualcuno dovrebbe mandare il libro a Von Wernich e a chissà quanti cappellani militari dell’altra America ( ma non solo ). Magari capiranno.

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lunedì 22 ottobre 2007





Una bugia come augurio. Clicca sull'immagine e fai partire Youtube.


I believe that as soon as people want

peace in the world they can have it.

The only trouble is they are not aware

they can get it.

John Lennon, 1969

(Io credo che se davvero la gente vuole pace nel mondo, la può avere. Il solo guaio è che la gente non è consapevole che la potrebbe ottenere davvero).

Q: "You have attained sufficient honor and wealth. Are you happy?"

John: "Yes."

Q: "And what do you seek next?"

John: "Peace."

John Lennon

Beatles press conference,
Tokyo, 1966


All we are saying is give peace a chance.

John Lennon, 1968

Let us wake up, come together,

and work on cleaning and healing our planet,

instead of further destroying it.

Let's not waste one more day in creating a machinery of destruction.

Give us a chance.

On behalf of ourselves and all species on Earth.

We can do it.

We must.

Yoko Ono

Address to the United Nations, 2005





Una bugia come augurio. Clicca sull'immagine e fai partire Youtube.


I believe that as soon as people want

peace in the world they can have it.

The only trouble is they are not aware

they can get it.

John Lennon, 1969

(Io credo che se davvero la gente vuole pace nel mondo, la può avere. Il solo guaio è che la gente non è consapevole che la potrebbe ottenere davvero).

Q: "You have attained sufficient honor and wealth. Are you happy?"

John: "Yes."

Q: "And what do you seek next?"

John: "Peace."

John Lennon

Beatles press conference,
Tokyo, 1966


All we are saying is give peace a chance.

John Lennon, 1968

Let us wake up, come together,

and work on cleaning and healing our planet,

instead of further destroying it.

Let's not waste one more day in creating a machinery of destruction.

Give us a chance.

On behalf of ourselves and all species on Earth.

We can do it.

We must.

Yoko Ono

Address to the United Nations, 2005

domenica 21 ottobre 2007


18 ottobre 2007

 Eutanasia: «Al paziente anche il diritto di morire»

di Giovanni Negri

Il malato è libero di curarsi, naturalmente. Ma anche di non curarsi. Sino alle estreme conseguenze. E lo Stato non può farci niente. Quando poi il paziente non è capace di intendere e volere, in stato vegetativo da anni, l'autorità giudiziaria può autorizzare i medici a interrompere le cure. Sono queste le conclusioni della Corte di cassazione che, con una densa e fondamentale sentenza (la n. 21748 depositata il 16 ottobre), ha affrontato il caso di Eluana Englaro, una giovane donna in coma dal 1992 dopo un incidente stradale. La famiglia da anni insiste perchè venga interrotta l'alimentazione sino al sopraggiungere della morte. La Corte ieri, ribaltando il verdetto di secondo grado che aveva respinto le richieste dei familiari, ha stabilito che dovrà essere di nuovo la Corte d'appello di Milano a esaminare il caso, tenendo presenti però i principi di diritto forniti nella pronuncia. Per il padre di Eluana, Beppe, dalla Corte è arrivato «un sussulto di umanità e di libertà verso una vittima sacrificale del codice deontologico dei medici e della legge».



Naturalmente, e già alcune reazioni a una decisione destinata a fare molto discutere vanno in questo senso, si parlerà di un intervento a favore dell'eutanasia. Ma i giudici, in 60 pagine di motivazioni, hanno usato quel termine una sola volta. Per escludere che il rifiuto delle terapie mediche, anche quando conduce alla morte, possa essere scambiato per eutanasia e cioè per un comportamento che intende abbreviare la vita, provocando in maniera deliberata la morte. Un rifiuto di questo genere, invece, esprime, sottolineano i giudici, «un atteggiamento di scelta da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale».



Piergiorgio Welby non viene mai citato nella sentenza, ma lui e Eluana diventano, certo loro malgrado, simboli delle due condizioni che la Cassazione ha preso in considerazione. Il caso Welby è quello di uomo in possesso della capacità di intendere e volere che sceglie di respingere terapie che ritiene serviranno solo a prolungare l'agonia. Per queste situazioni la Corte spiega che «deve escludersi che il diritto all'autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite allorchè da esso consegua il sacrificio del bene della vita». I giudici precisano che la salute dell'individuo non può essere oggetto di un atto di imposizione coattiva. Certo, il medico può avviare, nel rispetto del percorso culturale del paziente, una «strategia della persuasione», in sintonia anche con il compito solidaristico dell'ordinamento giuridico. Ma se poi il rifiuto delle cure resiste ed è «informato, autentico e attuale» non può essere aggirato nel nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico.

Il diritto del singolo alla salute è un diritto di libertà che comprende anche un risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, «di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell'interessato, finanche di lasciarsi morire».



Il caso di Eulana Englaro però è diverso. La donna infatti è in stato vegetativo da anni, è alimentata da un sondino e idratata artificialmente. In una situazione come questa, per la quale la stessa Cassazione conclude per l'incapacità di vivere esperienze cognitive ed emotive, un ruolo di primo piano lo svolge il tutore (nel caso di Eluana è il padre). È lui che deve ricostruire la volontà del paziente, tenendo conto dei desideri espressi prima di perdere la coscienza, della sua persona-lità, del suo stile di vita, delle sue inclinazioni, dei valori di riferimento e delle convinzioni etiche, religiose e culturali.

La Cassazione afferma con forza il diritto alla vita e alla continuazione delle cure per chi è in stato vegetativo permanente. Ma non ignora la realtà di chi lega la propria dignità «alla vita di esperienza e questa alla coscienza » ritenendo insensata la prosecuzione della vita priva della percezione del mondo esterno e di una sintonia tra corpo e mente. È allora che l'autorità giudiziaria può assentire all'interruzione del trattamento medico (che non è accanimento) chiesta da chi rappresenta il paziente. Una maniera per rispettare il malato all'interno di uno Stato pluralista, che è possibile a due condizioni: irreversibilità dello stato vegetativo e presenza di elementi di prova chiari e convincenti della voce del paziente e del suo modo di interpretare l'idea di dignità della persona.



Il testo della sentenza

18 ottobre 2007

 Eutanasia: «Al paziente anche il diritto di morire»

di Giovanni Negri

Il malato è libero di curarsi, naturalmente. Ma anche di non curarsi. Sino alle estreme conseguenze. E lo Stato non può farci niente. Quando poi il paziente non è capace di intendere e volere, in stato vegetativo da anni, l'autorità giudiziaria può autorizzare i medici a interrompere le cure. Sono queste le conclusioni della Corte di cassazione che, con una densa e fondamentale sentenza (la n. 21748 depositata il 16 ottobre), ha affrontato il caso di Eluana Englaro, una giovane donna in coma dal 1992 dopo un incidente stradale. La famiglia da anni insiste perchè venga interrotta l'alimentazione sino al sopraggiungere della morte. La Corte ieri, ribaltando il verdetto di secondo grado che aveva respinto le richieste dei familiari, ha stabilito che dovrà essere di nuovo la Corte d'appello di Milano a esaminare il caso, tenendo presenti però i principi di diritto forniti nella pronuncia. Per il padre di Eluana, Beppe, dalla Corte è arrivato «un sussulto di umanità e di libertà verso una vittima sacrificale del codice deontologico dei medici e della legge».



Naturalmente, e già alcune reazioni a una decisione destinata a fare molto discutere vanno in questo senso, si parlerà di un intervento a favore dell'eutanasia. Ma i giudici, in 60 pagine di motivazioni, hanno usato quel termine una sola volta. Per escludere che il rifiuto delle terapie mediche, anche quando conduce alla morte, possa essere scambiato per eutanasia e cioè per un comportamento che intende abbreviare la vita, provocando in maniera deliberata la morte. Un rifiuto di questo genere, invece, esprime, sottolineano i giudici, «un atteggiamento di scelta da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale».



Piergiorgio Welby non viene mai citato nella sentenza, ma lui e Eluana diventano, certo loro malgrado, simboli delle due condizioni che la Cassazione ha preso in considerazione. Il caso Welby è quello di uomo in possesso della capacità di intendere e volere che sceglie di respingere terapie che ritiene serviranno solo a prolungare l'agonia. Per queste situazioni la Corte spiega che «deve escludersi che il diritto all'autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite allorchè da esso consegua il sacrificio del bene della vita». I giudici precisano che la salute dell'individuo non può essere oggetto di un atto di imposizione coattiva. Certo, il medico può avviare, nel rispetto del percorso culturale del paziente, una «strategia della persuasione», in sintonia anche con il compito solidaristico dell'ordinamento giuridico. Ma se poi il rifiuto delle cure resiste ed è «informato, autentico e attuale» non può essere aggirato nel nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico.

Il diritto del singolo alla salute è un diritto di libertà che comprende anche un risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, «di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell'interessato, finanche di lasciarsi morire».



Il caso di Eulana Englaro però è diverso. La donna infatti è in stato vegetativo da anni, è alimentata da un sondino e idratata artificialmente. In una situazione come questa, per la quale la stessa Cassazione conclude per l'incapacità di vivere esperienze cognitive ed emotive, un ruolo di primo piano lo svolge il tutore (nel caso di Eluana è il padre). È lui che deve ricostruire la volontà del paziente, tenendo conto dei desideri espressi prima di perdere la coscienza, della sua persona-lità, del suo stile di vita, delle sue inclinazioni, dei valori di riferimento e delle convinzioni etiche, religiose e culturali.

La Cassazione afferma con forza il diritto alla vita e alla continuazione delle cure per chi è in stato vegetativo permanente. Ma non ignora la realtà di chi lega la propria dignità «alla vita di esperienza e questa alla coscienza » ritenendo insensata la prosecuzione della vita priva della percezione del mondo esterno e di una sintonia tra corpo e mente. È allora che l'autorità giudiziaria può assentire all'interruzione del trattamento medico (che non è accanimento) chiesta da chi rappresenta il paziente. Una maniera per rispettare il malato all'interno di uno Stato pluralista, che è possibile a due condizioni: irreversibilità dello stato vegetativo e presenza di elementi di prova chiari e convincenti della voce del paziente e del suo modo di interpretare l'idea di dignità della persona.



Il testo della sentenza

venerdì 19 ottobre 2007

 
Politica e persone: cosa sta succedendo?



Comunità dell’Isolotto – Firenze, 14.10.2007

riflessioni di Carlo, Claudia, Luisella, Maurizio

 

1.       Letture dal Vangelo

2.       L’agire politico

3.       Il partito democratico  

4.       I candidati alla segreteria

5.      Allegato 1 : i regolamenti

 

 

1.      Letture dal Vangelo

 

“Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.

Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.”

                                                                                                                                 [Matteo, 5, 13-16] 

 

“Sorse anche una discussione, chi tra di loro poteva essere considerato il più grande. Egli disse : I re delle nazioni le governano e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra di voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è il più grande, chi sta a tavola o chi serve ? Non è forse colui che sta a tavola ? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve .”

                                                                                                                                 [Luca, 22, 24-27]

 

“Interrogato dai Farisei su quando verrà il regno di Dio, Gesù rispose : il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà : eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi.”

                                                                                                                                 [Luca, 17, 20-21]

 

 

            Le parole del Vangelo sembrano richiamare gli uomini a vivere appieno nel loro tempo e nel loro mondo testimoniando le proprie convinzioni con il loro agire. Queste parole sembrano dare anche un’indicazione sul modo di agire: farsi “in mezzo a voi come colui che serve”. Infine, il regno di Dio, il luogo della giustizia, della uguaglianza e della pace è in mezzo agli uomini e sta agli uomini di buona volontà costruirlo nell’oggi.

            Qual è il modo in cui ci sentiamo di essere parte del mondo? la politica, della quale si sente ormai sistematicamente dire che “è lontana dalla gente” sia che si parli dell’Europa sia che ci si occupi dei problemi del quartiere, da una parte ci pone di fronte ai modi convenzionali di esprimersi (i partiti, le elezioni, la delega), da un altra si trasforma in antipolitica con espressioni anche dirompenti (Grillo oggi, i disobbedienti ieri).

E poi, in che modo ci si può o si deve occupare di politica? Di fronte ai più diversi problemi come sappiamo le azioni che possono essere attuate sono anche diametralmente opposte a seconda della posizione (delle convinzioni, della ideologia) di chi si trova ad avere il potere di decidere.

 

 2. L’agire politico

Non si dice certo niente di nuovo affermando che stiamo vivendo un periodo di grande disorientamento dei cittadini nei confronti di ciò che sta succedendo nel mondo politico o meglio nel mondo dei politici, si avverte in tanti il desiderio di un forte cambiamento, di un nuovo modo di far politica. E’ quanto mai necessario che gli elettori dell’Unione si attivino per superare questa crisi,   abbattere le reciproche diffidenze, chiudere queste infinite discussioni in cui uno, pur di avere visibilità, deve  per forza contrapporsi prepotentemente ad altri; sarebbe bello che ciascuno si mettesse in gioco, aprendosi al dialogo con chi non ha le sue stesse identiche posizioni, dialogo significa sostenere con forza le proprie idee, ma essere anche disposti ad ascoltare ed eventualmente lasciarsi contaminare se le tesi dell’ “avversario” alla fine risultassero   in qualche modo condivisibili. E’ importante impegnarsi a cercare insieme una sintesi costruttiva che porti fuori il nostro paese dallo stallo in cui si trova. E’ un sogno?…. Forse, ma non è il momento di rinunciare a mettere di nuovo in atto tutti i tentativi perché possa cominciare a diventare realtà.

Si va manifestando ancora una volta il bisogno di partecipazione attiva alla vita politica del nostro paese, la voglia di esprimersi e di essere ascoltati, di portare avanti insieme un progetto che possa coinvolgere soggetti che finora hanno percorso strade parallele senza mai incontrarsi, ovvero solo talvolta per scontrarsi. E’ per noi interessante porre attenzione a tutto ciò che si muove nel centro-sinistra: dalla formazione del nuovo PD, al movimento “Per una sinistra unita e plurale”, partecipando e dimostrando così che un altro modo di fare politica è possibile.

Ognuno deve scegliere la sua strada ed impegnarsi con la consapevolezza che ogni presenza è importante se concorre a realizzare una società più giusta.

E’ sempre di grande attualità il saggio di Max Weber “La politica come professione” dove si distinguono due modi fondamentali dell’ agire politico: uno ispirato all’ etica della convinzione, l’altro all’etica della responsabilità. Chi segue la prima, punta alla realizzazione dei propri principi tenendo in scarso conto gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del suo progetto, ma andando dritto per la sua strada, costi quel che costi, anche a prezzo di divisioni e conseguentemente di indebolimento del potere di incidere sulla realtà, non è disposto a cercare soluzioni parziali. Chi segue la seconda si preoccupa di misurare le sue forze con le difficoltà che incontra, valuta la possibilità di realizzazione dei suoi progetti, si accontenta di piccoli insoddisfacenti passi avanti nella direzione che ha scelto, talvolta accettando soluzioni di compromesso o meglio di mediazione

Weber conclude il suo saggio dicendo “..l’etica della convinzione e quella della responsabilità non sono antitetiche, ma si completano a vicenda e solo congiunte formano il vero uomo. Quello che può avere la vocazione alla politica…La politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. E’ perfettamente esatto e confermato da tutta l’esperienza storica che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile

 

3.1 Che cos’è il Partito Democratico?

Partito Democratico (PD) è il progetto di un nuovo partito politico italiano di centro-sinistra, la cui nascita è prevista per il 14 ottobre 2007. L'intento del costituendo partito è riunire i moderati dell’Unione, in continuità con le esperienze de L'Ulivo.

Aderiscono al progetto, aperto alla cittadinanza:



  • i Democratici di Sinistra;



  • Democrazia è Libertà - La Margherita;



  • il Movimento Repubblicani Europei (guidato da Luciana Sbarbati);



  • il Partito Democratico Meridionale (guidato da Agazio Loiero);



  • il movimento Progetto Sardegna (guidato da Renato Soru);



  • il movimento Alleanza dei Riformisti (guidato da Ottaviano Del Turco e Claudio Signorile);



  • il movimento Italia di Mezzo (guidato da Marco Follini);



  • il movimento Socialisti liberal per il Partito democratico (guidato da Claudio Nicolini);



  • il movimento Repubblicani Democratici (guidato da Giuseppe Ossorio).



Non aderiscono al progetto :



  • l’Italia dei Valori di A.Di Pietro (che avendo rifiutato di sciogliere il proprio movimento è stato escluso dalle "Primarie del 14 ottobre" cui pure si era candidato),



  • alcuni partiti che fanno parte della Costituente Socialista (Socialisti Democratici Italiani e I Socialisti Italiani);



  • la Sinistra Democratica (ex-Sinistra-DS). Nei DS si mostrò da subito contraria al PD la sinistra interna, il vecchio Correntone, guidata da Fabio Mussi e Cesare Salvi



  • il Partito Socialista Democratico Italiano (che pure aveva fatto parte della lista de L'Ulivo).



 Il progetto, che ha in Romano Prodi il principale sostenitore ed ispiratore, prevede la costituzione di un partito unitario che unisca le cosiddette "culture riformiste italiane", cioè quella cristiano-democratica e sociale, quella liberale e liberale sociale, quella socialdemocratica nonché culture politiche maggiormente legate alla storia degli ultimi decenni come l'ambientalismo. Tra gli obiettivi del progetto, vi è anche l'intenzione di un coinvolgimento maggiore della società civile e del cosiddetto "popolo delle primarie".

Riguardo alla prossima costituzione del Partito Democratico, le opinioni sono diverse non solo fra i partiti che hanno deciso di non confluire nel nuovo partito ma anche fra quelli che, facendo parte dell’area del centrosinistra, hanno dato la loro adesione alla nuova formazione.   

In particolare ci sembrano degne di riflessione le posizioni provenienti da due gruppi dell’area del cattolicesimo progressista, uno “Agire Politicamente” (coordinamento dei cattolici democratici fondato nel 1998) e l’altro dall’ex presidente dell’Azione Cattolica.

Nel primo caso, in occasione dell’ultimo seminario nazionale, il documento finale afferma che “Agire Politicamente guarda con speranza al processo di costituzione del nuovo partito poiché ritiene significativo l’incontro fra le tre grandi culture che hanno elaborato la Carta Costituzionale e ispirato la politica italiana del secondo dopoguerra : il personalismo comunitario del cattolicesimo democratico, l’umanesimo socialista e la prospettiva liberale dei diritti individuali”. Agire Politicamente osserva inoltre che “la formazione delle liste di collegio e la scelta di ordine dei candidati dovrebbe avvenire attraverso percorsi di democrazia partecipata e debba costituire una occasione per dibattere i grandi problemi dell’Italia in vista di una elaborazione allargata dello stesso progetto politico del partito.”

Dario Franceschini, candidato alla vicesegreteria del PD e intervenuto al seminario, ritiene che “i valori del cattolicesimo democratico verranno riversati in un partito più grande e diventeranno un patrimonio di tutti se sarà scelto il dialogo come metodo e la laicità come orizzonte. I temi eticamente sensibili non possono essere liquidati con la formula della libertà di coscienza, ma nemmeno ci si potrà arroccare sulla propria verità: bisognerà dialogare e individuare il pezzo di verità sicuramente presente anche nelle ragioni dell’altro ed elaborare una proposta condivisa.”

Viceversa, l’ex presidente dell’Azione Cattolica e cofondatore di Agire Politicamente Alberto Monticone pensa che quella del Partito Democratico sia una operazione di potere della politica politicante e che, nonostante la maschera delle primarie, sia mortificata la possibilità di partecipazione dei cittadini e si dissolva la tradizione del cattolicesimo democratico.    

A suo parere “il dilemma fra operare come singoli quale lievito nella pasta (criterio altamente cristiano ma non politico) e quella di formare una corrente nel partito (diversa da quelle democristiane che avevano una base comune) sono entrambe perdenti.”

Vale la pena di ricordare che non aderirà al Partito Democratico l’ala della sinistra dei DS che si è avvicinata agli altri partiti della sinistra che sostengono il governo Prodi nel tentativo di costituire un soggetto unitario.

 

3.2 La redazione del Manifesto del Partito Democratico

Romano Prodi nel 2006, incaricò tredici personalità di spicco del mondo della cultura e della politica[1] di redigere un Manifesto per il PD utile a enunciare i valori del nuovo soggetto politico, e possibile bozza e base provvisoria per un futuro manifesto di valori da redigere successivamente la nascita del partito. Il documento reso pubblico nel dicembre del 2006, consta di 14 pagine ed è diviso in tre parti:



  • Noi, i democratici



  • L'Italia, una nazione d'Europa



  • L'Ulivo, il nostro partito



I concetti cruciali espressi dal Manifesto sono:



  • l'interesse nazionale unisce gli aderenti al progetto del Partito Democratico;



  • le parole chiave del nuovo soggetto saranno libertà e dignità;



  • la collocazione internazionale sarà estranea al PPE, e in sinergia ma esterna al PSE;



  • è irrinunciabile il metodo delle elezioni primarie nella scelta dei candidati;



  • la laicità è da intendere come presenza pluralista, valorizzata e attiva di diverse visioni morali e delle varie religioni;



  • è da sottolineare l'importanza della difesa della Costituzione, conservando i rapporti da essa previsti tra Stato e Chiesa.



 

3.3 Preoccupazioni e nodi problematici

 

1) La collocazione europea è uno tra i principali nodi circa il PD: attualmente i DS fanno parte del Partito Socialista Europeo mentre La Margherita è membro fondatore del Partito Democratico Europeo[2].

 

2) Tra le maggiori preoccupazioni, sia nella Margherita che soprattutti tra i DS, è l'idea che il PD comporti la rinuncia alle proprie identità storiche in un progetto che non rappresenterebbe una sintesi, bensì o un compromesso al ribasso.

 

3) Altro tema caldo è la laicità del partito e, in rapporto al dibattito politico contingente, l'approvazione del disegno di legge del governo sui DiCo (ma non solo), con profondi contrasti tra la cosiddetta ala teodem della Margherita e il resto del partito e dei DS.

 

Cosa ne pensiamo?

 

3.4 Il Comitato “14 ottobre”

Il “14 ottobre 2007” con le cosiddette primarie sarà eletta la “Assemblea costituente del Partito democratico.

A maggio 2007 è stato costituito il "Comitato 14 ottobre" (così chiamato con riferimento alla data in cui sarà eletta l'assemblea costituente del Partito Democratico) formato da 45 membri[3], poi allargato ad altri componenti. Questo comitato ha definito compiti, modalità e obiettivi dell'Assemblea costituente del Pd che sarà eletta il 14 ottobre con le primarie. Inoltre ha deciso le regole per la formazione di liste per l'elezione all'Assemblea Costituente collegate al candidato segretario, il quale potrà essere appoggiato anche da più liste, numero minimo di 100 firme per la presentazione delle candidature.

 

 

4. I candidati

I candidati ammessi alle primarie del 14 ottobre sono:


Mario Adinolfi (Roma15 agosto 1971) è un giornalista, scrittore e blogger italiano.

Dalla fine degli anni Ottanta, scrive per Europa, Avvenire, Radio Vaticana, Il Popolo, La Discussione. Approda poi alla RAI dove lavorerà per il TG1. Attualmente è autore e conduttore di programmi radiofonici e televisivi per l'emittente pubblica e per varie emittenti private.

Politicamente ha militato prima nella DC, poi nel PPI e ora nell'area centrista del centrosinistra.

Nel 2006 fonda l'associazione per il PD Democratico Generazione U, animata da blogger under 40 di centrosinistra.

È stato uno dei sostenitori del progetto politico de i Mille, insieme, tra gli altri, a Ivan Scalfarotto e Luca Sofri. Abbandona tuttavia il progetto quando i Mille decidono di sostenere Walter Veltroni come segretario del Partito Democratico.

Afferma di candidarsi alle primarie del PD da “outsider vero perché, come spiega nella sua Dichiarazioni di intenti sul sito dell’Ulivo, non è “né ministro, né sindaco, né senatore, né sottosegretario”. Si ritiene un rappresentante dei nati tra gli anni Settanta e Ottanta. Per questo nel 2006 fonda l'associazione per il partito democratico Generazione U, che si rivolge soprattutto agli under 40 di centrosinistra. Ventotto milioni di italiani hanno meno di 40 anni. Su oltre 300 eletti in Parlamento, l'Ulivo non ha in rappresentanza di  questi 28 milioni di cittadini neanche un eletto!

Adinolfi ha dichiarato che il primo atto che compierà sarà  chiedere a chiunque firmerà per la mia candidatura di firmare  contestualmente anche il referendum sulla riforma elettorale.

Le idee su cui si fonda la campagna elettorale di Adinolfi sono “democrazia diretta, rappresentanza generazionale, rottura degli schemi oligarchici dei partiti, sostegno al referendum elettorale.

 Le proposte di cui parla l’outsider Adinolfi ruotano attorno a tre numeri: cento, due, zero.

Cento è la quota proponibile per sostenere il sistema pensionistico. Significa sessant'anni di età e quaranta di contributi, oppure sessantacinque anni di età e trentacinque di contributi, esclusi i lavori usuranti. Parificazione dell'età tra uomini e donne.

Due è la percentuale del Pil italiano che verrebbe investita in ricerca scientifica, partendo dall'assegnazione di “strumenti di decenza economica” per i giovani ricercatori universitari.

Due è anche il numero della giovane coppia, che si vuole costituire come nucleo stabile all'interno della società, a prescindere dall'orientamento sessuale.

Due sono i bisogni primari da soddisfare dalla coppia: casa e lavoro.

Zero. interessi sui mutui per le giovani coppie che acquistano la prima casa con risorse pubbliche che si liberano dalla ristrutturazione del welfare attraverso la proposta "quota cento", che potrà prevedere ad ammortizzatori sociali.

zero vincoli all'ingresso nelle libere professioni, che devono essere libere appunto, dopo l'ottenimento dei titoli di studio per esercitarle.

zero dubbi sul fatto che lo Stato è laico, laico, laico e lo stesso zero dubbi sul fatto che la Chiesa abbia diritto di esprimere in piena libertà le proprie opinioni, perché il partito democratico è l'occasione storica per abbattere definitivamente un anacronistico steccato.

zero discussioni sull’emergenza ambientale,

zero costi della politica che dovrebbe essere costruita tutta su base volontaria,

zero caste;

zero vincoli all'accesso alla rete, alla scaricabilità di contenuti in peer to peer per l'utilizzo personale, alla diffusione della banda larga anche attraverso il WiMax, alla libertà del web.

zero mafia, zero camorra, zero 'ndrangheta,

zero omissis sui misteri d'Italia,

zero rispetto per i terroristi, zero trame oscure,

zero strapotere delle banche, zero conflitti d'interesse,

zero dominio della politica sull'informazione e sulla Rai,

zero umiliazioni per i consumatori,

zero evasione fiscale,

zero riduzione in schiavitù di bambini rom e giovani prostitute,

zero disparità e conseguente parità piena della condizione femminile.

Zero sfruttamento dell'uomo sull'uomo, in qualsiasi forma, anche in quella moderna di un contratto co.co.pro in un call center a seicento euro al mese.

 

Rosy Bindi (Sinalunga12 febbraio 1951) è esponente di spicco della Margherita. Laureata in scienze politiche, ricercatore universitario in Diritto Amministrativo, era accanto a Vittorio Bachelet nel momento del suo assassinio il 12 febbraio 1980. E’ stata impegnata nell'Azione Cattolica, di cui è stata vicepresidente nazionale dal 1984 al 1989.

Ha iniziato la carriera politica nella Democrazia Cristiana: nel 1989 candidata alle elezioni europee con la DC è stata eletta ed è diventata vicepresidente della commissione cooperazione e sviluppo e poi presidente della commissione petizioni e diritti dei cittadini.

Dopo la fine della DC aderisce al Partito Popolare Italiano con cui diviene deputato nazionale nel 1994. Si è impegnata per la nascita della coalizione di centro-sinistra L'Ulivo. Nel 1996, dopo la vittoria elettorale dell'Ulivo, viene nominata ministro della Sanità, incarico che mantiene per circa quattro anni: in questa veste vara nel 1999 la riforma del Servizio sanitario nazionale.

Nel 2001 è rieletta alla Camera dei Deputati per la 3° volta nel collegio di Cortona (Toscana).

Rieletta alla Camera dopo le elezioni politiche del 2006 nella circoscrizione della Toscana, è nominata nel secondo governo Prodi, Ministero per le Politiche per la Famiglia.

Il suo nome è legato anche al disegno di legge sui Dico, i diritti e doveri delle convivenze, per il quale ha ricevuto aspre critiche dalla maggior parte del mondo ecclesiale e da molte associazioni cattoliche.

 

Enrico Letta : E’ un giovane, per la politica italiana, deputato quarantunenne della Margherita con alle spalle una lunga carriera politica e con una forte vocazione europeista: da presidente dei Giovani democristiani europei (1991-1995) a ministro delle Politiche comunitarie (1998-1999), a soli 32 anni. E’ stato anche ministro dell'Industria (2000-2001) e parlamentare europeo per l’Ulivo. Nel 2006 lascia l’incarico a Bruxelles dopo essere stato nominato segretario alla presidenza del Consiglio dei ministri del Governo Prodi. Vorrebbe che il Pd “riconquistasse la parola libertà”. E’ a favore di “una politica che decida: fatti precisi, concreti, scelte”. E si propone, come altri candidati, di dare voce alla silente generazione degli anni Ottanta.

Si presenta come il “più” giovane e pertanto si rivolge con forza e convinzione ai giovani e alcune sue proposte sono sicuramente dirompenti quali quella di eliminare l’attuale sistema pensionistico dei parlamentari e sostituirlo con quello “contributivo”

Con Enrico Letta la sfida al rinnovamento della politica si sposta radicalmente sui contenuti e sulle scelte concrete di governo. Le parole chiave natalità, mobilità e libertà danno il senso di un riformismo sociale e politico che apre orizzonti nuovi. L’aderenza delle sue proposte ai problemi e la concretezza delle soluzioni indicate sono la vera risposta alla crisi della politica. E Letta si misura, forte dell’esperienza sul campo, con la nuova composizione sociale e produttiva delle nostre regioni con stile pragmatico e dialogante, ascoltando le istanze di tutti e conoscendone da vicino i bisogni, le richieste e le aspirazioni.

Il partito democratico che sta nel progetto di Enrico Letta si lascia alle spalle i vincoli ideologici senza rinunciare ad un profondo radicamento culturale: il senso, la natura della politica è il progressivo miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle persone. È un partito che sceglie un’etica del servizio e insieme una forte tensione per la modernizzazione del Paese. La sua opzione si confronta con i cambiamenti avvenuti, in particolare nelle regioni del Nord, sa ascoltare e comprendere le buone ragioni degli altri: dice la verità con garbo e misura, lontano dalla politica futile e televisiva degli effetti speciali e delle polemiche messe in scena più per impressionare che per convincere.

La sua proposta si confronta e si misura con le grandi questioni aperte del nostro tempo da uomo libero dalle appartenenze, dai legami ideologici e dalle connivenze corporative. L’autonomia della società, che a Milano e nel Nord del paese si chiama sussidiarietà, è al centro della sua proposta e si traduce in un’idea del Partito democratico federalista e radicato nei territori. E l’autonomia della società, la libertà degli individui, è ciò che maggiormente distingue l’impostazione di Letta dalle altre due principali opzioni in campo: una ecumenicamente sbilanciata su una grande semplificazione comunicativa centralizzata, l’altra di tipo più integrista e non priva di venature ideologiche.

 

Pier Giorgio Gawronski (Roma1957) è un economista e giornalista italiano. Laureato in economia, ha compiuto delle esperienze a favore dei diritti umani in America Latina per conto di Amnesty International (1979-1984). In Cile ha avviato la sua attività di giornalista free-lance, concentrandosi sul tema della povertà. Ha lavorato in alcune organizzazioni internazionali (OCSE, UNCTAD) e ha tenuto cattedre di economia in alcune università. In Italia, a partire dal 2000 ha avviato un impegno politico: è stato consulente economico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato parte attiva dei comitati dei "Cittadini per l'Ulivo", esprimendo critiche nei confronti della classe dirigente in carica accusata di aver provocato il "deterioramento" delle istituzioni. La sua candidatura alle primarie del PD è sostenuta anche dall’economista Jacopo Gavazzoli Schettini.

Jacopo Gavazzoli Schettini (Firenze, 1965) è un economista italiano. Laureato in studi strategici a Firenze, ha esperienza nel campo dei mercati finanziari internazionali. I temi sui quali spende il suo impegno sono la responsabilità sociale d'impresa, lo sviluppo sostenibile e la finanza etica, per conto dell'Agenzia Europea di Investimenti Standard Ethics, di cui diventa direttore esecutivo.Il suo orizzonte politico dichiarato è quello che abbraccia i valori della sinistra europea e liberale, con una società aperta non solo ai valori di equità e giustizia, ma anche di efficienza dei servizi dello Stato e dello sviluppo economico. Ha avuto un'esperienza politica giovanile nel negli anni 80 nel Partito Repubblicano Italiano.

Le parole chiave di Gawronski e Schettini sono sviluppo economico, tenuta dei conti pubblici, controllo della spesa pubblica e del debito pubblico, efficienza dello Stato, liberalizzazioni.

 

Allegato 1 : i regolamenti

 

Per lo svolgimento delle elezioni primarie e della campagna elettorale sono stati definiti due distinti regolamenti di autodisciplina , i cui passaggi più significativi sono i seguenti :

 

Regolamento per lo svolgimento delle elezioni primarie per l’assemblea costituente del partito democratico

 

Articolo 1 (Indizione dell’elezione e titolari dell’elettorato attivo e passivo)

2.      Possono partecipare in qualità di elettori e di candidati tutte le cittadine ed i cittadini italiani che al 14 ottobre abbiano compiuto sedici anni nonché, con i medesimi requisiti di età, le cittadine e i cittadini dell’Unione Europea residenti, le cittadine e i cittadini di altri Paesi in possesso di permesso di soggiorno, i quali al momento del voto dichiarino di voler partecipare al processo costituente del Partito Democratico e devolvano un contributo minimo di € 5, ridotto a € 2 per le elettrici e gli elettori che non abbiano ancora compiuto venticinque anni.



  1. Con successivo regolamento vengono stabilite le modalità di elezione delle Assemblee provinciali e dei Segretari provinciali, da tenersi entro il 31 dicembre 2007.



 

Articolo 2 (Funzioni degli organi da eleggere)



  1. L’Assemblea Nazionale, convocata da Romano Prodi che ne assume la Presidenza, si riunisce per la prima seduta il 27 ottobre 2007. Essa approva il Manifesto e lo Statuto nazionale del Partito ed assolve ad ogni altra funzione attribuitale dalle norme transitorie e finali dello Statuto.






  2.  



Articolo 6 (Ripartizione dei seggi per l’Assemblea Costituente Nazionale)

1.      Per la ripartizione dei seggi della Assemblea Nazionale, si fa riferimento ai collegi e alle circoscrizioni di cui alla legge 4 agosto 1993, n. 277. Milleduecento seggi vengono distribuiti tra le circoscrizioni in proporzione al numero di residenti e milleduecento seggi in proporzione al numero dei voti conseguiti dall’Ulivo nelle elezioni del 2006 per la Camera dei deputati, in entrambi i casi sulla base del metodo dei quozienti interi e dei più alti resti.

2.      I seggi così assegnati a ciascuna circoscrizione vengono ripartiti tra i collegi in proporzione ai voti conseguiti dall’Ulivo nelle elezioni del 2006 per la Camera dei deputati sulla base del metodo dei quozienti interi e dei più alti resti. Qualora uno o più collegi abbiano ottenuto con tale metodo meno di tre seggi, ne ottengono tre. Si procede quindi nuovamente alla ripartizione di tutti i seggi tra gli altri collegi, sempre in proporzione ai voti conseguiti dall’Ulivo nelle elezioni del 2006 per la Camera dei deputati sulla base del metodo dei quozienti interi e più alti resti, reiterando eventualmente il computo fino a che tutti i collegi ottengano un minimo di tre seggi.




Articolo 7 (Candidature)

1.      Le liste per l'elezione dell’Assemblea Nazionale devono comprendere un numero di candidati non superiore al numero dei componenti da eleggere nei relativi collegi e non inferiore ai due terzi, con

arrotondamento all'unità superiore qualora il numero dei candidati da comprendere nella lista contenga una cifra decimale superiore a 50. A pena di inammissibilità, le liste devono essere composte alternando candidati di sesso diverso. A pena di inammissibilità, se il numero di liste tra loro collegate in ambito circoscrizionale è pari, non più della metà di tali liste possono avere come capolista persone dello stesso sesso; se il numero di liste tra loro collegate in ambito circoscrizionale è dispari, la differenza di numero tra capilista di sesso diverso non può essere superiore a una unità.

2.      Le candidature nei collegi sono presentate all’Ufficio tecnico amministrativo territorialmente competente. Le candidature all’Assemblea Nazionale devono essere corredate dalle sottoscrizioni di almeno cento e non più di centocinquanta aventi diritto nei rispettivi collegi, autenticate da almeno un consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale. Nessuno può sottoscrivere più di una lista.

3.      Nessuno può candidarsi in più di un collegio per l’elezione dell’Assemblea Nazionale.

4.      Non è ammessa la candidatura di persone notoriamente appartenenti a forze politiche o ad ispirazioni ideali non riconducibili al progetto dell’Ulivo-Partito Democratico.

5.      Non è ammessa la candidatura di persone che, alla data di presentazione delle candidature, si trovino in una delle situazioni previste dall’art. 1 del codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare il 3 aprile 2007.

 

Articolo 9 (Disciplina della campagna elettorale)

1.Al fine di contenere i costi della campagna elettorale in vista delle elezioni di cui al presente regolamento, non è in ogni caso ammessa la pubblicazione a pagamento di messaggi pubblicitari o di propaganda

elettorale su mezzi radiotelevisivi, testate giornalistiche o altri organi di stampa e informazione.

2. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, il Collegio Nazionale dei Garanti, entro quindici giorni dalla nomina dei suoi componenti, predispone un regolamento di autodisciplina della campagna elettorale, idoneo ad assicurare condizioni di parità fra i candidati, con riferimento anche all’entità massima, alle modalità e alla documentazione delle spese.




Articolo 10 (Voto)

1. Per essere ammessi al voto, che si svolge in unica giornata dalle ore 7 alle ore 20, occorre esibire al seggio un documento di identificazione e, ad eccezione dei non ancora maggiorenni e dei non cittadini, la propria tessera elettorale.

 

 

Articolo 11 (Procedimento elettorale)

5. Gli elettori possono esprimere un unico voto in un’unica colonna di ciascuna scheda. Il voto si considera valido in qualsiasi punto della colonna sia stato apposto un segno. Sono considerate non valide le schede che presentino segni di votazione che ricadono all’interno di due o più colonne.

1. Qualora sia stata eletta una maggioranza assoluta di componenti l’Assemblea a sostegno di un candidato Segretario, il Presidente dell’Assemblea Costituente Nazionale lo proclama eletto alla apertura della prima seduta dell’Assemblea stessa; in caso contrario il Presidente indice in quella stessa seduta un ballottaggio a scrutinio segreto tra i due candidati collegati al maggior numero di componenti l’Assemblea e proclama eletto Segretario il candidato che ha ricevuto il maggior numero di voti validamente espressi.

 

Articolo 15 (Elezione dei Segretari Regionali)

1. Qualora vi sia, tra i componenti eletti all’Assemblea Costituente Regionale ai sensi del precedente articolo 13, una maggioranza assoluta di componenti eletti a sostegno di un candidato Segretario Regionale, il Presidente dell’Assemblea lo proclama eletto all’apertura della prima seduta dell’Assemblea stessa; in caso contrario il Presidente indice in quella stessa seduta un ballottaggio a scrutinio segreto tra i due candidati collegati al maggior numero di componenti l’Assemblea eletti ai sensi del precedente articolo 13 e proclama Segretario Regionale il candidato che ha ricevuto il maggior numero di voti validamente espressi.

Regolamento di autodisciplina della campagna elettorale

 

Articolo 4 (Contenimento dei costi e mezzi di propaganda consentiti)

· La campagna elettorale dei candidati e delle liste è improntata a criteri di sobrietà. Al fine di contenere i relativi costi non è in ogni caso ammessa, da parte delle liste e dei candidati la pubblicazione a pagamento di messaggi pubblicitari o di propaganda elettorale su mezzi radiotelevisivi, testate giornalistiche o altri organi di stampa e informazione.

 

Articolo 5 (Limiti di spesa)

· Le spese della campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di segretario nazionale non possono superare l’importo di duecentocinquantamila euro, quelle relative alla carica di segretario regionale, cinquantamila euro, quelle relative ai componenti dell’assemblea costituente, cinquemila euro. I contributi o i servizi erogati da ciascuna persona fisica o persona giuridica non possono superare l’importo o il valore di diecimila euro. Il limite è elevato a venticinquemila euro per i candidati alla carica di segretario nazionale.

· Entro il 15 ottobre 2007, tutti i candidati trasmettono al Collegio dei Garanti della propria circoscrizione, personalmente o tramite un proprio mandatario, una dichiarazione contenente un rendiconto relativo ai contributi e servizi ricevuti ed alle spese sostenute. Vanno analiticamente riportati, attraverso l’indicazione nominativa, anche mediante attestazione del solo candidato, i contributi e servizi provenienti da persone fisiche e giuridiche, di valore superiore a mille euro. Tale limite è elevato a tremila euro per i candidati alla carica di segretario regionale e cinquemila euro per i candidati alla carica di segretario nazionale. Vanno inoltre allegati gli estratti dei conti correnti bancario ed eventualmente postale utilizzati. Il Collegio cura la pubblicità delle dichiarazioni, anche mediante la pubblicazione sulla rete web, garantendo comunque modalità che ne consentano la consultazione da chiunque ne faccia richiesta.

· Il Collegio dei Garanti competente per territorio controlla le dichiarazioni di cui all’articolo 5, rendendo pubblica una relazione entro il 15 dicembre 2007. Ciascun candidato è tenuto, senza ritardo, a mostrare o consegnare copia della documentazione di cui al comma 1 al Collegio dei Garanti competente, qualora questo ne faccia richiesta.

 








[2]  il PSE, nel recente congresso tenutosi a Porto, ha modificato il proprio Statuto, definendosi come forza politica aperta a tutti i partiti europei "di ispirazione socialista, progressista e democratica" allargandosi a partiti e movimenti progressisti che non provengono necessariamente dallo storico campo delle sinistre europee; modifica considerata come un'apertura ai problemi avanzati dalla Margherita in Italia, che però ha mostrato di non cambiare il suo atteggiamento di chiusura verso un ingresso nel PSE, nemmeno dopo questa modifica.