Translate

lunedì 21 luglio 2008

MALATI DA RISPETTARE

 

Caro direttore, la dignità della vita non si discute. Che si tratti di un neonato, di un giovane ammalato, di un anziano disabile o di una persona in stato vegetativo permanente, il valore di quell’esistenza va sempre riconosciuto e rispettato. Tuttavia, di fronte a malattie incurabili che segnano il destino di un essere umano, o di fronte ad una condizione irreversibile come quella di Eluana Englaro, non c’è un solo modo di rapportarsi, non c’è chi ha ragione o chi ha torto, c’è solo un drammatico bisogno di rispetto dei diritti e della dignità.

Le due testimonianze pubblicate nei giorni scorsi su Repubblica dimostrano proprio questo: due donne con la stessa malattia, con il medesimo ineluttabile destino a cui hanno reagito in maniera diametralmente opposta. Una ha scelto di liberarsi dalla sofferenza ponendo fine alla propria esistenza in tragica solitudine. La seconda ha scelto invece di continuare a vivere e ci ricorda, con una forza che obbliga a riflettere, le carenze organizzative di un sistema che non le garantisce tutti i supporti medici e tecnologici che oggi esistono. A questa donna, e a tutti coloro che vivono in situazioni drammaticamente simili, va detto che non c’è nessun motivo per cui il diritto a continuare a vivere non debba essere affermato e difeso. Ci mancherebbe altro! AIlo stesso tempo è difficile non riconoscere che un paziente possa sentirsi abbandonato quando deve lottare per ottenere quegli strumenti e quelle attrezzature mediche indispensabili a garantire il proseguimento della vita in maniera dignitosa.

Ma le responsabilità non vanno attribuite solo e genericamente allo Stato, piuttosto il dito va puntato anche contro l’inerzia delle amministrazioni sanitarie regionali che sono spesso all’origine di gravi disfunzioni e della mancata assistenza a questi malati. I responsabili hanno un nome e cognome, sono quasi sempre i funzionari di un assessorato che non portano avanti le pratiche con la dovuta celerità, che non hanno la sensibilità di capire che dietro alle carte c’è la vita di una persona che attende una firma, un’autorizzazione. Non c’è una strategia nelle loro azioni, la chiamerei piuttosto imperdonabile e gravissima sciatteria. Ciò di cui si dovrebbe dibattere, per arrivare ad una legge che regolamenti la materia in modo chiaro, è il rispetto delle volontà dell’individuo di fronte alla malattia. C’è chi, per motivi personali, culturali, religiosi o altro, afferma la propria volontà di ricevere ogni cura di fronte ad ogni circostanza avversa. Sono persone coraggiose che devono essere ascoltate, sostenute e assistite con ogni mezzo e sostegno economico possibile. Ma c’è anche chi preferisce rinunciare a terapie che considera sproporzionate per se stesso. Ci sono persone che non giudicano accettabile l’idea di trascorrere la propria esistenza in stato vegetativo permanente perché ritengono che la vita sia soprattutto relazione con il mondo e se la relazione non c’è più, per loro la vita perde di signfficato. Anche questa posizione va rispettata senza esprimere giudizi.

Nessuno dei due diritti, alle terapie o alla rinuncia delle terapie, può essere negato. E questo ciò che lo Stato deve garantire: parità di diritti a tutti i cittadini, nel caso specifico il rispetto dell’autodeterminazione dei pazienti nelle decisioni terapeutiche. Le due situazioni mettono dunque in luce problemi gravissimi, sono entrambe importanti, ma non sono direttamente collegate. Il rispetto della vita e della persona non è in contraddizione con il rispetto delle volontà del malato, ma per fare in modo che ognuno possa esercitare un diritto è necessaria una legge che si occupi di tutti gli aspetti che riguardano la fine della vita, dal testamento biologico alle cure palliative alle terapie del dolore. Non serve una legge per staccare la spina, ma una legge perché ogni cittadino, sulla base dei propri principi e dell’articolo 32 della Costituzione, possa liberamente decidere ciò che vuole o non vuole nel momento di passaggio dalla vita alla morte.

 - DI IGNAZIO MARINO
da: la Repubblica di venerdì 18 luglio 2008


MALATI DA RISPETTARE

 

Caro direttore, la dignità della vita non si discute. Che si tratti di un neonato, di un giovane ammalato, di un anziano disabile o di una persona in stato vegetativo permanente, il valore di quell’esistenza va sempre riconosciuto e rispettato. Tuttavia, di fronte a malattie incurabili che segnano il destino di un essere umano, o di fronte ad una condizione irreversibile come quella di Eluana Englaro, non c’è un solo modo di rapportarsi, non c’è chi ha ragione o chi ha torto, c’è solo un drammatico bisogno di rispetto dei diritti e della dignità.

Le due testimonianze pubblicate nei giorni scorsi su Repubblica dimostrano proprio questo: due donne con la stessa malattia, con il medesimo ineluttabile destino a cui hanno reagito in maniera diametralmente opposta. Una ha scelto di liberarsi dalla sofferenza ponendo fine alla propria esistenza in tragica solitudine. La seconda ha scelto invece di continuare a vivere e ci ricorda, con una forza che obbliga a riflettere, le carenze organizzative di un sistema che non le garantisce tutti i supporti medici e tecnologici che oggi esistono. A questa donna, e a tutti coloro che vivono in situazioni drammaticamente simili, va detto che non c’è nessun motivo per cui il diritto a continuare a vivere non debba essere affermato e difeso. Ci mancherebbe altro! AIlo stesso tempo è difficile non riconoscere che un paziente possa sentirsi abbandonato quando deve lottare per ottenere quegli strumenti e quelle attrezzature mediche indispensabili a garantire il proseguimento della vita in maniera dignitosa.

Ma le responsabilità non vanno attribuite solo e genericamente allo Stato, piuttosto il dito va puntato anche contro l’inerzia delle amministrazioni sanitarie regionali che sono spesso all’origine di gravi disfunzioni e della mancata assistenza a questi malati. I responsabili hanno un nome e cognome, sono quasi sempre i funzionari di un assessorato che non portano avanti le pratiche con la dovuta celerità, che non hanno la sensibilità di capire che dietro alle carte c’è la vita di una persona che attende una firma, un’autorizzazione. Non c’è una strategia nelle loro azioni, la chiamerei piuttosto imperdonabile e gravissima sciatteria. Ciò di cui si dovrebbe dibattere, per arrivare ad una legge che regolamenti la materia in modo chiaro, è il rispetto delle volontà dell’individuo di fronte alla malattia. C’è chi, per motivi personali, culturali, religiosi o altro, afferma la propria volontà di ricevere ogni cura di fronte ad ogni circostanza avversa. Sono persone coraggiose che devono essere ascoltate, sostenute e assistite con ogni mezzo e sostegno economico possibile. Ma c’è anche chi preferisce rinunciare a terapie che considera sproporzionate per se stesso. Ci sono persone che non giudicano accettabile l’idea di trascorrere la propria esistenza in stato vegetativo permanente perché ritengono che la vita sia soprattutto relazione con il mondo e se la relazione non c’è più, per loro la vita perde di signfficato. Anche questa posizione va rispettata senza esprimere giudizi.

Nessuno dei due diritti, alle terapie o alla rinuncia delle terapie, può essere negato. E questo ciò che lo Stato deve garantire: parità di diritti a tutti i cittadini, nel caso specifico il rispetto dell’autodeterminazione dei pazienti nelle decisioni terapeutiche. Le due situazioni mettono dunque in luce problemi gravissimi, sono entrambe importanti, ma non sono direttamente collegate. Il rispetto della vita e della persona non è in contraddizione con il rispetto delle volontà del malato, ma per fare in modo che ognuno possa esercitare un diritto è necessaria una legge che si occupi di tutti gli aspetti che riguardano la fine della vita, dal testamento biologico alle cure palliative alle terapie del dolore. Non serve una legge per staccare la spina, ma una legge perché ogni cittadino, sulla base dei propri principi e dell’articolo 32 della Costituzione, possa liberamente decidere ciò che vuole o non vuole nel momento di passaggio dalla vita alla morte.

 - DI IGNAZIO MARINO
da: la Repubblica di venerdì 18 luglio 2008


martedì 15 luglio 2008









fondazione michelucci notizie



 






3. Una esperienza di autocostruzione in Toscana


Il 18 luglio 2008 il Comune di Santa Maria a Monte (PI) presenterà pubblicamente il percorso di autocostruzione che intende realizzare, con la collaborazione della Fondazione Michelucci e di Domus sociale. L'appuntamento è al Teatro Comunale, alle ore 21, con la partecipazione del Sindaco David Turini, dell'assessore regionale alle politiche abitative Eugenio Baronti, dell'assessore alle politiche abitative del Comune Andrea Luschi. Parteciperanno anche la Fondazione Michelucci, Domus sociale e la Cooperativa Architettura delle convivenze di Milano.


L'obbiettivo dell'incontro è quello di dare la più larga e documentata informazione alla popolazione interessata (il bando per l'autocostruzione, che sarà pubblicato nei prossimi mesi, sarà rivolto alle famiglie residenti della Provincia di Pisa).

Mentre forme più o meno gravi di disagio e di esclusione abitativa colpiscono aree sempre più vaste di popolazione, l'iniziativa del Comune di Santa Maria a Monte ripropone uno degli strumenti che possono contribuire a politiche di accesso alla casa ad un costo accettabile anche per le fasce sociali più deboli.


Oggi, l’autocostruzione assistita è una procedura edilizia con specifiche e consolidate modalità e tecnologie costruttive, diretta e coordinata da professionisti, attraverso la quale un gruppo associato e volontario di persone o di famiglie realizza, nel tempo libero dal lavoro o dall’occupazione principale, la propria abitazione.

L’autocostruzione consente un abbattimento del costo di costruzione che può oscillare tra il 40 e un 60%. Attualmente, le scelte progettuali e tecnologiche utilizzate nell’autocostruzione assistita consentono di realizzare abitazioni ed edifici competitivi con quelli della produzione corrente sul piano della qualità architettonica, del risparmio energetico, della biocompatibilità.



Negli anni scorsi una importante esperienza di autocostruzione è stata condotta in Toscana, a S. Piero a Sieve, dalla Cooperativa "Sperimentale 1", che ha realizzato 18 alloggi in 18 mesi di cantiere.



Ai temi dell'autocostruzione e dell'autorecupero la Fondazione Michelucci ha dedicato convegni e ricerche, oltre a un numero della rivista "La Nuova Città" (n. 7, luglio 2000) a titolo "Esperienze innovative di accesso alla casa".










fondazione michelucci notizie



 






3. Una esperienza di autocostruzione in Toscana


Il 18 luglio 2008 il Comune di Santa Maria a Monte (PI) presenterà pubblicamente il percorso di autocostruzione che intende realizzare, con la collaborazione della Fondazione Michelucci e di Domus sociale. L'appuntamento è al Teatro Comunale, alle ore 21, con la partecipazione del Sindaco David Turini, dell'assessore regionale alle politiche abitative Eugenio Baronti, dell'assessore alle politiche abitative del Comune Andrea Luschi. Parteciperanno anche la Fondazione Michelucci, Domus sociale e la Cooperativa Architettura delle convivenze di Milano.


L'obbiettivo dell'incontro è quello di dare la più larga e documentata informazione alla popolazione interessata (il bando per l'autocostruzione, che sarà pubblicato nei prossimi mesi, sarà rivolto alle famiglie residenti della Provincia di Pisa).

Mentre forme più o meno gravi di disagio e di esclusione abitativa colpiscono aree sempre più vaste di popolazione, l'iniziativa del Comune di Santa Maria a Monte ripropone uno degli strumenti che possono contribuire a politiche di accesso alla casa ad un costo accettabile anche per le fasce sociali più deboli.


Oggi, l’autocostruzione assistita è una procedura edilizia con specifiche e consolidate modalità e tecnologie costruttive, diretta e coordinata da professionisti, attraverso la quale un gruppo associato e volontario di persone o di famiglie realizza, nel tempo libero dal lavoro o dall’occupazione principale, la propria abitazione.

L’autocostruzione consente un abbattimento del costo di costruzione che può oscillare tra il 40 e un 60%. Attualmente, le scelte progettuali e tecnologiche utilizzate nell’autocostruzione assistita consentono di realizzare abitazioni ed edifici competitivi con quelli della produzione corrente sul piano della qualità architettonica, del risparmio energetico, della biocompatibilità.



Negli anni scorsi una importante esperienza di autocostruzione è stata condotta in Toscana, a S. Piero a Sieve, dalla Cooperativa "Sperimentale 1", che ha realizzato 18 alloggi in 18 mesi di cantiere.



Ai temi dell'autocostruzione e dell'autorecupero la Fondazione Michelucci ha dedicato convegni e ricerche, oltre a un numero della rivista "La Nuova Città" (n. 7, luglio 2000) a titolo "Esperienze innovative di accesso alla casa".


lunedì 14 luglio 2008

Un bambino di 10 anni

Defence for Children International / Palestine     ( DCI/PS )

 

2 luglio 2008 - Sanniriya , Qalqiliya

 

Un bambino palestinese di 10 anni è stato sottoposto a torture da soldati israeliani.

 

L’11 giugno 2008, un bambino di 10 anni è stato sottoposto a violenze fisiche equivalenti a torture per due ore e mezza da parte di soldati israeliani che avevano fatto irruzione nel negozio della sua famiglia, per cercare di farsi dare informazioni sul nascondiglio di una pistola. Il ragazzino è stato picchiato ripetutamente, schiaffeggiato e preso a pugni in testa e allo stomaco, costretto a mantenere una posizione logorante per mezz’ora e poi minacciato. Egli è rimasto profondamente sconvolto, oltre ad aver perduto due denti molari a seguito dell’aggressione.

 

Mercoledì 11 giugno 2008, nel villaggio di Sanniriya, vicino alla città di Qalqiliya nella West Bank, alle 10 e 30 circa del mattino, Ezzat di 10 anni, suo fratello Makkawi di 7, insieme alla sorella Lara di 8, se ne stavano nel negozio del loro padre per vendere cibo per animali e uova, quando i bambini furono sorpresi dal vedere due soldati israeliani irrompere nel negozio.

 

Interrogatorio e violenze nel negozio.

 

Un soldato che indossava una maglietta nera cominciò ad urlare in arabo, a voce alta e minacciosa, “Tuo padre ci ha mandato da te per prendere la sua pistola”.Un Ezzat terrificato rispose, ”Mio padre non possiede una pistola”.Il soldato in risposta prese a schiaffi Ezzat, crudelmente, sulla sua guancia destra ed il fratello Makkawi in faccia. Dopo di che il soldato intimò a Makkawi e a Lara di andarsene dal negozio. Una volta che i bambini più piccoli se ne furono andati il soldato chiese un’altra volta a Ezzat di consegnare l’arma del padre. Nonostante Ezzat continuasse a ripetere che suo padre non era in possesso di una pistola, il soldato gli impose di cercarla nei sacchi che contenevano cibo per animali. Ezzat continuò insistendo che nel negozio non c’era arma alcuna tanto che il soldato prese a schiaffeggiarlo di nuovo, questa volta sulla guancia sinistra.

 

Uno degli amici di Ezzat, rendendosi conto che stava succedendo qualcosa di brutto, cercò di entrare nel negozio, ma venne preso a calci dal soldato che se ne stava alla porta per bloccarne l’ingresso. Presto un gruppo di persone del posto si radunò fuori dal negozio e qualcuno di loro cercò ugualmente di entrare, ma ne vennero impediti dal soldato alla porta.

 

Il soldato dalla maglietta nera gli chiese ancora una volta di tirar fuori la pistola. Ezzat rispose, “Non abbiamo nulla”. Come reazione il soldato lo colpì, forte, con un pugno allo stomaco facendo cadere Ezzat su scatole per uova vuote. Ezzat cominciò a gridare e a piangere per il dolore e la paura. Il soldato dalla maglietta nera prese a sbeffeggiarlo imitando il suo pianto. Ezzat era rimasto solo nel negozio insieme ai soldati per oltre 15 minuti, quando all’improvviso il soldato in nero lo afferrò per la maglietta e lo trascinò fuori dal negozio. Ezzat chiese al soldato di poter chiudere il negozio del padre, ma questi disse che voleva rimanesse aperto in modo da poter essere derubato. Il soldato inoltre minacciò Ezzat di cacciarlo nella sua jeep e di portarlo via.

 

Una volta che furono fuori dal negozio, Ezzat ricevette l’ordine di recarsi a casa camminando davanti ai soldati, mentre un’arma era puntata contro la sua schiena. Durante il percorso, i soldati lo colpirono varie volte alla nuca. Nell’avvicinarsi a casa sua, Ezzat notò parecchi funzionari militari israeliani che stavano attorno a casa sua ed un certo numero di veicoli militari verdi parcheggiati all’esterno. Una delle jeep colorata in verde oliva portava la scritta “polizia”.

 

Interrogatorio e violenze in casa.

 

Dopo essere giunti alla casa della sua famiglia, il soldato dalla maglietta nera trattenne Ezzat in cortile e gli intimò di cercare la pistola nella vasca dei fiori. Prima ancora che Ezzat avesse la possibilità di rispondere il soldato lo schiaffeggiò con tale violenza che egli cadde a faccia in giù una prima volta dentro la vasca. Senza dargli la possibilità di alzarsi, il soldato afferrò Ezzat per la maglietta e lo sollevò bruscamente. Un altro soldato gli ordinò di condurlo nella stanza degli ospiti.

 

Mentre si avviava verso il salotto, Ezzat vide suo padre in piedi accanto alla porta. Il soldato lo schiaffeggiò sul collo tanto che Ezzat cadde a terra. Non appena Ezzat fu di nuovo in piedi il soldato lo malmenò una seconda volta facendolo cadere di nuovo a terra.

Tutto ciò in presenza di suo padre. Successivamente il soldato afferrò Ezzat per la maglietta e lo sollevò in aria, dicendo a suo padre che avrebbero condotto suo figlio in prigione. Minacciò pure di portare in galera anche la sorella diciannovenne di Ezzat. Dopo di ché Ezzat venne spinto a forza dentro il salotto dove erano state portate anche sua madre ed altri quattro congiunti, tra i quali le sorelle Diana, di 19 anni, Raghda, di 18, Aya, di 15, e il fratello Jihad, di 3 anni. Sua madre stava piangendo disperatamente. Anche Ezzat stava singhiozzando. Quando sua madre gli chiese perché stesse lamentandosi egli le disse di essere stato picchiato dai soldati. La madre domandò allora ai soldati di smetterla di percuotere suo figlio e di picchiare invece lei al suo posto.

 

Dopo alcuni minuti Ezzat venne fatto uscire dalla camera degli ospiti e schiaffeggiato dal soldato in nero con tale violenza che egli cadde una volta ancora sul pavimento. Dopo averlo trascinato in diverse stanze della casa, venne imposto ad Ezzat di restare nella camera da letto dei bambini. Dopo di ché lo stesso soldato uscì dalla stanza per poi tornarvi ogni cinque minuti per schiaffeggiare Ezzat e colpirlo ripetutamente con pugni allo stomaco. Ogni volta che ciò accadeva, Ezzat metteva a strillare, urlava dal dolore e cominciava a piangere. Allora il soldato lo imitava e si divertiva a schernirlo. Il soldato lo percosse sei volte circa.

 

Devastazione della proprietà e uso di posizioni estenuanti.

 

Un poco più tardi, cinque soldati entrarono nella stanza e cominciarono a distruggere con martelli tutti i beni di proprietà della famiglia. Nell’insieme, i soldati distrussero pannelli per la ventilazione, di legno, che si trovavano nell’attico, un piccolo frigorifero nella camera da letto, e tutto ciò che vi era dentro, fecero danni alla cucina rovinando un ventilatore ed un caminetto.

 

Ezzat rimase nella stanza da letto da solo con i soldati per circa un’ora. In quest’ora lo stesso soldato gli ordinò di stare dritto in piedi su un solo piede per mezz’ora, con la schiena contro la parete e con entrambe le mani sollevate in aria ( vedi la foto ). Ezzat era esaurito dal dover stare in questa posizione, ma era troppo spaventato da abbassare il suo piede a terra. Alla fine gli altri soldati gli dissero che poteva mettere giù il piede. Poi gli chiesero di starsene seduto in una posizione accovacciata. Egli riuscì a stare in questa posizione due minuti dopo di ché dovette alzarsi. Poi una soldatessa entrò nella stanza e gli chiese di sedersi sul frigo.

 

Poco dopo il soldato con la maglietta nera ritornò accompagnato dalla sorella maggiore di Ezzat, Diana. Cominciò con il chiedere ad Ezzat se ci teneva a sua sorella, alla qual cosa egli rispose, “Sì, certamente.” Allora il soldato gli chiese di indicargli dove fosse nascosta la pistola e che se gliela avesse rivelato non l’avrebbe fatto sapere a suo padre. Il soldato si allontanò dalla stanza con la sorella di Ezzat. Poi tornò dentro da solo e percosse Ezzat su tutto il corpo. Lasciò una volta ancora la camera e dopo poco ritornò per offrire a Ezzat 10 Shekel in cambio della rivelazione di dove fosse nascosta la pistola. Ezzat gli rispose che non gli interessava il denaro. Ciò fece imbestialire moltissimo il soldato che si tolse l’elmetto e cominciò a lanciarlo contro a Ezzat da due metri di distanza. Ezzat provava un forte dolore. Il soldato continuò a percuoterlo con l’elmetto, poi lasciò la stanza, per tornare di nuovo per schiaffeggiarlo in faccia e percuoterlo allo stomaco. Tutto questo proseguì per diverso tempo, con il soldato che se ne andava e poi tornava per picchiare Ezzat e porgli domande sulla pistola.

 

Interrogatorio della famiglia.

 

Poi Ezzat fu testimone del fatto che il soldato con la maglietta nera e la soldatessa portarono sua sorella e sua madre in una delle stanze vicino alla camera da letto dei bambini. Chiusero la porta, ma Ezzat potè udire i soldati che urlavano nei loro confronti. Egli sentì casualmente il soldato dire alla soldatessa di picchiare la madre perché lei si stava rifiutando di togliersi i vestiti per farsi perquisire. Dopo che l’incidente ebbe termine, la sorella fece sapere a Ezzat che erano state perquisite senza vestiti dalla soldatessa, mentre il soldato era in attesa fuori dalla stanza.

 

Nel frattempo, un soldato che portava occhiali da sole neri entrò nella camera da letto dove era trattenuto Ezzat. Fece alcuni passi dentro, puntando un fucile a pochi centimetri dalla testa di Ezzat. Ezzat era così spaventato che cominciò a tremare tutto. Il soldato sghignazzò e lo schernì. Gli chiese di dire a lui dove fosse la pistola, minacciando di sparargli se non l’avesse fatto. Ezzat continuò a sostenere che non c’era alcuna arma nascosta. Il soldato, mostrandosi furioso gridò a Ezzat, “Per l’ultima volta, dimmi dov’è la pistola prima che ti spari”. Ezzat ripeté di non avere alcuna pistola. Sentendo questo, il soldato abbassò l’arma e uscì. Dopo circa cinque minuti il soldato con la maglietta nera entrò nella camera insieme ad altri quattro soldati e disse che se ne stavano andando, ma che sarebbero ritornati.

 

In tutto, i soldati trascorsero due ore e mezza nella casa. Dopo questo fatto,Ezzat passò la notte in casa da suo zio perché era troppo spaventato da dormire in casa sua. A seguito dell’aggressione fisica Ezzat ha perduto due dei suoi denti molari ed è rimasto profondamente sconvolto dall’accaduto.

 

Dichiarazione della Defence Children International / Palestine

 

La DCI/PS è sconvolta per il fatto che autorità israeliane abbiano sottoposto un bambino di 10 anni a percosse, a violenze per posizioni coatte e a minacce nel corso di diverse ore. Il trattamento subito da Ezzat rientra nella definizione di Tortura insieme ad altri atti riguardanti comportamenti e punizioni crudeli, disumani e degradanti, come definito dalla Convenzione Contro la Tortura delle Nazioni Unite, delle quali fa parte anche Israele. Il trattamento inflitto a Ezzat infrange anche numerose altre convenzioni internazionali alle quali Israele è legato (1), oltre a violare la legge israeliana nel campo militare ed in quello nazionale (2).

 

La DCI/PS sollecita Israele all’immediato rispetto della Convenzione Contro la Tortura delle Nazioni Unite, con lo svolgimento di indagini accurate ed imparziali in relazione alle accuse di Tortura e di violenza su Ezzat e la consegna alla giustizia di coloro che siano stati ritenuti responsabili di tali violazioni.

 

La DCI/PS sollecita inoltre l’UE di condizionare lo sviluppo delle relazioni bilaterali UE-Israele ad una evoluzione positiva sensibile e verificabile dell’applicazione da parte di Israele degli standard sui diritti umani dell’UE ai Territori Palestinesi Occupati.

_________________________________

 

(1)   – Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) – articolo 5

         IV Convenzione di Ginevra (1949) – articoli 27 e 31

         Accordo Internazionale sui Diritti Civili e Politici (1966) – articolo 7

         Convenzione sui Diritti del Bambino, delle UN, (1989) – articoli 2(2), 3, 16, 37(a)

 

(2)   – La Legge Militare Israeliana definisce lo specifico reato di “maltrattamento” che

         proibisce percosse ed altri abusi ad ogni persona che sia sotto la custodia di un

         militare: vedi la Legge sul Giudizio Militare, 5715-1955, articolo 65. Vedi anche

         articoli 378-382 del codice penale israeliano.


 


 

Per un appello all’UE

(il testo è in inglese per un suo uso più immediato)

 

European Union

 

Urging the EU to pressure Israel to immediately ensure its compliance with the UN Convention Against Torture and thoroughly investigate the allegations of torture and abuse of Ezzat and other Palestinian deteinees and bring those responsible for such abuse to justice.

Urging the EU to make the upgrade of EU-Israel bilateral relations condicional upon measurable and confirmed progress by Israel to uphold EU human rights standards in the Occupied Palestinian Territory.

Making the EU aware of the recent inclusion of Palestine/Israel as a priority conflict for the implementation of the EU Guidelines on Children and Armed Conflict, and of the subsequent reporting tasks on child rights violations incumbent upon EU diplomatic missions and EU institutions in the field.

......................(.firma e indirizzo del mittente)

 

 

     L’appello va indirizzato a:

 

      Mr. Bernard Kouchner, Ministre des Affaires Etrangères

      Ministère des Affaires Etrangères Francais

      37, Quai d’Orsay, 75007 Paris, France


 

       Personal Representative for Human Rights (CFSP) of the EU Secretary General/

       High Representative Javier Solana

      Ms. Riina Kionka

      175 Rue de la Loi BE 1048 Brussels, Belgium

      Fax : 0032 2 2816190


 

      The Commissioner for External Affairs and European Neighbourhood Policy

      HE Ms. Benita Ferrero-Waldner

       Email: relax-enpinfo@ec.europa.eu


 


 

 

B’Tselem: “Bambino palestinese sottoposto a violenze durante l’arresto e torturato durante l’interrogatorio”.

 

Saed Bannoura – IMEMC & Agencies

 

Sabato - 05 luglio 2008

 

Il Centro Israeliano di Informazioni per i Diritti Umani nei Territori Occupati (B’Tselem) ha riportato che un bambino palestinese è stato torturato da soldati israeliani mentre lo stavano arrestando e che è stato successivamente torturato anche in una prigione israeliana durante l’interrogatorio.

 

Il bambino, di 13 anni, Majid Jaradat venne rapito dall’esercito israeliano il 13 nivembre 2007, dopo che i soldati avevano sostenuto che lo stesso aveva lanciato contro di loro dei sassi durante una manifestazione nel villaggio di Sa’ir, nei pressi di Hebron , città situata nel sud della West Bank.

 

Nella sua deposizione giurata, Jaradat sostenne di essere stato picchiato duramente dai soldati durante l’arresto e che gli stessi gli sferrarono calci alla schiena.

 

Egli aggiunse che le violenze proseguirono dopo che egli venne trasportato alla stazione di polizia di Ezion in quanto venne percosso da coloro che lo interrogavano. Proseguendo gli interrogatori, Jaradat venne condotto alla struttura di detenzione di Ofer.

 

Successivamente , Jaradat fu “dichiarato colpevole” di aver lanciato sassi ai soldati e venne condannato a due mesi di carcere.

 

B’Tselem riporta che fin dall’inizio della seconda Intifada nel tardo settembre del 2000, i soldati israeliani rapirono 350-400 palestinesi minorenni. Al 30 giugno 2008 Israele ha imprigionato 311 palestinesi minorenni.

 

B’Tselem afferma che la Legge Internazionale stabilisce che i prigionieri minorenni dovrebbero essere tenuti separati dai detenuti adulti. Aggiunge che i detenuti minorenni israeliani non sono messi in cella insieme agli adulti, mentre i prigionieri palestinesi minorenni che sono sospettati di “commettere atti in violazione alla sicurezza”, che siano o meno condannati, sono sottoposti a violenze ed imprigionati insieme a detenuti adulti.

 

La Legge Internazionale stabilisce che i detenuti minorenni debbano ricevere un trattamento speciale e debbano essere forniti di tutto quanto hanno bisogno, in particolar modo deve essere permesso loro di continuare i loro studi e di ottenere tutto il supporto sociale e psicologico del quale necessitano, incluse le visite dei familiari.

 

(trad. mariano mingarelli)

Un bambino di 10 anni

Defence for Children International / Palestine     ( DCI/PS )

 

2 luglio 2008 - Sanniriya , Qalqiliya

 

Un bambino palestinese di 10 anni è stato sottoposto a torture da soldati israeliani.

 

L’11 giugno 2008, un bambino di 10 anni è stato sottoposto a violenze fisiche equivalenti a torture per due ore e mezza da parte di soldati israeliani che avevano fatto irruzione nel negozio della sua famiglia, per cercare di farsi dare informazioni sul nascondiglio di una pistola. Il ragazzino è stato picchiato ripetutamente, schiaffeggiato e preso a pugni in testa e allo stomaco, costretto a mantenere una posizione logorante per mezz’ora e poi minacciato. Egli è rimasto profondamente sconvolto, oltre ad aver perduto due denti molari a seguito dell’aggressione.

 

Mercoledì 11 giugno 2008, nel villaggio di Sanniriya, vicino alla città di Qalqiliya nella West Bank, alle 10 e 30 circa del mattino, Ezzat di 10 anni, suo fratello Makkawi di 7, insieme alla sorella Lara di 8, se ne stavano nel negozio del loro padre per vendere cibo per animali e uova, quando i bambini furono sorpresi dal vedere due soldati israeliani irrompere nel negozio.

 

Interrogatorio e violenze nel negozio.

 

Un soldato che indossava una maglietta nera cominciò ad urlare in arabo, a voce alta e minacciosa, “Tuo padre ci ha mandato da te per prendere la sua pistola”.Un Ezzat terrificato rispose, ”Mio padre non possiede una pistola”.Il soldato in risposta prese a schiaffi Ezzat, crudelmente, sulla sua guancia destra ed il fratello Makkawi in faccia. Dopo di che il soldato intimò a Makkawi e a Lara di andarsene dal negozio. Una volta che i bambini più piccoli se ne furono andati il soldato chiese un’altra volta a Ezzat di consegnare l’arma del padre. Nonostante Ezzat continuasse a ripetere che suo padre non era in possesso di una pistola, il soldato gli impose di cercarla nei sacchi che contenevano cibo per animali. Ezzat continuò insistendo che nel negozio non c’era arma alcuna tanto che il soldato prese a schiaffeggiarlo di nuovo, questa volta sulla guancia sinistra.

 

Uno degli amici di Ezzat, rendendosi conto che stava succedendo qualcosa di brutto, cercò di entrare nel negozio, ma venne preso a calci dal soldato che se ne stava alla porta per bloccarne l’ingresso. Presto un gruppo di persone del posto si radunò fuori dal negozio e qualcuno di loro cercò ugualmente di entrare, ma ne vennero impediti dal soldato alla porta.

 

Il soldato dalla maglietta nera gli chiese ancora una volta di tirar fuori la pistola. Ezzat rispose, “Non abbiamo nulla”. Come reazione il soldato lo colpì, forte, con un pugno allo stomaco facendo cadere Ezzat su scatole per uova vuote. Ezzat cominciò a gridare e a piangere per il dolore e la paura. Il soldato dalla maglietta nera prese a sbeffeggiarlo imitando il suo pianto. Ezzat era rimasto solo nel negozio insieme ai soldati per oltre 15 minuti, quando all’improvviso il soldato in nero lo afferrò per la maglietta e lo trascinò fuori dal negozio. Ezzat chiese al soldato di poter chiudere il negozio del padre, ma questi disse che voleva rimanesse aperto in modo da poter essere derubato. Il soldato inoltre minacciò Ezzat di cacciarlo nella sua jeep e di portarlo via.

 

Una volta che furono fuori dal negozio, Ezzat ricevette l’ordine di recarsi a casa camminando davanti ai soldati, mentre un’arma era puntata contro la sua schiena. Durante il percorso, i soldati lo colpirono varie volte alla nuca. Nell’avvicinarsi a casa sua, Ezzat notò parecchi funzionari militari israeliani che stavano attorno a casa sua ed un certo numero di veicoli militari verdi parcheggiati all’esterno. Una delle jeep colorata in verde oliva portava la scritta “polizia”.

 

Interrogatorio e violenze in casa.

 

Dopo essere giunti alla casa della sua famiglia, il soldato dalla maglietta nera trattenne Ezzat in cortile e gli intimò di cercare la pistola nella vasca dei fiori. Prima ancora che Ezzat avesse la possibilità di rispondere il soldato lo schiaffeggiò con tale violenza che egli cadde a faccia in giù una prima volta dentro la vasca. Senza dargli la possibilità di alzarsi, il soldato afferrò Ezzat per la maglietta e lo sollevò bruscamente. Un altro soldato gli ordinò di condurlo nella stanza degli ospiti.

 

Mentre si avviava verso il salotto, Ezzat vide suo padre in piedi accanto alla porta. Il soldato lo schiaffeggiò sul collo tanto che Ezzat cadde a terra. Non appena Ezzat fu di nuovo in piedi il soldato lo malmenò una seconda volta facendolo cadere di nuovo a terra.

Tutto ciò in presenza di suo padre. Successivamente il soldato afferrò Ezzat per la maglietta e lo sollevò in aria, dicendo a suo padre che avrebbero condotto suo figlio in prigione. Minacciò pure di portare in galera anche la sorella diciannovenne di Ezzat. Dopo di ché Ezzat venne spinto a forza dentro il salotto dove erano state portate anche sua madre ed altri quattro congiunti, tra i quali le sorelle Diana, di 19 anni, Raghda, di 18, Aya, di 15, e il fratello Jihad, di 3 anni. Sua madre stava piangendo disperatamente. Anche Ezzat stava singhiozzando. Quando sua madre gli chiese perché stesse lamentandosi egli le disse di essere stato picchiato dai soldati. La madre domandò allora ai soldati di smetterla di percuotere suo figlio e di picchiare invece lei al suo posto.

 

Dopo alcuni minuti Ezzat venne fatto uscire dalla camera degli ospiti e schiaffeggiato dal soldato in nero con tale violenza che egli cadde una volta ancora sul pavimento. Dopo averlo trascinato in diverse stanze della casa, venne imposto ad Ezzat di restare nella camera da letto dei bambini. Dopo di ché lo stesso soldato uscì dalla stanza per poi tornarvi ogni cinque minuti per schiaffeggiare Ezzat e colpirlo ripetutamente con pugni allo stomaco. Ogni volta che ciò accadeva, Ezzat metteva a strillare, urlava dal dolore e cominciava a piangere. Allora il soldato lo imitava e si divertiva a schernirlo. Il soldato lo percosse sei volte circa.

 

Devastazione della proprietà e uso di posizioni estenuanti.

 

Un poco più tardi, cinque soldati entrarono nella stanza e cominciarono a distruggere con martelli tutti i beni di proprietà della famiglia. Nell’insieme, i soldati distrussero pannelli per la ventilazione, di legno, che si trovavano nell’attico, un piccolo frigorifero nella camera da letto, e tutto ciò che vi era dentro, fecero danni alla cucina rovinando un ventilatore ed un caminetto.

 

Ezzat rimase nella stanza da letto da solo con i soldati per circa un’ora. In quest’ora lo stesso soldato gli ordinò di stare dritto in piedi su un solo piede per mezz’ora, con la schiena contro la parete e con entrambe le mani sollevate in aria ( vedi la foto ). Ezzat era esaurito dal dover stare in questa posizione, ma era troppo spaventato da abbassare il suo piede a terra. Alla fine gli altri soldati gli dissero che poteva mettere giù il piede. Poi gli chiesero di starsene seduto in una posizione accovacciata. Egli riuscì a stare in questa posizione due minuti dopo di ché dovette alzarsi. Poi una soldatessa entrò nella stanza e gli chiese di sedersi sul frigo.

 

Poco dopo il soldato con la maglietta nera ritornò accompagnato dalla sorella maggiore di Ezzat, Diana. Cominciò con il chiedere ad Ezzat se ci teneva a sua sorella, alla qual cosa egli rispose, “Sì, certamente.” Allora il soldato gli chiese di indicargli dove fosse nascosta la pistola e che se gliela avesse rivelato non l’avrebbe fatto sapere a suo padre. Il soldato si allontanò dalla stanza con la sorella di Ezzat. Poi tornò dentro da solo e percosse Ezzat su tutto il corpo. Lasciò una volta ancora la camera e dopo poco ritornò per offrire a Ezzat 10 Shekel in cambio della rivelazione di dove fosse nascosta la pistola. Ezzat gli rispose che non gli interessava il denaro. Ciò fece imbestialire moltissimo il soldato che si tolse l’elmetto e cominciò a lanciarlo contro a Ezzat da due metri di distanza. Ezzat provava un forte dolore. Il soldato continuò a percuoterlo con l’elmetto, poi lasciò la stanza, per tornare di nuovo per schiaffeggiarlo in faccia e percuoterlo allo stomaco. Tutto questo proseguì per diverso tempo, con il soldato che se ne andava e poi tornava per picchiare Ezzat e porgli domande sulla pistola.

 

Interrogatorio della famiglia.

 

Poi Ezzat fu testimone del fatto che il soldato con la maglietta nera e la soldatessa portarono sua sorella e sua madre in una delle stanze vicino alla camera da letto dei bambini. Chiusero la porta, ma Ezzat potè udire i soldati che urlavano nei loro confronti. Egli sentì casualmente il soldato dire alla soldatessa di picchiare la madre perché lei si stava rifiutando di togliersi i vestiti per farsi perquisire. Dopo che l’incidente ebbe termine, la sorella fece sapere a Ezzat che erano state perquisite senza vestiti dalla soldatessa, mentre il soldato era in attesa fuori dalla stanza.

 

Nel frattempo, un soldato che portava occhiali da sole neri entrò nella camera da letto dove era trattenuto Ezzat. Fece alcuni passi dentro, puntando un fucile a pochi centimetri dalla testa di Ezzat. Ezzat era così spaventato che cominciò a tremare tutto. Il soldato sghignazzò e lo schernì. Gli chiese di dire a lui dove fosse la pistola, minacciando di sparargli se non l’avesse fatto. Ezzat continuò a sostenere che non c’era alcuna arma nascosta. Il soldato, mostrandosi furioso gridò a Ezzat, “Per l’ultima volta, dimmi dov’è la pistola prima che ti spari”. Ezzat ripeté di non avere alcuna pistola. Sentendo questo, il soldato abbassò l’arma e uscì. Dopo circa cinque minuti il soldato con la maglietta nera entrò nella camera insieme ad altri quattro soldati e disse che se ne stavano andando, ma che sarebbero ritornati.

 

In tutto, i soldati trascorsero due ore e mezza nella casa. Dopo questo fatto,Ezzat passò la notte in casa da suo zio perché era troppo spaventato da dormire in casa sua. A seguito dell’aggressione fisica Ezzat ha perduto due dei suoi denti molari ed è rimasto profondamente sconvolto dall’accaduto.

 

Dichiarazione della Defence Children International / Palestine

 

La DCI/PS è sconvolta per il fatto che autorità israeliane abbiano sottoposto un bambino di 10 anni a percosse, a violenze per posizioni coatte e a minacce nel corso di diverse ore. Il trattamento subito da Ezzat rientra nella definizione di Tortura insieme ad altri atti riguardanti comportamenti e punizioni crudeli, disumani e degradanti, come definito dalla Convenzione Contro la Tortura delle Nazioni Unite, delle quali fa parte anche Israele. Il trattamento inflitto a Ezzat infrange anche numerose altre convenzioni internazionali alle quali Israele è legato (1), oltre a violare la legge israeliana nel campo militare ed in quello nazionale (2).

 

La DCI/PS sollecita Israele all’immediato rispetto della Convenzione Contro la Tortura delle Nazioni Unite, con lo svolgimento di indagini accurate ed imparziali in relazione alle accuse di Tortura e di violenza su Ezzat e la consegna alla giustizia di coloro che siano stati ritenuti responsabili di tali violazioni.

 

La DCI/PS sollecita inoltre l’UE di condizionare lo sviluppo delle relazioni bilaterali UE-Israele ad una evoluzione positiva sensibile e verificabile dell’applicazione da parte di Israele degli standard sui diritti umani dell’UE ai Territori Palestinesi Occupati.

_________________________________

 

(1)   – Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) – articolo 5

         IV Convenzione di Ginevra (1949) – articoli 27 e 31

         Accordo Internazionale sui Diritti Civili e Politici (1966) – articolo 7

         Convenzione sui Diritti del Bambino, delle UN, (1989) – articoli 2(2), 3, 16, 37(a)

 

(2)   – La Legge Militare Israeliana definisce lo specifico reato di “maltrattamento” che

         proibisce percosse ed altri abusi ad ogni persona che sia sotto la custodia di un

         militare: vedi la Legge sul Giudizio Militare, 5715-1955, articolo 65. Vedi anche

         articoli 378-382 del codice penale israeliano.


 


 

Per un appello all’UE

(il testo è in inglese per un suo uso più immediato)

 

European Union

 

Urging the EU to pressure Israel to immediately ensure its compliance with the UN Convention Against Torture and thoroughly investigate the allegations of torture and abuse of Ezzat and other Palestinian deteinees and bring those responsible for such abuse to justice.

Urging the EU to make the upgrade of EU-Israel bilateral relations condicional upon measurable and confirmed progress by Israel to uphold EU human rights standards in the Occupied Palestinian Territory.

Making the EU aware of the recent inclusion of Palestine/Israel as a priority conflict for the implementation of the EU Guidelines on Children and Armed Conflict, and of the subsequent reporting tasks on child rights violations incumbent upon EU diplomatic missions and EU institutions in the field.

......................(.firma e indirizzo del mittente)

 

 

     L’appello va indirizzato a:

 

      Mr. Bernard Kouchner, Ministre des Affaires Etrangères

      Ministère des Affaires Etrangères Francais

      37, Quai d’Orsay, 75007 Paris, France


 

       Personal Representative for Human Rights (CFSP) of the EU Secretary General/

       High Representative Javier Solana

      Ms. Riina Kionka

      175 Rue de la Loi BE 1048 Brussels, Belgium

      Fax : 0032 2 2816190


 

      The Commissioner for External Affairs and European Neighbourhood Policy

      HE Ms. Benita Ferrero-Waldner

       Email: relax-enpinfo@ec.europa.eu


 


 

 

B’Tselem: “Bambino palestinese sottoposto a violenze durante l’arresto e torturato durante l’interrogatorio”.

 

Saed Bannoura – IMEMC & Agencies

 

Sabato - 05 luglio 2008

 

Il Centro Israeliano di Informazioni per i Diritti Umani nei Territori Occupati (B’Tselem) ha riportato che un bambino palestinese è stato torturato da soldati israeliani mentre lo stavano arrestando e che è stato successivamente torturato anche in una prigione israeliana durante l’interrogatorio.

 

Il bambino, di 13 anni, Majid Jaradat venne rapito dall’esercito israeliano il 13 nivembre 2007, dopo che i soldati avevano sostenuto che lo stesso aveva lanciato contro di loro dei sassi durante una manifestazione nel villaggio di Sa’ir, nei pressi di Hebron , città situata nel sud della West Bank.

 

Nella sua deposizione giurata, Jaradat sostenne di essere stato picchiato duramente dai soldati durante l’arresto e che gli stessi gli sferrarono calci alla schiena.

 

Egli aggiunse che le violenze proseguirono dopo che egli venne trasportato alla stazione di polizia di Ezion in quanto venne percosso da coloro che lo interrogavano. Proseguendo gli interrogatori, Jaradat venne condotto alla struttura di detenzione di Ofer.

 

Successivamente , Jaradat fu “dichiarato colpevole” di aver lanciato sassi ai soldati e venne condannato a due mesi di carcere.

 

B’Tselem riporta che fin dall’inizio della seconda Intifada nel tardo settembre del 2000, i soldati israeliani rapirono 350-400 palestinesi minorenni. Al 30 giugno 2008 Israele ha imprigionato 311 palestinesi minorenni.

 

B’Tselem afferma che la Legge Internazionale stabilisce che i prigionieri minorenni dovrebbero essere tenuti separati dai detenuti adulti. Aggiunge che i detenuti minorenni israeliani non sono messi in cella insieme agli adulti, mentre i prigionieri palestinesi minorenni che sono sospettati di “commettere atti in violazione alla sicurezza”, che siano o meno condannati, sono sottoposti a violenze ed imprigionati insieme a detenuti adulti.

 

La Legge Internazionale stabilisce che i detenuti minorenni debbano ricevere un trattamento speciale e debbano essere forniti di tutto quanto hanno bisogno, in particolar modo deve essere permesso loro di continuare i loro studi e di ottenere tutto il supporto sociale e psicologico del quale necessitano, incluse le visite dei familiari.

 

(trad. mariano mingarelli)

venerdì 11 luglio 2008

Eluana Englaro

Roma, 10 lug. (Apcom) - La Commissione bioetica delle chiese valdesi e metodiste, esprime la propria solidarietà nei confronti della famiglia Englaro e ribadisce la propria posizione a favore della libertà di cura, che è sempre e contestualmente libertà di rifiutare la cura.


"Come cristiani - afferma una nota della Commissione bioetica valdese e metodista - riteniamo sia necessario guardare alle persone viventi e alla loro sofferenza, che non può essere dimenticata in nome di principi universali e astratti, né può essere subordinata a una norma oggettiva e precostituita che venga ritenuta valida in quanto presunta 'legge naturale'. Crediamo infatti che il cuore dell'etica cristiana debba essere la sollecitudine verso le persone nella loro irrinunciabile singolarità, spesso sofferente, talvolta, come nel caso di Eluana, addirittura tragica: di qui discende, secondo noi, un'idea della medicina come terapia rivolta a soggetti in grado di autodeterminarsi e in grado di decidere il proprio destino".


"La libertà individuale non va guardata con sospetto e identificata con l'arbitrio: per questo motivo, e in conformità con le posizioni espresse dall'ultimo Sinodo dell'Unione delle chiese metodiste e valdesi, come Commissione bioetica sollecitiamo da parte del Parlamento l'approvazione di una legge sulle direttive anticipate di fine vita".


Trovato qui


 L'associazione Scienza e Vita, ai microfoni di Radio Vaticana, parla di «grave sentenza». «La notizia ovviamente è estremamente triste - ha dichiarato all'emittente il professor Gianluigi Gigli del Consiglio esecutivo di Scienza e Vita -. Eluana Englaro sarà la Terry Schiavo d'Italia». «Grande amarezza - denuncia l’associazione in una nota - perché si legittima l’uccisione di un essere umano privandolo delle cose più elementari: l’alimentazione e l’idratazione. Stupore perché la società dei sani ha deciso di non prendersi cura di un essere umano in condizioni di grandissima fragilità e dipendenza, condannandolo ad una morte atroce per fame e per sete». Di «caso terribile di legalizzazione dell'abbandono di un malato, il cui quadro clinico è stabile da anni» parla Roberto Colombo, direttore di biologia molecolare e genetica umana all'Università Cattolica di Milano. La sentenza, per Colombo, «se sarà eseguita, è di condanna a morte certa della ragazza. Senza nutrizione e idratazione clinica, essa cesserà di vivere non a causa della malattia che l'ha colpita, ma per fame e disidratazione».


Trovato qui

Eluana Englaro

Roma, 10 lug. (Apcom) - La Commissione bioetica delle chiese valdesi e metodiste, esprime la propria solidarietà nei confronti della famiglia Englaro e ribadisce la propria posizione a favore della libertà di cura, che è sempre e contestualmente libertà di rifiutare la cura.


"Come cristiani - afferma una nota della Commissione bioetica valdese e metodista - riteniamo sia necessario guardare alle persone viventi e alla loro sofferenza, che non può essere dimenticata in nome di principi universali e astratti, né può essere subordinata a una norma oggettiva e precostituita che venga ritenuta valida in quanto presunta 'legge naturale'. Crediamo infatti che il cuore dell'etica cristiana debba essere la sollecitudine verso le persone nella loro irrinunciabile singolarità, spesso sofferente, talvolta, come nel caso di Eluana, addirittura tragica: di qui discende, secondo noi, un'idea della medicina come terapia rivolta a soggetti in grado di autodeterminarsi e in grado di decidere il proprio destino".


"La libertà individuale non va guardata con sospetto e identificata con l'arbitrio: per questo motivo, e in conformità con le posizioni espresse dall'ultimo Sinodo dell'Unione delle chiese metodiste e valdesi, come Commissione bioetica sollecitiamo da parte del Parlamento l'approvazione di una legge sulle direttive anticipate di fine vita".


Trovato qui


 L'associazione Scienza e Vita, ai microfoni di Radio Vaticana, parla di «grave sentenza». «La notizia ovviamente è estremamente triste - ha dichiarato all'emittente il professor Gianluigi Gigli del Consiglio esecutivo di Scienza e Vita -. Eluana Englaro sarà la Terry Schiavo d'Italia». «Grande amarezza - denuncia l’associazione in una nota - perché si legittima l’uccisione di un essere umano privandolo delle cose più elementari: l’alimentazione e l’idratazione. Stupore perché la società dei sani ha deciso di non prendersi cura di un essere umano in condizioni di grandissima fragilità e dipendenza, condannandolo ad una morte atroce per fame e per sete». Di «caso terribile di legalizzazione dell'abbandono di un malato, il cui quadro clinico è stabile da anni» parla Roberto Colombo, direttore di biologia molecolare e genetica umana all'Università Cattolica di Milano. La sentenza, per Colombo, «se sarà eseguita, è di condanna a morte certa della ragazza. Senza nutrizione e idratazione clinica, essa cesserà di vivere non a causa della malattia che l'ha colpita, ma per fame e disidratazione».


Trovato qui

giovedì 10 luglio 2008

Impronte

Buongiorno,

 

Come avrete letto, l'Europarlamento ha deciso di bocciare le misure di emergenza nei campi nomadi italiani proposte dal ministro Maroni. Una notizia questa, che apprendiamo con gioia e, lasciatelo dire, sollievo. Una notizia che assume un significato ancora più importante poichè ci giunge in questi giorni in cui a San Rossore si sta svolgendo un importante meeting proprio per ricordarci che 70 anni fa in Italia entravano in vigore le leggi razziali.

 

L'ANED ha raccolto circa 3000 impronte digitali e 5000 nominativi di altrettanti cittadini disposti a farsi schedare, il tutto è stato consegnato lunedì scorso dalla nostra sezione di Roma al Ministero degli Interni.

 

Non vogliamo certo dire che l'ANED sia stata determinante, anzi, per ciò che la nostra Associazione rappresenta era di vitale importanza esprimere il nostro più totale dissenso nei confronti delle misure proposte dal Ministro Maroni.

 

Con la presente intendiamo ringraziare i circa 100 cittadini della nostra provincia che hanno aderito alla nostra iniziativa.

 

La nostra Associazione è cosciente che esiste un forte poblema di integrazione, pertanto si augura che tutte le parti interessate, inizino fin da oggi un percorso finalmente serio e costruttivo che abbia come unico scopo quello di aggregare ed integrare e non di dividere e catalogare le razze.

 

Alessio Ducci

ANED Firenze ( Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti )



 

 Prima di tutto vennero a prendere gli zingari  


Prima di tutto vennero a prendere gli zingari

e fui contento, perché rubacchiavano.


Poi vennero a prendere gli ebrei

e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.


Poi vennero a prendere gli omosessuali,

e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.


Poi vennero a prendere i comunisti,

ed io non dissi niente, perché non ero comunista.


Un giorno vennero a prendere me,


e non c'era rimasto nessuno a protestare


 Berlino, 1932  Bertold Brecht

Impronte

Buongiorno,

 

Come avrete letto, l'Europarlamento ha deciso di bocciare le misure di emergenza nei campi nomadi italiani proposte dal ministro Maroni. Una notizia questa, che apprendiamo con gioia e, lasciatelo dire, sollievo. Una notizia che assume un significato ancora più importante poichè ci giunge in questi giorni in cui a San Rossore si sta svolgendo un importante meeting proprio per ricordarci che 70 anni fa in Italia entravano in vigore le leggi razziali.

 

L'ANED ha raccolto circa 3000 impronte digitali e 5000 nominativi di altrettanti cittadini disposti a farsi schedare, il tutto è stato consegnato lunedì scorso dalla nostra sezione di Roma al Ministero degli Interni.

 

Non vogliamo certo dire che l'ANED sia stata determinante, anzi, per ciò che la nostra Associazione rappresenta era di vitale importanza esprimere il nostro più totale dissenso nei confronti delle misure proposte dal Ministro Maroni.

 

Con la presente intendiamo ringraziare i circa 100 cittadini della nostra provincia che hanno aderito alla nostra iniziativa.

 

La nostra Associazione è cosciente che esiste un forte poblema di integrazione, pertanto si augura che tutte le parti interessate, inizino fin da oggi un percorso finalmente serio e costruttivo che abbia come unico scopo quello di aggregare ed integrare e non di dividere e catalogare le razze.

 

Alessio Ducci

ANED Firenze ( Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti )



 

 Prima di tutto vennero a prendere gli zingari  


Prima di tutto vennero a prendere gli zingari

e fui contento, perché rubacchiavano.


Poi vennero a prendere gli ebrei

e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.


Poi vennero a prendere gli omosessuali,

e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.


Poi vennero a prendere i comunisti,

ed io non dissi niente, perché non ero comunista.


Un giorno vennero a prendere me,


e non c'era rimasto nessuno a protestare


 Berlino, 1932  Bertold Brecht

martedì 8 luglio 2008

I pellegrini

Mille km in 40 giorni


Alle  6.35 siamo già in cammino,  c’è sole e vento.

Il cammino oggi ci metterà a dura prova perché è  in prevalenza su asfalto, escluso l’ultimo tratto di terra battuta.

Nonostante questo la strada è piacevole. Si cammina in mezzo a prati,  sughere e querce.

Il nostro ritmo è lento, piacevolmente lento, e piano piano tutti gli altri pellegrini, ci passano avanti. Siamo gli ultimi….ma come si dice “beati gli ultimi”.


P1000111Al bivio per l’ Embalse giriamo a destra e entriamo  nel parco di Berrocal, un ambiente  selvaggio che ci lascia a bocca aperta per la sua bellezza. Attraversiamo boschi di querce, sughere e macchie di rosa canina gigante. Per tre ore di cammino siamo completamente soli, sembra di essere in un altro mondo. La parte negativa è il gran caldo,  che riusciamo a sopportare grazie al soffio di fratello vento.






Leggi il diario di Guido e Giovanna su Il Pellegrino

I pellegrini

Mille km in 40 giorni


Alle  6.35 siamo già in cammino,  c’è sole e vento.

Il cammino oggi ci metterà a dura prova perché è  in prevalenza su asfalto, escluso l’ultimo tratto di terra battuta.

Nonostante questo la strada è piacevole. Si cammina in mezzo a prati,  sughere e querce.

Il nostro ritmo è lento, piacevolmente lento, e piano piano tutti gli altri pellegrini, ci passano avanti. Siamo gli ultimi….ma come si dice “beati gli ultimi”.


P1000111Al bivio per l’ Embalse giriamo a destra e entriamo  nel parco di Berrocal, un ambiente  selvaggio che ci lascia a bocca aperta per la sua bellezza. Attraversiamo boschi di querce, sughere e macchie di rosa canina gigante. Per tre ore di cammino siamo completamente soli, sembra di essere in un altro mondo. La parte negativa è il gran caldo,  che riusciamo a sopportare grazie al soffio di fratello vento.






Leggi il diario di Guido e Giovanna su Il Pellegrino