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giovedì 22 dicembre 2011

Enzo Mazzi


Nella Chiesa istituzionale quasi nessuno lo ha ricordato. E quando qualcuno lo ha fatto, è stato a mezza bocca, bisbigliando, in modo insomma quasi clandestino. Anche sulla stampa laica, pochi i trafiletti a lui dedicati. Eppure con la morte di Enzo Mazzi, storico animatore delle Comunità Cristiane di Base Italiane, non se ne è andato solo uno tra i più autorevoli di quelli che una volta venivano definiti – con una punta dispregiativa – “i preti del dissenso”, ma una figura cardine per comprendere l’origine del ’68 cattolico e di tutto quel movimento post conciliare che ha tentato, e tenta ancora, di cambiare in senso democratico, progressivo ed “orizzontale” la Chiesa e la società.

Il nome di Enzo Mazzi è infatti indissolubilmente legato al “caso Isolotto”, cioè alla ribellione di una intera comunità (quella della parrocchia fiorentina di S. Maria delle Grazie) anzi, di un intero quartiere (quello dell’Isolotto appunto, periferia sud-occidentale di Firenze, sulla riva sinistra dell’Arno), al proprio vescovo ed alla Chiesa gerarchica in nome di una Chiesa più autentica, perché in ascolto ed in dialogo con il mondo contemporaneo ma, soprattutto, perché più vicina agli oppressi. Una ribellione aperta e massiccia, scoppiata nel dicembre del 1968, che ottenne un’eco vastissima, raccolse il consenso di molte parrocchie e comunità ecclesiali in Italia ed all’estero e suscitò simpatia e vicinanza anche in larghi settori del mondo laico. E, soprattutto, sancì una volta per sempre che i cattolici non erano più il “gregge” che il vescovo-pastore poteva pascolare e condurre dove voleva. Erano invece parte attiva (e critica) di un “popolo di Dio in cammino”, come lo aveva definito il Concilio Vaticano II, con una propria autonomia, propri carismi specifici, propri diritti. “Cattolici adulti”, li definiremmo con una espressione forse oggi più “à la page”.

 

La lunga genesi del ’68 cattolico

Certo, qualcuno potrebbe non senza ragione affermare che il ’68 della Chiesa cattolica comincia in effetti già nel 1967, con l’occupazione dell’Università Cattolica di Milano (l’ateneo verrà occupato 4 volte e l'ultima durerà 15 giorni con il Rettore chiuso nel suo ufficio). Altri, come ha rilevato più volte Raniero La Valle, già senatore della Sinistra Indipendente e tra i protagonisti indiscussi della stagione conciliare e post conciliare, potrebbero invece sottolineare che il “vero” ’68, nella Chiesa, era cominciato già nel 1965, quando, con la chiusura del Vaticano II, si era innescato quel processo di rinnovamento che a fatica – e al prezzo di una durissima repressione – era riuscito a mettere in discussione un apparato rimasto sostanzialmente immutato dai tempi della Controriforma.

E ancora, c’è chi potrebbe ricordare figure come quelle di Camilo Torres, il prete rivoluzionario colombiano che aveva deciso di imbracciare il fucile a difesa del suo popolo oppresso, e che era morto nel febbraio del 1966, divenendo presto una icona internazionale della Parola che si fa Storia, del Vangelo che si incarna nelle contraddizioni del reale per trasformarle, della Chiesa che si fa tutt’una con i popoli crocifissi della Terra. O, per restare in Italia, qualcun altro potrebbe ricordare l’enorme risonanza che ebbe l’opera e la testimonianza di don Lorenzo Milani, morto nel maggio del 1967, solo poche settimane prima che vedesse la luce Lettera ad una professoressa, il testo che squassò dalle fondamenta il classismo della scuola, della società ma anche della Chiesa italiana.

Insomma, “scintille” del ’68 cattolico si possono individuare un po’ ovunque: la nascita, a Torino, della comunità del Vandalino (autunno 1967) e a Genova del movimento dei Camillini (dal nome della chiesa di S. Camillo, che iniziò la contestazione al cardinale ultraconservatore Giuseppe Siri); a Udine, la stampa de I quattro gatti, un giornale fatto da credenti posizionati sulla linea del dissenso; a Napoli (1964), la pubblicazione de Il tetto, un bimestrale nato per iniziativa di un gruppo di giovani universitari e laureati, credenti e non credenti, uniti dall'intento di dar vita ad una rivista critica, di confronto e di dialogo; a Verona, la contestazione alle logiche mondane del proprio Ordine fatta dai giovani francescani di San Bernardino porta alla chiusura del loro convento. Il 25 giugno, 53 frati minori del Veneto e della Lombardia si recano a Roma per protestare contro la decisione delle gerarchie ecclesiastiche.

Proteste che assumevano a volte connotazioni schiettamente “politiche”; addirittura “di classe”: a novembre del 1968, il Consiglio pastorale della diocesi di Ivrea si pronuncia contro la partecipazione azionaria del Vaticano alla Lancia. A Roma, intanto, sin dal 1967 muove i primi passi l’agenzia di informazione politico-religiosa Adista, voce della sinistra cristiana e in seguito del “dissenso” cattolico tout court, ma anche dei movimenti popolari, della Teologia della Liberazione, delle Comunità di Base. Senza dimenticare che di lì a poco nella Chiesa l’onda lunga del sessantotto scuote anche l’associazionismo cattolico “istituzionale”: le Acli, in uno storico congresso nazionale che si svolge a Torino, dal 19 al 22 giugno 1969, sanciscono la fine del "collateralismo" con la Dc (l’anno dopo, a Vallombrosa, faranno quella “scelta socialista” che comprometterà per lungo tempo i rapporti con la gerarchia cattolica), mentre l’Azione Cattolica di Vittorio Bacheletsi preparava alla grande svolta della “scelta religiosa” (1969), che intendeva dare all'associazione che era stata guidata da Luigi Gedda, quella mobilitata nei comitati civici e nel collateralismo alla Dc, una maggiore indipendenza rispetto alla politica democristiana, in modo da garantire ai laici cattolici una certa autonomia nella sfera sociale e politica.

 



Il “caso Isolotto”: la “Valle Giulia” cattolica



Ma nulla, anche dal punto di vista simbolico, ebbe carica rivoluzionaria più dirompente di ciò che avvenne nel dicembre 1968 all’Isolotto di Firenze. La vicenda, che si consumò tutta nel capoluogo toscano, nacque per la verità a Parma. Lì, il 14 settembre 1968 alcuni giovani cattolici avevano occupato la cattedrale di Parma con l’obiettivo di denunciare i finanziamenti delle banche alla Chiesa destinati anche alla costruzione di una nuova cattedrale. Gli occupanti spiegarono le loro ragioni in sei lettere circolari che ebbero forte eco mediatica. «Non vogliamo che la chiesa di S. Evasio – scrivevano in una di esse – sia costruita con i soldi della Cassa di Risparmio. È ora che la gerarchia ecclesiastica abbia il coraggio di fare una scelta discriminante a favore dei poveri contro il sistema capitalistico... Denunciamo il divario economico esistente tra i sacerdoti della diocesi. Non è concepibile che si ripetano all’interno della gerarchia le tipiche situazioni di ingiustizia della società borghese… Riteniamo urgente la riforma dei seminari per evitare che continuino ad uscire preti culturalmente plagiati».

L’occupazione di una cattedrale cattolica, per di più da parte di giovani impegnati nei gruppi e nell’associazionismo cattolico, era un fatto inedito e clamoroso, che aveva destato forte scandalo nell’istituzione ecclesiastica. Ma mentre i vescovi italiani lanciavano anatemi e preparavano messe riparatrici per il sacrilegio compiuto, la parrocchia dell'Isolotto di Firenze, insieme ad altre due parrocchie fiorentine, decise di esprimere solidarietà agli occupanti. Il card. Ermenegildo Florit, lo stesso che aveva esiliato don Milani a Barbiana, sperando di disinnescare la carica rivoluzionaria della sua scuola popolare, colse al volo l’occasione: chiese al parroco dell’isolotto, don Enzo Mazzi e agli altri due preti della parrocchia, don Sergio Gomiti e don Paolo Caciolli di ritrattare la loro solidarietà. I tre però (17 ottobre) resero pubblica la lettera del vescovo, indissero per il 31 ottobre un’assemblea pubblica per discutere collettivamente, con tutta la comunità, la richiesta di Florit. L'assemblea iniziò alle 21,30 ma si protrasse fino a notte fonda a causa della quantità degli interventi, spesso fatti a nome di interi caseggiati e strade. Erano presenti migliaia di persone, forse diecimila. Al termine venne approvato un documento in cui la Comunità parrocchiale chiedeva al vescovo di recarsi all'Isolotto per discutere apertamente con loro, respingendone di fatto il diktat.

Florit scelse, ancora una volta, la via dello scontro, emettendo (4 dicembre) un decreto di rimozione di don Mazzi da parroco dell’Isolotto e confidando nella tradizionale obbedienza che vincola preti e laici cattolici ai loro vescovi. Ma quella volta non funzionò. Come era accaduto il primo marzo 1968 a Valle Giulia, quando per la prima volta gli studenti reagirono alle cariche della polizia (“non siam scappati più” cantava Paolo Pietrangeli in una canzone divenuta inno generazionale), così anche all’Isolotto, per la prima volta, una comunità parrocchiale decise di non tacere; di reagire; di disobbedire compattamente e massicciamente al proprio vescovo. 

Anzitutto, due imponenti manifestazioni, il 5 e l’8 dicembre, inondarono le strade del centro di Firenze, arrivando fin sotto l’Arcivescovado. L’11 dicembre la protesta arriva a Roma, con un corteo pro Isolotto che giunge in piazza San Pietro. Poi, abbandonando quello che ormai non era più la parrocchia, ma solo un simulacro di cemento “requisito” dall’autorità ecclesiastica, l’Isolotto cominciò a celebrare il proprio essere Chiesa-comunità viva nella piazza antistante S. Maria delle Grazie. Presero così avvio quelle celebrazioni in piazza dell’Isolotto che, domenica dopo domenica, testimoniarono in maniera eclatante il sorgere nella coscienza dei credenti di un nuovo modo di essere Chiesa. L’Isolotto divenne il centro di una cristianità che, dopo avere a lungo atteso, cominciava a realizzare una reale condivisione e sinodalità. In una dimensione “internazionalista”: infatti, ad alternarsi sull’altare non erano quasi mai don Mazzi, don Gomiti e don Caciolli: arrivano preti da tutta Italia, ma anche dalla Spagna, dalla Francia, dall’Inghilterra, dall’Olanda, dalla Germania. E non solo dall’Europa: anche dall’America Latina, dal Vietnam, dalle Filippine e dagli Stati Uniti laici e preti venivano in visita alla Comunità, si confrontavano, celebravano e con-celebravano il pane e il vino spezzato e versato finalmente “per tutti”.

Poi arrivò anche la “seconda rivoluzione”: quella che portava l’Isolotto (e dopo di esso molte altre realtà ecclesiali in Italia ed all’estero) definitivamente fuori dal “recinto del sacro”: «Ci chiamavamo comunità parrocchiale – scrisse Mazzi nel libro collettivo Il mio ‘68 – e tentavamo in tutti i modi di esserlo, ma ogni volta sbattevamo contro l’evidenza: una vera comunità non può esistere finché al centro c’è uno che ha tutto il potere e non per volontà sua ma per “volontà di Cristo” e per una seconda natura, quella sacerdotale, di cui non potrà mai spogliarsi». Cominciò così il percorso orizzontale, declericalizzato e desacralizzato delle Comunità Cristiane di Base, che tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 cominciarono a fiorire in tutta Italia: nei grandi centri urbani, come nelle realtà di provincia.

 

Fuori dai “recinti del sacro”...

Limitare la portata dell’esperienza di Mazzi e della Comunità dell’Isolotto a quei fatti sarebbe comunque riduttivo. L’Isolotto in tutti questi decenni ha continuato a produrre contributi, a prendere posizioni, ad elaborare documenti che sono stati occasioni di riflessione, di dibattito e di confronto dialettico dentro e fuori il mondo ecclesiale e della sinistra.

A partire dal celebre “Catechismo dell’Isolotto” (si intitolava Incontro a Gesù), pubblicato il 28 novembre 1968 e condannato già il giorno successivo dalla Curia di Firenze. Quel testo, che proponeva una metodologia di lettura e di esegesi biblica partecipativa ed esperienziale, costituì una novità a livello mondiale, tanto che fu tradotto in diverse lingue. Scardinava tre capisaldi della catechesi tradizionale: la centralità del dogma, sostituita dalla centralità del Vangelo; la trasmissione della “verità” attraverso una serie di domande e risposte preconfezionate (il modello del catechismo di Pio X) cui veniva preferita la condivisione partecipata della ricerca; l'autosufficienza della cultura cattolica che veniva innervata dalla apertura alle culture contemporanee, compresa quella operaia. Finì con L’Espresso che dedicò a quel catechismo un intero numero (il 48, datato 1 dicembre 1968) e che Incontro a Gesù, nonostante la condanna dell’autorità ecclesiastica, fu utilizzato in molte parrocchie italiane e straniere. Addirittura, la Commissione che nel 1970 avviò un ampio progetto per rinnovare il vecchio Catechismo a domande e risposte di Pio X, che diede il primo frutto nel 1981 conSignore, da chi andremo?, riconobbe ufficialmente di essersi ispirata anche ai contenuti di Incontro a Gesù.

 

... dentro la Storia

L’Isolotto, in cui parrocchia e quartiere, mondo laico e cattolico, democristiani e comunisti, comunità e fabbrica si erano già saldati fin dalla fine degli anni ’50 (memorabile, nel novembre del 1958 l’assemblea con i rappresentanti sindacali delle Officine Galileo mobilitata contro il licenziamento di 1000 operai, che si tenne in chiesa, con la partecipazione sia di cattolici, che di laici e comunisti, poiché quello era lo spazio più grande del quartiere), fu parte del movimento anticoncordatario, sostenne le lotte operaie, partecipò alla campagna contro la guerra in Vietnam, a quella referendaria a favore del divorzio e dell’aborto, alle manifestazioni per il disarmo, a quelle contro il nucleare civile e militare.

In tempi più recenti, Mazzi e la Comunità dell’Isolotto furono in prima fila per la difesa dei diritti sindacali e dell’articolo 18 (febbraio 2003) e contro l’invasione dell’Iraq (marzo 2003). Mazzi fu poi tra i preti che aderirono all’appello lanciato dall’agenzia Adista per la libertà di coscienza al referendum sulla fecondazione assistita, che tentava di spezzare il diktat del card. Ruini che intendeva obbligare tutti i cattolici alla scelta astensionista per boicottare la consultazione evitando che essa potesse raggiungere il quorum. Una scelta che Mazzi replicò qualche anno dopo, nel 2008, ai tempi del caso Englaro. Anche lì, la gerarchia cattolica era tutta compattamente schierata contro il diritto di papà Beppino di porre termine alla non-vita della figlia in nome di quella che don Enzo definiva una visione della vita ridotta a feticcio. E sottoscrisse, insieme ad altri 40 preti e religiosi, un appello “per la libertà sul fine vita”. Si trattava, spiegò in una lettera firmata successivamente insieme a don Raffaele Garofalo, don Giovanni Franzoni e don Paolo Farinella, «di esprimere solidarietà ad Eluana, al padre di lei, gravemente offeso da ambienti ecclesiastici che lo accusavano di assassinio, e a quanti si trovano nella loro drammatica situazione. Infine volevamo dare testimonianza concreta di una Chiesa-comunità, Popolo di Dio in cammino, non identificabile, come invece comunemente accade,con la gerarchia, la quale ha un carisma e un ruolo di unità, ma non è tutta la Chiesa».

Anche sul tema della pedofilia don Mazzi assunse da subito (da quando cioè i primi casi scoppiarono, nel 2002, negli Stati Uniti) una posizione di radicale critica al modo con cui non solo la Chiesa aveva coperto lo scandalo, ma soprattutto al fatto che era la formazione stessa della Chiesa maschile gerarchica e patriarcale a favorire, di fatto, la pedofilia tra il clero. Parlò di “pedofilia strutturale” di una Chiesa che non educa ad una sessualità pienamente vissuta, che reprime e mortifica i suoi seminaristi, che inculca una modalità di relazioni intrinsecamente pedofila, perché non matura né adulta, ma fondata sull’esercizio del potere e sul dominio delle coscienze.

 



L’eresia che salva



Posizioni scomode. “Eretiche”, secondo alcuni. Di eresia in un senso positivo parlava però proprio Mazzi, in uno dei suoi ultimi libri, (Il valore dell’eresia, 2010, Roma, Manifestolibri). Perché l’eresia, secondo Mazzi, consiste innanzitutto nella liberazione dal dominio del sacro, inteso come “astrazione, separazione e contrapposizione fra le varie dimensioni della nostra esistenza”. Perché il sacro separa la vita dalla sua finitezza. Assolutizza ciò che è relativo. Tenta, quindi, di dare una risposta all’angoscia di morte. Ma in questo modo, paradossalmente, disumanizza la vita. Il sacro rappresenta quindi una sorta di nevrosi sociale, cui Mazzi contrappone la strada faticosa dell’eresia, della rigorosa rivendicazione della propria autonomia contro ogni modello, autorità o autoritarismo. È l’eresia l’energia creativa della storia: «Uno studio pubblicato qualche anno fa su Nature spiega che la sopravvivenza del formicaio  è dovuta a un delicato equilibrio tra conformismo e creatività, fra obbedienza e disobbedienza, fra sequela e ribellione». Ebbene, «le formiche tendono inizialmente a seguire in fila indiana il percorso scelto dalla formica che per prima ha scoperto il cibo. I feromoni rilasciati dalla esploratrice sul percorso impediscono di deviare. Ma ad un certo punto si crea un ingorgo che impedisce di giungere al cibo. Il principio istintivo della sequela acritica mette a rischio la sopravvivenza del formicaio. Scatta un altro principio, anch’esso iscritto nell’istinto: la creatività, la disobbedienza, la ribellione. Una o più formiche si ribellano alla legge dei feromoni. E prendono un’altra strada. Il cibo è di nuovo assicurato, il formicaio è salvo».

Ma l’eresia di don Mazzi, ha scritto Giovanni Franzoni sul manifesto (25 ottobre 2011), era finalizzata non alla ricerca di «un'altra ortodossia da opporre all'ortodossia e alla sacralizzazione del pensiero, dei gesti rituali, dei servizi e dei carismi, ma una ortoprassi che giorno per giorno veglia sulla fedeltà del discepolo nel seguire l'Evangelo». E Gesù, sul «cammino di salvezza dei poveri, dei senza voce, dei diseredati e dei perseguitati».

Un cammino che Mazzi non ha mai voluto compiere da solo. Schivo, alieno da qualsiasi tentazione di compiacimento di sé o di autocelebrazione, ha sempre inteso la sua lotta come quella di un io-collettivo, all’interno della comunità che non ha mai abbandonato e che mai lo ha abbandonato. La forza di quella esperienza, e degli effetti di quella straordinaria rivoluzione nel modo di intendere la Chiesa, la fede, l’impegno nella società che maturò nella Chiesa dal 1968 in poi, è ben testimoniata dalle parole di una donna dell’Isolotto – Almafida – che faceva parte di un gruppo di cernitori di spazzatura della discarica che sorgeva a ridosso del quartiere, nella zona detta della “Montagnola”. Erano chiamati "la tribù dei serpenti gialli", perché costretti a lavorare dalla mattina alla sera nella melma maleodorante e giallognola della spazzatura in decomposizione. Ormai in età avanzata, Almafida chiamò il nipote Francesco, consegnandogli un pacchetto con tre oggetti, che il giovane consegnò poi all’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto (www.comunitaisolotto.org): «Qui c'è tutta la vita della nostra famiglia», gli disse. «Quei due attrezzi - spiegò indicando con il dito - sono un forcone e un marraffio e servivano al tuo babbo, ai tuoi zii e ai tuoi nonni per scegliere la spazzatura. Servivano a comprare il pane e poco altro. In questo incarto - proseguì - c’è un libro. Questo è servito per un altro tipo di pane: quello della dignità e della speranza». Era Incontro a Gesù: «Gesù - disse l’anziana cernitrice - era amico di noi poveri e nessuno ce lo aveva mai detto! S'era schiavi dell'ignoranza e della miseria, si mangiava pane e moccio. Quando si era fortunati ad avere il pane! Abbiamo vissuto l'inferno, l'inferno quello vero, non quello inventato. Com'era lontano Dio! Come si tenevano a debita distanza coloro che nel tempio predicavano in suo nome! Poi arrivò un soffio di vento e un brivido di speranza, sembrava che dall'inferno si potesse uscire: qualcuno si era messo a cercare Dio proprio nell'inferno tra la gente come noi».

 (Valerio Gigante, su Micromega)

 

 


mercoledì 21 dicembre 2011

Veglia di Natale 2011

Comunità dell'Isolotto

 Natale 2011

Veglia con inizio alle ore 22 del 24 dicembre


 


 Natività nel segno del nuovo che nasce.

Testimonianze, progetti, speranze delle giovani generazioni che occupano le piazze del mondo


  

Firenze, 24 dicembre 2011



La piazza dell'Isolotto le piazze del mondo

  

A due mesi dalla scomparsa di Enzo, la comunità dell’Isolotto ha scelto di ritornare in piazza per la veglia di Natale in solidarietà con “il nuovo che nasce” nelle piazze del mondo.

 

La piazza: tornare  a rioccupare la  piazza in questa notte di Natale, quella piazza che ci ha visti protagonisti e testimoni per oltre quaranta anni, in questo momento storico  in cui generazioni diverse si intrecciano nelle piazze del mondo, ha per noi il significato di riconferma del messaggio che Enzo e la comunità hanno per tanti anni continuato a testimoniare: la resistenza, le energie positive dei giovani, le lotte che verranno, l’amicizia, l’affettività, il tenersi per mano, per molti la fede, la spiritualità, i gesti della memoria, il dolore, l'accompagnarci nella vita e nella morte.

 

La Veglia: parole condivise. parole non calate da un pulpito, da una cattedra, da un qualsiasi piedistallo.

Parole frutto di prassi di ricerca comunitaria, tessute di tante relazioni aperte.

 Parole che tentano di essere coerenti e di non svolazzare sopra la vita ma che partono dalla vita e alla vita ritornano.

Parole che si nutrono della memoria storica di tutti i popoli, delle parole tramandate, delle pagine dei libri sacri, della fatica di ogni ricerca, della vitalità di ogni cellula del grande organismo umano.

Non solo parole.

 

Testimonianze:  saranno con noi un rappresentante del movimento di “Occupy Wall Street”, donne dei movimenti “Libere tutte” e “Se non ora quando?”, rappresentanti della Comunità Senegalese, gli operatori di strada che lavorano nel Quartiere 4, il Gruppo Azione Non Violenta, alcuni giovani impegnati nelle

 

Simboli: la tenda, Il pane e vino, la luce di tante fiammelle, il fuoco, la bandiera della pace come tovaglia, i frutti della natura.

 

Socialità: canti, condivisione eucaristica, convivialità.



Ladri di parole

(Eduardo Galeano)


 

Secondo il dizionario dei nostri giorni, le “buone azioni” non sono più i nobili gesti dell’anima, bensì le azioni che vengono quotate in Borsa e la Borsa è lo scenario dove accadono “le crisi dei valori”.

 

Il “mercato” non è più quel bel posto del quartiere dove si comprano la frutta e la verdura. Adesso di chiama “Mercato” un terribile signore senza volto, che dice di essere eterno e ci tiene d’occhio e ci castiga: non bisogno ‘irritare’ il Mercato.

 

La “comunità internazionale” è il nome dei grandi banchieri e dei capi guerrieri. I loro “piani di aiuto” vendono salvagenti di piombo ai Paesi che annegano e le loro “missioni di pace” pacificano i morti.

 

Negli Stati Uniti, il ministero degli Attacchi si chiama ‘segreteria della difesa’ e si chiamano ‘bombardamenti umanitari’ i loro diluvi di missili contro il mondo.

 

Su una parete, scritto da qualcuno, scritto da tutti, leggo: “a me fa male la voce”.

 


 Voci dalle piazze del mondo


 

DALLA PIAZZA DI PUERTA DEL SOL, MADRID, SPAGNA

 (in corsivo le nostre interpolazioni)

Siamo persone normali e comuni. Siamo come te: gente che si alza la mattina per studiare, lavorare o cercare lavoro, gente che ha famiglia e amici. Gente che lavora duro tutti i giorni per vivere e dare un futuro migliore a coloro che ci circondano.

Alcuni di noi si considerano più progressisti, altri più conservatori. Alcuni credenti, altri no. Alcuni con una ideologia ben definita, altri apolitici…ma tutti siamo preoccupati e indignati per il panorama politico, economico e sociale che vediamo intorno a noi. Per la corruzione dei politici, degli impresari, dei banchieri.(legati sempre strettamente al potere religioso)

Questa situazione ci danneggia tutti ogni giorno. Ma se tutti ci uniamo possiamo cambiarla. E’ ora di metterci in movimento, ora di costruire tutti insieme una società migliore. Per questo sosteniamo fermamente quel che segue: esistono diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti in queste società: diritto alla casa, al lavoro, alla cultura, alla salute, all’educazione, alla partecipazione politica, al libero sviluppo personale e diritto al consumo dei beni necessari per una vita sana e felice.

La democrazia parte dal popolo  quindi il governo deve essere del popolo (e la Chiesa cattolica del popolo di Dio, non di pochi gerarchi autoriprodotti per diritto divino..)Ciò nonostante in questo paese la maggior parte della classe politica (e della Gerarchia ecclesiastica)non ci ascolta neppure. La funzione dello Stato( e della chiesa) dovrebbe essere di portare la nostra voce all’interno delle istituzioni, facilitando la partecipazione dei cittadini attraverso canali diretti e procurando il maggior beneficio per il grosso della società, non quella di arricchirsi e approfittarsi dei beni comuni, obbedendo solo agli ordini dei grandi poteri economici (e mantenendosi al potere attraverso una sorta di dittatura a due.). Le priorità di tutta la società avanzata devono essere l’uguaglianza, il progresso, la solidarietà, il libero accesso alla cultura, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo, il benessere e la felicità delle persone.

 

 

 

DA ZUCCOTTI PARK, WALL STREET, NEW YORK, USA



(http://occupywallst.org/): “Occupy Wall Street” è movimento di resistenza senza leader con persone di molti colori, generi e ideologie politiche. Occupy Wall Street è un movimento animato dalla gente nato il 17 settembre 2011 a  Liberty Square, nel distretto finanziario di New York, e si è diffuso in più di 100 città degli Stati Uniti  e in 1500 città del mondo. Scopo del movimento è quello di combattere contro il potere corrosivo delle grandi banche e delle multinazionali nei confronti del processo democratico, e di contrastare il ruolo di Wall Street che ha portato al collasso economico e alla recessione momdiale.

L'unica cosa che tutti abbiamo in comune è che siamo il 99% che non tollererà più l'avidità e la corruzione del 1% che sta dettando le regole di una inaccettabile

economia mondiale finanziarizzata che pregiudica il nostro futuro.

Questo movimento consente alle persone di creare un vero cambiamento dal basso verso l'alto. Vogliamo vedere un’assemblea generale in ogni cortile, in ogni angolo di strada, perché non abbiamo bisogno di Wall Street e non abbiamo bisogno dei politici per costruire una società migliore,(non abbiamo bisogno dello IOR né dell’8x1000,  e non abbiamo bisogno dell’Opus dei né del potere del sacro per costruire una Chiesa migliore.)l'unica soluzione èuna rivoluzione mondiale.



DA SANTIAGO DEL CILE: istruzione bene comune

 

Durante la dittatura di Pinochet l’insegnamento gratuito è stato abolito (solo la scuola elementare è rimasta gratuita) e negli ultimi 30 anni le scuole medie, superiori e le università sono state affidate al settore privato, che ne ha ricavato grandi profitti mentre le famiglie cilene si sono indebite per far studiare i figli.

 

Da maggio 2001 gli studenti universitari e medi stanno occupando le piazze di Santiago e di altre città cilene per chiedere un’istruzione pubblica, gratuita e di qualità, dalla scuola dell’infanzia all’università, un’istruzione che non discrimini per classe sociale, che non porti sul lastrico le famiglie (per frequentare l’università ci vogliono almeno 1000 euro al mese).

 

La mobilitazione nei mesi ha assunto dimensioni importanti e sta coinvolgendo gran parte della società civile cilena.

Gli studenti hanno dato vita anche a forme di protesta inconsuete e creative: una corsa a staffetta per 1800 ore intorno al Palazzo del governo, una donazione di sangue da parte di centinaia di ragazzi per 1800 litri di sangue, un sit-in con migliaia di baci.

 

 DALLE PIAZZE DI “SE NON ORA QUANDO?”



Il movimento delle donne “Se non ora quando?” ha coinvolto nella manifestazione del 13 febbraio 2011 più di un milione di donne in tutte le Piazze di Italia; una nuova grande manifestazione che si è tenuta l'11 dicembre 2011aPiazza del Popolo, a Roma. Il concetto chiave: 'Mai più contro di noi, mai più senza di noi'.

 

Questo l’appello di “Se non ora, quando?” del 13 febbraio 2011:In Italia la maggioranza delle donne lavora fuori o dentro casa, crea ricchezza, cerca un lavoro, studia, si sacrifica per affermarsi nella professione che si è scelta, si prende cura delle relazioni affettive e familiari, occupandosi di figli, mariti, genitori anziani. Tante sono impegnate nella vita pubblica, in tutti i partiti, nei sindacati, nelle imprese, nelle associazioni e nel volontariato allo scopo di rendere più civile, più ricca e accogliente la società in cui vivono. Hanno considerazione e rispetto di sé, della libertà e della dignità femminile ottenute con il contributo di tante generazioni di donne che hanno costruito la nazione democratica.

Questa ricca e varia esperienza di vita è cancellata dalla ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicità. E ciò non è più tollerabile. Una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici.

Questa mentalità e i comportamenti che ne derivano stanno inquinando la convivenza sociale e l’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione [..] Noi chiediamo a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro, della nostra dignità e diciamo agli uomini: se non ora, quando? è il tempo di dimostrare amicizia verso le donne.

  

DA PIAZZA TAHRIR – IL CAIRO - EGITTO

28 gennaio 2011: è il terzo giorno consecutivo di scontri in piazza Tahrir. I manifestanti, accampatisi nuovamente nell'epicentro delle sommosse popolari iniziate il 25 gennaio scorso, nel cuore de Il Cairo, stanno affrontando le forze di polizia nel tentativo di rivendicare l'appartenenza della piazza al popolo e il completamento delle rivendicazioni democratiche avviate con la rivolta.

I cittadini chiedono innanzitutto il passaggio del potere nelle mani di un governo “civile” e pretendono le dimissioni dei vertici militari e dei membri del Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) -- di fatto al governo dopo il crollo, nel febbraio scorso, del regime dell'ex-presidente Hosni Mubarak

26 novembre 2011: il vento della rivoluzione torna a soffiare in piazza Tahrir, dopo dieci mesi esatti. Tanti ne sono passati dalla prima sollevazione della capitale egiziana, quella che ha fatto tremare per due settimane il regime di Hosni Mubarak, fino a farlo crollare, lo scorso 11 febbraio.

Ieri, centinaia di migliaia di manifestanti sono tornati a gremire il luogo-simbolo della rivolta, per il “venerdì dell’ultima possibilità”. «L’ultima possibilità per difendere questa rivoluzione», spiega Kamal Sharif, studente di economia, che negli scontri di cinque giorni fa è rimasto intossicato dai gas utilizzati dall’esercito.

«Il popolo – prosegue Sharif– chiede la fine della reggenza militare e un nuovo esecutivo transitorio». Un governo “vero”, dato che quello di Kamal Ganzouri, indicato dal Consiglio supremo delle forze armate non piace nemmeno un po’ alla piazza. Primo ministro sotto Mubarak dal 1996 al 1999, Ganzouri da più parti non viene ritenuto in grado di poter portare avanti un compito delicato come la guida di un governo di emergenza nazionale.

«Fa parte del vecchio regime, – tuona Ahmed Tolba, giovane attivista del movimento socialista, mentre è intento a distribuire volantini ai passanti – Sharaf lo avevamo indicato noi, ma ci siamo accorti nel corso dei mesi che non era in grado di portare avanti le nostre istanze. I militari lo hanno tenuto in pugno fino a quando è stato costretto a dimettersi sulla scia delle proteste, per i 41 morti di questa settimana. Ora l’esercito vorrebbe porre alla guida del paese un fantoccio, gettando definitivamente la maschera e istituendo una sorta di dittatura camuffata

«Il momento è fondamentale, – prosegue Omar – in questo momento siamo in piazza per difendere tutto quello che abbiamo ottenuto quest’anno. Non possiamo permettere che il nostro paese cada sotto un’altra dittatura militare. O, peggio, che finisca in mano agli interessi internazionali».

  

DALLE PIAZZE DELLA TUNISIA

 

Ben Ali ha governato la Tunisia per 23 anni. Il 14 gennaio 2011 è caduto così inaspettatamente ed improvvisamente che il mondo rimase stordito, inclusi i tunisini stessi. Da allora quest'ultimi hanno destituito due governi successivi e stanno sfidando il terzo. Siamo stati silenziati per tutta la nostra vita. Ora parliamo e nessuno ci farà stare zitti. Ci faremo sentire. Tutti ora ci dovranno ascoltare”.

Sidi Bouzid è la cittadina in cui iniziò la sollevazione, dopo che Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante, si era dato fuoco dopo che per l’ennesima volta la polizia aveva confiscato il suo carretto. La madre di Mohamed, Mannoubia, ha detto:“Mohamed aveva sofferto molto. Era uno che lavorava duramente. Ma quando si è dato fuoco, non era per le cose che gli avevano confiscato. Era per la sua dignità: per noi la dignità è più importante del pane”.

 

Uno studente universitario di Tunisi: per un lungo periodo credevo fossi il solo a pensare in un certo modo. Iniziammo ad usare Youtube e Facebook perché era il solo modo con cui potevamo comunicare liberamente. Poi due bloggers furono arrestati a metà 2010 e tutti si spaventarono. Quando gli amici chiamarono e ci dissero cosa stava succedendo a Sidi Bouzid, ed i media non stavano dicendo niente, impazzimmo. Dovevamo esprimerci. Circa un centinaio di noi utilizzarono Facebook per organizzare la prima manifestazione nel centro di Tunisi. Il 13 gennaio la polizia mi arrestò assieme ad altri bloggers e mi tenne in custodia per circa tre ore. Ero stato manganellato prima, ma mai arrestato. Mi chiesero perché stavamo manifestando; risposi a causa dell'ingiustizia”.

 

 DA PIAZZA SYNTAGMA- ATENE

 

Ghiannis Fraghiadakis, 35 anni, insegnante: “Ho sempre creduto nella cittadinanza partecipata; che senso ha lamentarsi dell’ingiustizia se non si fa nulla per combatterla? Ho visto la società in cui vivo trasformarsi, assuefarsi e alla fine accettare la deriva morale che in parte spiega quello che oggi sta accadendo in Grecia. Lo stato clientelare, le mazzette, il boom economico; era l’estate del 1999 e tutti giocavano in Borsa, arrivava l’euro, eravamo alla vigilia delle Olimpiadi: tutti vollero credere che la Grecia fosse fuori dal guado degli ultimi.

Poi tutti si sono chiusi nel privato, nel quieto vivere, nell’ignorare volutamente i problemi. Il risveglio è stato brusco. Shock, spavento, la consapevolezza di una fine senza che ancora fosse, e sia, visibile, una prospettiva. Si è anche manifestato un senso di colpa, per non aver fatto nulla prima, per avere assistito in silenzio mentre il sistema politico che ha gestito il paese dal 1985 demoliva ogni senso di moralità democratica.

E’ stato come se ci avessero detto: “Noi governanti abbiamo organizzato 52 feste e ora voi ne pagate le spese”. Solo che noi abbiamo partecipato solo a 2 delle 52 feste.

Ora siamo arrivati a 1 milione di disoccupati, alla demolizione dello stato sociale e del settore pubblico additato come il grande colpevole. Che dire, allora di una economia che non produce più nulla da anni?

Quello che, tuttavia, trovo sia il vero problema è la perdita dei diritti: tutti, quelli dei lavoratori, quello alla pensione, alla sanità, alla istruzione pubblica. Per questi motivi da maggio sono in piazza Syntagma: ho pensato “finalmente qualcosa si muove”. Ero un po’ sospettoso, all’inizio: l’assemblea popolare faceva fatica a fare un discorso unitario e fortemente politico. Eppure, è politica chiedere democrazia diretta, è politica chiedere di conoscere tutti i dettagli del debito: come, quanto dobbiamo, a chi, e da quando. Questi sono esempi, ma è commovente partecipare ogni sera da mesi all’assemblea popolare delle piazze di Atene, dei quartieri, di molte città di provincia. Pare che la gente sisia impossessata delle città.

Il 29 giugno siamo stati sconfitti: il Parlamento ha votato a favore del programma economico a medio termine, nonostante la nostra lunga protesta. Io credo però che sia il tempo di riprendere la lotta. A Syntagma, ma anche e soprattutto nei quartieri, e ricostruire quella rete di solidarietà che oggi più che mai serve a tutti noi.”

 


Da che parte stai, degli inermi o dei potenti?

(Gustavo Zagrebelski)


 

A chi parla di diritti è giustificata la domanda:

da che parte stai, degli inermi o dei potenti?

 Ritrovare il significato autentico dei “diritti” è possibile solo nella comune tensione all'uguaglianza.

 Senza uguaglianza i diritti cambiano natura:per coloro che stanno in alto diventano privilegi per quelli che stanno in basso, concessioni o carità.

Senza uguaglianza, ciò che è giustizia per i potenti è ingiustizia per i senza potere.

 Senza uguaglianza, la libertà è garanzia di prepotenza dei forti e destino di oppressione dei deboli.

 Senza uguaglianza, la società, dividendosi in strati,

diventa una scala gerarchica.

 Senza uguaglianza, la solidarietà si trasforma in     carità e la carità serve a sancire l’ingiustizia.

 Senza uguaglianza, le istituzioni, da luoghi di protezione e integrazione, diventano strumenti di oppressione e divisione.

Senza uguaglianza, il merito viene sostituito dal clientelismo;

le capacità dal conformismo e dalla sottomissione;la dignità dalla prostituzione.

 Senza uguaglianza il diritto alla partecipazione politica diventa una gabbia di tifoseria da stadio.

Senza uguaglianza le forme della democrazia,(il voto, i partiti, l' informazione, la discussione, ecc.) possono non scomparire ma diventano armi nelle mani di gruppi potere..

 

 


Augurio


 

Non ti auguro un dono qualsiasi,

ti auguro soltanto quello che i più non hanno.



Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;

se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.



Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare, non

solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.



Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,

ma tempo per essere contento.



Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,

ti auguro tempo perché te ne resti:



tempo per stupirti e tempo per fidarti

e non soltanto per guardarlo sull'orologio.



Ti auguro tempo per toccare le stelle

e tempo per crescere, per maturare.



Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.

Non ha più senso rimandare.



Ti auguro tempo per trovare te stesso,

per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.

Ti auguro tempo anche per perdonare.



Ti auguro di avere tempo,

tempo per la vita.

 Elli Michler

 

Come riflessione sul natale ed il vangelo riproponiamo il commento che Enzo fece alla veglia del 2010, in segno ed a testimonianza della sua presenza viva in mezzo a noi.

 

Natale

 

Nei tanti luoghi della lotta sociale, piazze, tetti, ciminiere, fabbriche e scuole occupate la potente simbologia della rinascita legata al Natale viene inevitabilmente intrecciata con i motivi della lotta riaccendendo il fuoco morente della speranza.

 

Così è per noi nella veglia che viviamo in solidarietà con tutta questa gente che non si arrende, come lo è stato molte altre volte in questi oltre quarant’anni dalla prima veglia in piazza nel 1969. Natale oltre la disperazione, Natale “Oltre le paure, insieme per un nuovo patto tra gli esseri umani, la Terra, la Vita".

 

Prima che essere una festività religiosa, il Natale è un simbolo, anzi un insieme complesso di simboli tutti legati al senso della rinascita.

Viene da lontano la simbologia del Natale. Accompagna l’umanità fin dall’inizio della evoluzione millenaria della cultura. E ce li sentiamo dentro, nel nostro profondo, questi simboli della rinascita. Sono simboli potenti.

 

Siamo qui a vegliare insieme per elaborarli con i nostri canti, le riflessioni, le testimonianze, i gesti. I simboli dicono lo sforzo dell’essere umano per decifrare e in qualche modo dominare, attraverso la fitta oscurità che lo circonda, il senso del proprio esistere e il proprio destino. Non sappiamo da dove veniamo e non sappiamo dove andiamo e siamo indotti a dare un senso alle nostre esistenze affidandoci ad esempio al costante rinascere del sole.

La rinascita del sole richiama la rinascita perenne come anima del cosmo intero.

Altro esempio sono i cicli dell’albero il quale fin da tempi antichissimi diviene simbolo di vita in continua evoluzione, simbolo del cosmo vivente in perenne rigenerazione.

 

Il Natale cristiano nasce su questa linea millenaria di creazione simbolica. Infatti i racconti della nascita di Gesù sono mitici, non storici. Non narrano fatti realmente accaduti. Gesù ad esempio non è nato a Betlemme, non in una stalla, e via di questo passo. I racconti evangelici dell'infanzia offrono simboli. Essi portano l'eco di reali e storiche ansie, esperienze e progetti di vita delle comunità cristiane della fine del primo secolo.

Erano comunità di rifiutati che trasferivano in racconti simbolici, tramandati da tam tam popolari, le reali condizioni di vita della gente umile. Non per nulla nei Vangeli Gesù viene chiamato figlio dell’uomo”. Come a dire un essere umano qualsiasi, che però aveva dato loro una speranza di riscatto. Di fronte alla morte in croce e al fallimento di tutte le loro attese di giustizia questa povera gente cerca di nuovo un senso alla propria esistenza alimentandosi ai simboli antichi della rigenerazione: tutto è vita, tutto muore e tutto rinasce.

Poi viene la Chiesa del potere imperiale che trasforma la nascita e la morte e la resurrezione di Gesù in un progetto divino di salvezza universale trascendente, ma senza riscatto storico. E nascono due percorsi del cristianesimo: quello del potere e quello dei movimenti di base. A volte in conflitto a volte intrecciati fra loro.

E’ così che il sogno, il dolore e la volontà di riscatto e di liberazione del mondo delle prime comunità cristiane hanno dato nei secoli anima e senso alla gioia festosa del Natale.

Erano simboli vivi per tanti che lottavano e cercavano positivamente un mondo nuovo, più giusto:

- Maria, la gestante che intona il magico cantico, il “Magnifica”, con cui annuncia il “rovesciamento dei potenti dai loro troni e l’innalzamento dei poveri”;

- la vergine che concepisce e partorisce per opera dello Spirito e non per decreto del potere del “padre”, annunciando la fine della cultura patriarcale;

- la grotta, casa dei senza dimora, fuori dalle mura della città inospitale;

- la illuminazione dei pastori, anch’essi vigilanti “fuori dalle mura”;

- la stella che rifugge il “palazzo” del potere e guida avventurosi “stranieri”, i magi, verso la vita che nasce dalla realtà umana emarginata e repressa.

Ma oggi, che hanno da dire di vitale il bambinello e gli altri personaggi del presepio?

Oggi qui da noi, dove il sogno e il riscatto sono al lumicino, il Natale affoga nel trionfo del mercato. E’ divenuto una festa senz’anima. Vale ancora la pena di guardare l’altra faccia, quella vitale e generativa? Interessa a qualcuno? Oppure è solo archeologia? Ma si può abbandonare completamente la presa su una simbologia così potente?

La risposta la stiamo vivendo insieme questa notte in attesa di una nuova alba.



Preghiera della eucarestia


 

 

Non credo al diritto del più forte, al linguaggio delle armi, alla potenza dei potenti.

Voglio credere al diritto dell’uomo, alla mano aperta, alla potenza dei non-violenti

 

Non credo alla razza o alla ricchezza, ai privilegi, all’ordine stabilito.

Voglio credere che tutti gli uomini sono uomini,

che l’ordine della forza e dell’ingiustizia è un disordine.

 

Non credo di potermi disinteressare a ciò che accade lontano da qui.

Voglio credere che il mondo intero è la mia casa e il campo nel quale semino,

e che tutti mietono ciò che tutti hanno seminato.

 

Non credo di poter combattere altrove l’oppressione se tollero l’ingiustizia qui.

Voglio credere che il diritto è uno, tanto qui che altrove,

che non sono libero finché un uomo è schiavo.

 

Non credo che la guerra e la fame siano inevitabili e la pace irraggiungibile.

Voglio credere all’azione semplice,

all’amore a mani nude, alla pace sulla terra.

 

Non credo che il sogno degli uomini resterà sogno e che la morte sarà la fine.

Oso credere invece, sempre e nonostante tutto, all’uomo nuovo.

 

Osiamo credere al sogno di Dio stesso: un cielo nuovo, una terra nuova,

dove abiterà la giustizia.

 

Uniamo questi germogli di speranza al messaggio della religiosità del natale ed alla memoria  di Gesù il quale

la sera prima di essere ucciso, mentre mangiavano, prese del pane lo spezzò e lo diede loro dicendo:

prendete questo è il mio corpo.

poi prese un bicchiere rese grazie,lo diede loro e tutti ne bevvero e disse loro:

questo è il sangue mio dell’alleanza che si sparge per molti.

 

Questo pane che condividiamo,

intrecciando liberamente i sentimenti,

le ansie, le esperienze e le fedi più diverse

siano un segno e un principio di speranza

un segno fra tanti di solidarietà e di pace universale.



 


canti


 

 





















Uguaglianza

 

Ti ho visto lì per terra al sole del cantiere

le braccia e gambe rotte dal dolore

dicevan ch'eri matto

ma debbo ringraziare la tua pazzia.

Ti ho visto un sol momento

poi ti ha coperto il viso

la giacca del padrone che ti ha ucciso

ti hanno nascosto subito

eri per loro ormai da buttar via.

 

Ci dicon siete uguali ma io vorrei sapere

uguali davanti a chi uguali perché e per chi.

 

E' comodo per voi dire che siamo uguali

davanti a una giustizia partigiana

cos’è questa giustizia

se non la vostra guardia quotidiana.

 

Ci dicon siete uguali ma io vorrei sapere uguali davanti a chi uguali perché e per chi.

 

E' comodo per voi che avete in mano tutto

dire che siamo uguali davanti a Dio

è un Dio ch'è tutto vostro

è un Dio che non accetto e non conosco.

 

Ci dicon siete uguali ma io vorrei sapere uguali davanti a chi uguali perché e per chi.

Quante le strade

 

Quante le strade che un uomo farà

e quando fermarsi potrà?

 

Quanti mari dovrà traversar

un gabbiano per poi riposar...

 

Quando la gente del mondo riavrà

per sempre la sua libertà?

 

 

RISPOSTA NON C'E'

O FORSE CHI SA

PERDUTA NEL VENTO SARA'

 

 

Quando dal mare un'onda verrà

e i monti lavare potrà?

 

Quando per l'uomo che deve lottar

il duro cammin finirà?

 

Quante persone dovranno morir?

Perchè sono in troppi a morir!

 

 

RISPOSTA NON C'E'

O FORSE CHI SA

PERDUTA NEL VENTO SARA'

 

 

 

 


Canto dei tessitori


 

Per cantar "Veni Creator"

voi portate manti d'or

Per cantar "Veni Creator"

voi portate manti d'or

 

 

Noi li tessiam pei grandi della chiesa

e noi pover non abbiamo la camicia.

Tessitor noi siam

e camicia non abbiam

 

 

Per restare al potere

vesti in seta occorre aver

Per restare al poter

vesti in seta occorre aver

 

 

Noi le tessiam pei grandi della terra

E nudi noi finiamo sotto terra.

Tessitor noi siam

e camicia non abbiam

 

 

Il nostro regno arriverà

quando il vostro finirà.

Il nostro regno arriverà

quando il vostro finirà.

 

 

La morte al vecchio mondo noi tessiamo

e crescer la rivolta noi sentiamo.

Tessitor noi siam

mai più nudi noi andrem

Tessitor noi siam

mai più nudi noi andrem


 


Hey ma è vero che


 

La la la la.....

 

Hey ma è vero che

tutti gli altri sono uguali a me?

E no non è proprio così

 

Hey ma è vero che

Chi è più bianco è più forte di me

Eh sì sarà sempre così

 

Hey ma è vero che

chi è più forte ha più ragione di me

Eh sì sarà sempre così

 

Ma è vero Che il colore è solo luce

E la luce è la speranza E che siamo noi

 

Hey ma tu dici che

Cristo ha l'anima uguale a me

Eh sì nera come te Cristo ha l'anima

di un arlecchino tutti i colori dell'arcobaleno

Eh sì forse e proprio così

 

Hey ma un giorno verrà

Che Caino non ammazzerà

Eh no suo fratello mai più

Sem Cam Yafet non avran colore

Saran figli di un professore

 

Eh si può esser proprio così

Sarà vero Che il colore è solo luce

E la luce è la speranza

E che siamo noi la speranza

 

Camminando noi Verso il sole

Dentro il sole che salirà

 

 



 










Imagine

 

Imagine there's no heaven

It's easy if you try

No hell below us

Above us only sky

Imagine all the people

Living for today...

 

Imagine there's no countries

It isn't hard to do

Nothing to kill or die for

And no religion too

Imagine all the people

Living life in peace...

 

You may say I'm a dreamer

But I'm not the only one

I hope someday you'll join us

And the world will be as one

 

Imagine no possessions

I wonder if you can

No need for greed or hunger

A brotherhood of man

Imagine all the people

Sharing all the world...

 

You may say I'm a dreamer

But I'm not the only one

I hope someday you'll join us

And the world will live as one


Immagina


 

Immagina non ci sia il Paradiso

prova, è facile

Nessun inferno sotto i piedi

Sopra di noi solo il Cielo

Immagina che la gente

viva al presente...

 

Immagina non ci siano paesi

non è difficile

Niente per cui uccidere e morire

e nessuna religione

Immagina che tutti

vivano la loro vita in pace...

 

Puoi dire che sono un sognatore

ma non sono il solo

Spero che ti unirai anche tu un giorno e che il mondo diventi uno

 

Immagina un mondo senza possessi

mi chiedo se ci riesci

senza necessità di avidità o fame

La fratellanza tra gli uomini

Immagina tutta le gente

condividere il mondo intero...

 

Puoi dire che sono un sognatore

ma non sono il solo

Spero che ti unirai anche tu un giorno e che il mondo diventi uno

 



 











La strada

 

 

C’è solo la strada su cui puoi contare

la strada è l’unica salvezza

c’è solo la voglia e il bisogno di uscire

di esporsi nella strada e nella piazza

perché il giudizio universale non passa per le case

le case dove noi ci nascondiamo

bisogna ritornare nella strada

nella strada per conoscere chi siamo

C’è solo la strada su cui puoi contare

la strada è l’unica salvezza

c’è solo la voglia e il bisogno di uscire

di esporsi nella strada e nella piazza

perché il giudizio universale

non passa per le case

e gli angeli non danno appuntamenti

ed anche nelle case più spaziose

non c’è spazio per verifiche e confronti

C’è solo la strada su cui puoi contare

la strada è l’unica salvezza

c’è solo la voglia e il bisogno di uscire

di esporsi nella strada e nella piazza

perché il giudizio universale

non passa per le case

in casa non si sentono le trombe

in casa ti allontani dalla vita

dalla lotta dal dolore dalle bombe.


 

 

Noi ce la faremo

 

 

Noi ce la faremo (2 volte)

noi ce la faremo un dì

oh,oh,oh! dal profondo del cuor

nasce la mia certezza

che noi ce la faremo un dì.

 

Bianco e nero insieme (2 volte)

bianco e nero insieme un dì

oh, oh, oh dal profondo del cuor

…………

Non aver paura (2volte)

non aver paura mai

oh, oh, oh dal profondo del cuor

……

Per un mondo più giusto (2 volte)

per un mondo più giusto un dì

oh, oh, oh dal profondo del cuor

…..….

Noi ce la faremo (2 volte)

noi ce la faremo un dì

oh,oh,oh dal profondo del cuor

nasce la mia certezza

che noi ce la faremo un dì.

 




 

 

 

martedì 20 dicembre 2011

Veglia di Natale




Crediamo fare cosa gradita inviarvi con i nostri auguri la notizia della veglia in piazza, siete pregati di far circolare l'informazione.






 



Comunità dell’Isolotto - Veglia di Natale 2011







"Natività nel segno del nuovo che nasce



Testimonianze, progetti, speranze delle giovani generazioni



che occupano le piazze del mondo"







La veglia si svolgerà in piazza dell’Isolotto –Firenze



con inizio alle ore 22 del 24 dicembre







A due mesi dalla scomparsa di Enzo, la comunità dell’Isolotto ha scelto di ritornare in piazza per la veglia di Natale in solidarietà con “il nuovo che nasce” nelle piazze del mondo.







La piazza: tornare a rioccupare la piazza in questa notte di Natale, quella piazza che ci ha visti protagonisti e testimoni per oltre quaranta anni,in questo momento storico in cui generazioni diverse si intrecciano nelle piazze del mondo, ha per noi il significato di riconferma del messaggio che Enzo e la comunità hanno per tanti anni continuato a testimoniare: la resistenza,le energie positive dei giovani, le lotte che verranno,l’amicizia, l’affettività, il tenersi per mano, per molti la fede, la spiritualità,i gesti della memoria, il dolore, l'accompagnarci nella vita e nella morte.







La Veglia: parole condivise. parole non calate da un pulpito, da una cattedra, da un qualsiasi piedistallo. Parole frutto di prassi di ricerca comunitaria, tessute di tante relazioni aperte. Parole che tentano di essere coerenti e di non svolazzare sopra la vita ma che partono dalla vita e alla vita ritornano. Parole, che si nutrono della memoria storica di tutti i popoli, delle parole tramandate, delle pagine dei libri sacri, della fatica di ogni ricerca, della vitalità di ogni cellula del grande organismo umano.



Non solo parole.







Testimonianze: saranno con noi un rappresentante del movimento di “Occupy Wall Street”, donne dei movimenti “Libere tutte” e “Se non ora quando?”, rappresentanti della Comunità Senegalese, gli operatori di strada che lavorano nel Quartiere 4, il Gruppo Azione Non Violenta, alcuni giovani impegnati nelle istituzioni







Simboli: la tenda, Il pane e vino, la luce di tante fiammelle, il fuoco, la bandiera della pace come tovaglia, i frutti della natura.







Socialità: canti, condivisione eucaristica, convivialità.











Firenze, Natale 2011







Luciana Angeloni per La Comunitàdell’Isolotto



http://www.democraciarealya.es/

1 – documento spagnolo (le aggiunte in rosso sono della Comunità)

Puerta del sol 15 Maggio

Toma la calle 15 ottobre 2011

Siamo persone normali e comuni. Siamo come te: gente che si alza la mattina per studiare, lavorare o cercare lavoro, gente che ha famiglia e amici. Gente che lavora duro tutti i giorni per vivere e dare un futuro migliore a coloro che ci circondano.

Alcuni di noi si considerano più progressisti, altri più conservatori. Alcuni credenti, altri no. Alcuni con una ideologia ben definita, altri apolitici…Ma tutti siamo preoccupati e indignati per il panorama politico, economico e sociale che vediamo intorno a noi. Per la corruzione dei politici, degli impresari, dei banchieri legati sempre strettamente al potere religioso.

 Questa situazione ci danneggia tutti ogni giorno. Ma se tutti ci uniamo possiamo cambiarla. E’ ora di metterci in movimento, ora di costruire tutti insieme una società migliore. Per questo sosteniamo fermamente quel che segue:

o   Esistono diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti in queste società: diritto alla casa, al lavoro, alla cultura, alla salute, all’educazione, alla partecipazione politica, al libero sviluppo personale e diritto al consumo dei beni necessari per una vita sana e felice.

o   L’attuale funzionamento del nostro sistema economico e di governo non si preoccupa di queste priorità ed è un ostacolo per il progresso dell’umanità.

o   La democrazioa parte dal popolo (demos=popolo; crazia=governo) quindi il governo deve essere del popolo e la Chiesa cattolica del popolo di Dio, non di pochi gerarchi autoriprodotti per diritto divino. Ciò nonostante in questo paese la maggior parte della classe politica e della Gerarchia ecclesiasticanon ci ascolta neppure. La  funzione dello Stato e della Chiesadovrebbe essere di portare la nostra voce all’interno delle istituzioni, facilitando la partecipazione dei cittadini attraverso canali diretti e procurando il maggior beneficio per il grosso della società, non quella di arricchirsi e approfittarsi dei beni comuni, obbedendo solo agli ordini dei grandi poteri economici e mantenendosi al potere attraverso una sorta di dittatura a due.

o   Le priorità di tutta la società avanzata devono essere l’uguaglianza, il progresso, la solidarietà, il libero accesso alla cultura, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo, il benessere e la felicità delle persone.

L’ansia e la concentrazione di potere in poche mani genera disuguaglianza, tensione e ingiustizia, conducendo alla violenza, che noi respingiamo. Il modello economico vigente, obsoleto e antinaturale, blocca la macchina sociale in una morsa Stato-Chiesa che soffoca il buon vivere civile.

I cittadini sono parte di ingranaggio di una macchina progettata per arricchire una minoranza che non conosce i nostri bisogni. Siamo anonimi, ma senza di noi tutto questo non esisterebbe, siamo noi che muoviamo il mondo.

Se come società impariamo a non fidarsi nostro futuro a una astratta redditività economica che non è mai nell'interesse della maggioranza, possiamo eliminare gli abusi e le carenze che tutti soffriamo.

Abbiamo bisogno di una rivoluzione etica. Abbiamo messo il denaro in cima all'essere umani e dobbiamo metterlo al nostro servizio. Siamo persone, non prodotti sul mercato. Io non sono solo ciò che compro, ma perché lo compro e per chi lo compro.

Per tutti questi motivi, io sono indignato.

Penso di poter cambiare.

Penso di poter aiutare.

So che insieme possiamo.

Vieni fuori con noi.

E 'un tuo diritto.



2 – documento Stati Uniti

http://occupywallst.org/

Occupare Wall Street è movimento di resistenza senza leader con persone di molti colori , i generi e le ideologie politiche. L'unica cosa che tutti abbiamo in comune è che siamo il 99% che non tollererà più l'avidità e la corruzione del 1%. Stiamo usando la rivoluzionaria primavera araba tattica per raggiungere i nostri fini e incoraggiare l'uso della non violenza per massimizzare la sicurezza di tutti i partecipanti.

Questo movimento consente alle persone di creare un vero cambiamento dal basso verso l'alto. Vogliamo vedere una assemblea generale in ogni cortile, in ogni angolo di strada, perché non abbiamo bisogno di Wall Street e non abbiamo bisogno dei politici per costruire una società migliore, non abbiamo bisogno dello IOR né dell’8x1000,  e non abbiamo bisogno dell’Opus dei né del potere del sacro per costruire una Chiesa migliore. (in rosso: interpolazione comunitaria)

L’unica soluzione è la rivoluzione mondiale.

 

 

general@occupywallst.org

http://www.occupywallst.org/

Occupy Wall Street is leaderless resistance movement with people of many colors, genders and political persuasions. The one thing we all have in common is that We Are The 99% that will no longer tolerate the greed and corruption of the 1%. We are using the revolutionary Arab Spring tactic to achieve our ends and encourage the use of nonviolence to maximize the safety of all participants.

This #ows movement empowers real people to create real change from the bottom up. We want to see a general assembly in every backyard, on every street corner because we don't need Wall Street and we don't need politicians to build a better society.

The only solution is WorldRevolution

lunedì 19 dicembre 2011

Il processo dell'Isolotto




Quella della comunità fiorentina dell'Isolotto fu, alla fine degli anni Sessanta, una partecipata esperienza religiosa e laica, sociale, politica e culturale. E su di essa si abbattè una reazione tra le più immediate, virulente e indicative di quanto la presa di parola dal basso avesse allarmato i poteri costituiti. Nel processo del 1971, che il volume ricostruisce e ripercorre, furono coinvolte quasi mille persone. Nel saggio introduttivo di Enzo Mazzi, attraverso l'esercizio della memoria, che accosta fatti e valutazioni, si mostra come il processo contro la comunità dell'Isolotto sia stato un passaggio esemplare verso una drammatica stagione di depistaggi, trame eversive e repressione sulla quale ancora oggi non è stata fatta chiarezza. Oltre alla ricostruzione dei fatti, il volume è completato dall'arringa di Lelio Basso durante il dibattimento, che costituisce un documento inedito di straordinario valore storico e giuridico, nonché dalle testimonianze che importanti personaggi quali Pietro Ingrao, Ernesto Balducci, Hans KÜng, Franco Cordero, Lucio Lombardo Radice e altri resero al tempo dei fatti.

 


Link


domenica 27 novembre 2011

Terra madre

Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 27 novembre 2011



Storie dell’altro mondo: la storia di “Terra Madre”



riflessioni di Carlo, Claudia, Gisella, Luisella, Maurizio



con l’intervento e la testimonianza di Giovanna Licheri



           



Indice



1. Letture dalla Bibbia e dal Vangelo. 1



2. Terra Madre. 2



3. Testimonianze di Gente di Terra Madre. 5



4.   Chi è Slow food………………………………………………………………………….6



5. L’esperienza di Giovanna Licheri……8



6. L’impoverimento del suolo. 12



Levitico 25, 1-7 e 23. 14



 






1. Letture dalla Bibbia e dal Vangelo




E Dio disse: “La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto che facciano sulla Terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie”. E così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuno secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie”. E Dio vide che era cosa buona (Genesi, 1, 11-12)



E Dio disse: “Ecco, vi dò ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde. Dio vide che quanto aveva fatto era cosa molto buona”. (Gen., 1,29-31)



 



Questi brani della Genesi mostrano come anche in tempi antichissimi, ed anche nella mitologia di creazione adottata da un popolo di pastori come quello ebraico, l’umanità aveva chiari (o voleva che fossero chiari) il valore, la bellezza e la bontà dei germogli, delle piante e degli alberi che producono frutto, dei semi, e di quella che oggi chiamiamo bio-diversità e che nella Genesi è indicata con l’espressione “ciascuno secondo la propria specie”.



Dal Vangelo di Matteo: Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e agli anziani del popolo che gli chiesero “Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?”…. Ed Gesù disse loro: Ascoltate un’altra parabola: «Un uomo piantò una vigna, le fece attorno una siepe, vi scavò una buca per pigiare l'uva e vi costruì una torre; l'affittò a dei vignaiuoli e se ne andò in viaggio. Al tempo della raccolta mandò a quei vignaiuoli un servo per ricevere da loro la sua parte dei frutti della vigna. Ma essi lo presero, lo picchiarono e lo rimandarono a mani vuote. Egli mandò loro un altro servo; e anche questo insultarono e ferirono alla testa. Egli ne mandò un altro e quelli lo uccisero; poi molti altri che picchiarono o uccisero. Aveva ancora un unico figlio diletto e quello glielo mandò per ultimo, dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio”. Ma quei vignaiuoli dissero tra di loro: “Costui è l'erede; venite, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra”. Così lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori dalla vigna. Che farà dunque il padrone della vigna? Egli verrà, farà perire quei vignaiuoli e darà la vigna ad altri. Non avete letto la Scrittura: "La pietra che i costruttori hanno rifiutata, è diventata pietra angolare; ciò è stato fatto dal Signore, ed è una cosa meravigliosa ai nostri occhi?”» Essi cercarono di prenderlo, ma ebbero paura della folla; perché capirono che egli aveva detto quella parabola per loro. E, lasciatolo, se ne andarono”.



Abbiamo scelto questo brano perché, nell’esperienza di cui raccontiamo oggi, troviamo  “pietre scartate” che potrebbero diventare, che vorremmo diventassero, “testata d’angolo”. Vediamo perché…: l’agricoltura industrializzata, che si colloca nell’attuale modello economico che mira solo a massimizzare il profitto, ha prodotto risultati catastrofici per l’intera umanità: ha provocato l’abbandono delle campagne, la desertificazione, la deforestazione, l’impoverimento dei suoli, la comparsa di nuove malattie tra le specie animali (l’aviaria, la mucca pazza, la peste suina, etc..), ha importo ai contadini devastanti monoculture che ne limitano - quando non ne stroncano - la sussistenza alimentare e ha imposto alle popolazioni un’omologazione alimentare che ci impoverisce tutti.



L’umanità in questo contesto è destinata all’impoverimento generale.



Resistono però ancora nel mondo migliaia di esperienze (di cui molte si sono collegate nel movimento di cui vogliamo parlare oggi, il movimento di Terra Madre) che praticano una agricoltura tradizionale, spesso di sola sussistenza, comunque capaci di avvicinare la terra con rispetto, capaci di conoscere e custodire le risorse, i ritmi e le potenzialità della natura.



L’economia di mercato e il pensiero dominante, considera queste esperienze, come marginali, insignificanti, incapaci di incidere, nella migliore delle ipotesi utopiste o di “nicchia”.



Sono pietre scartate.



Noi invece pensiamo che se l’umanità ha una possibilità di salvarsi, questa possibilità abita proprio nelle “pietre scartate”, in queste esperienze di agricoltura capaci di produrre cibo e di vivere in armonia con la Terra. E vogliamo conoscerle, sostenerle, impegnarci con esse, perché ci sentiamo parte di questo modo di essere e di vivere, anche in loro si realizza il “regno di Dio”.



 






2. Terra Madre




 



Cos’è Terra Madre? Terra Madreè una rete di “comunità del cibo”, ossia una rete di comunità formate da tutti coloro che lavorano quotidianamente nel mondo dell’agricoltura, della pesca, dell’allevamento e dell’intera filiera alimentare, per preservare antichi metodi di produzione alimentare sostenibili, per promuoverne di nuovi che siano in armonia con la natura, per preservare il gusto, la biodiversità del cibo e le tradizioni culinarie locali. Al centro di questo impegno c’è un’attenzione particolare per i territori, per la difesa della biodiversità delle varietà vegetali e delle specie animali che ha permesso nei secoli di preservare la fertilità delle terre e la biodiversità.



 



Come è nata Terra Madre?Terra Madre è nata, su una idea di Slow Food, nell’ottobre del 2004 a Torino, quando si sono incontrati circa 5.000 contadini, piccoli allevatori e pescatori provenienti da 130 paesi di tutto il mondo. Migliaia di persone provenienti da villaggi sperduti dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina, ma anche da realtà poco conosciute di Europa e Nord America: erano (e sono) persone diversissime tra loro, molte delle quali non erano mai uscite dal loro villaggio, accomunate dal fatto di lavorare la terra con la volontà e la capacità di rispettarne i ritmi, di preservarne le risorse, di custodirne la biodiversità delle specie vegetali e animali, di custodirne le tradizioni culinarie locali. Non è stato facile spostare queste persone (che spesso non si erano mai spostate, che non conoscevano le lingue) ed ospitarle (furono ospitate da molte famiglie di Torino o di contadini piemontesi) ma poi tutto è andato bene. Queste persone attraverso il viaggio e l’incontro con altre realtà diverse ma simili, hanno visto riconosciuto il valore della loro fatica quotidiana (un lavoro che in genere assicura la sopravvivenza ma non dà ricchezza economica), hanno scoperto di non essere sole, hanno stretto amicizie e collaborazioni, hanno sviluppato occasioni di scambio di saperi, hanno acquisito consapevolezza e autostima. Il produttore biodinamico Markus Friedrich Schumacher di Tula (Russia) così si è espresso nel film che Ermanno Olmi ha girato nel 2009 per documentare questa esperienza: “Sono andato a questo meeting come un combattente solitario e quando sono tornato a casa non mi sono più sentito come un combattente solitario ma come parte di un grande movimento”.



Il fatto che queste persone abbiano potuto sentire e capire, in modo concreto, che il loro lavoro ha un enorme valore per la salvaguardia di tutto il pianeta e abbiano potuto accrescere il loro senso di autostima non è cosa da poco, anche perché per molti la tentazione di mollare tutto è forte: il loro lavoro è un lavoro duro, faticoso, che spesso non è remunerato in modo adeguato, che non consente di spostarsi, che non lascia tempo libero e che fa sentire “antichi, marginali”; la tentazione di andarsene, di andare in città pensando di andare a fare fortuna per molti è grande, anche perché molti non sanno che nella maggior parte dei casi i contadini che arrivano ai bordi delle megalopoli perdono tutto, e da poveri diventano miserabili.



Il nome da dare a questa rete “Terra Madre” è stato trovato subito, in onore a Pachamama la madre terra che venerano gli indios di tutta l’America Latina.



Questo primo incontro del 2004 si è poi ripetuto ogni due anni, ampliandosi, crescendo e articolandosi in molti modi: per esempio nel 2006 ha coinvolto i cuochi che hanno un ruolo fondamentale nel promuovere il valore dei cibi buoni, puliti e giusti (dove buono si riferisce alla qualità e al gusto degli alimenti, pulito a metodi di produzione rispettosi dell’ambiente, giusto alla dignità e giusta remunerazione dei produttori e all'equo prezzo dovuto dai consumatori) e nel promuovere e scegliere produttori locali di prodotti sani e qualità; e il mondo accademico che desiderava impegnarsi con i propri sapere su questi fronti. Successivamente Terra Madre si è allargata ai musicisti, i musicisti rurali, che da sempre con le loro tradizioni orali e musicali, accompagnano le mietiture, le semine, le stagioni, e le occasioni di convialità.



 



Terra Madre si opponead un sistema economico e ad un modello di sviluppo scriteriato che ricerca un continuo aumento dei profitti, che ha imposto in molti paesi scellerate monoculture, che mira alla omologazione della alimentazione dei popoli (cioè che spinge tutta la popolazione mondiale a mangiare le stesse cose prodotte da alcune poche multinazionali), che ha trasformato i cibi - il grano, il mais, il riso, il caffè e infiniti altri cibi .. in merci con prezzi sul mercato globale mentre dovrebbero essere cibi che prima di tutto sono fatti per essere mangiati dalle comunità che le producono. Tutto questo ha ripercussioni pesantissime su tutti noi, sulle risorse della Terra, sulla fertilità dei suoli, sulla possibilità di sopravvivenza dei popoli poveri e sulla sopravvivenza di tutti noi.



 



Terra Madre ha un sogno, quello di far sentire uniti, importanti quelli che sono sempre stati considerati gli umili, i marginali, l’ultima ruota del carro. L’importanza vera di questa umanità è sempre stata sottovalutata. I contadini e i produttori di cibo sostenibile sono sempre stati considerati come dei perdenti, un pezzo di mondo rimasto indietro, non al passo con i tempi, “sottosviluppati”. Ma quelli che la pensano così si sbagliano!



 



Terra Madre è una vera e concreta speranza:C’è chi ha visto in questi grandi incontri di gente semplice, umile ma piena di dignità e ritrovato coraggio, una specie di spettacolare parata dei poveri in abiti tradizionali, una sorta di festa terzomondista o un richiamo nostalgico ad un mondo agreste marginale. In ogni caso una realtà utopica. Ma si sbagliano!



La realtà è che il modello economico nel quale viviamo da oltre un secolo - un modello che mira solo a massimizzare i profitti - ha spogliato la terra, messo a rischio l’acqua, impoverito e desertificato i suoli, deforestato i territori, creato montagne di rifiuti, imposto ai contadini terribili monoculture, e alle popolazioni una omologazione dei cibi e delle culture. La realtà è che con questo modello economico e culturale l’umanità è destinata alla catastrofe.



Ma una alternativa esiste, ed esiste già! ed è nascosta tra le pietre scartate, in tutti coloro irrisi e marginali, che nella realtà che conoscono, amano e custodiscono le risorse e le potenzialità della natura, della Madre Terra, che se è amata e custodita sa essere dispensatrice di molti, buoni frutti. Se l’umanità ha un futuro questo futuro abita qui.



 



Terra Madre che obiettivi ha? Cosa intende fare? Terra Madre è nata per aumentare, nelle comunità dei produttori e nell’opinione pubblica, la consapevolezza di quanto è prezioso il loro lavoro. Per dare ai produttori qualche strumento in più per continuare a lavorare in condizioni migliori, per il bene di tutti noi e del pianeta. Per queste ragioni, costruire una rete mondiale – che disponga di strumenti di condivisione delle informazioni e che offra la possibilità di imparare dalle esperienze altrui e di collaborare con gli altri – è sembrato fondamentale. L’obiettivo di Terra Madre è sostenere le persone che nel mondo custodiscono terre, saperi e cibi sani, giusti e buoni; è continuare ad avere terre fertili, dove germoglino e crescano piante e animali adatti a quei particolari ambienti, piuttosto che dopati con sostanze chimiche che li fanno fruttare o ingrassare artificialmente.



 



I valori di Terra Madre: Terra Madre è formata da un’umanità umile, povera, piena di dignità, profondamente eterogenea, alle prese con la volontà e la capacità di preservare i saperi antichi e la volontà di acquisire quei saperi moderni che siano rispettosi della madre-terra. Negli incontri che si sono susseguiti si sono sviluppati aspetti che sono connaturati alla vita di questa umanità e che sono stati riassunti con la parola “intelligenza affettiva”: il rispetto per la diversità di ogni esperienza, un profondo senso di gratitudine e di fratellanza, una grande curiosità che stimola l’intelligenza e l’apprendimento, una spinta all’impegno politico nel senso più ampio e positivo, di democrazia partecipativa.



Un altro aspetto che caratterizza Terra Madre è che gli organizzatori pongono le condizioni organizzative necessarie perché gli incontri possano avvenire nel modo migliore, ma non c’è nessuno che comanda, che indica la strada, che ha la pretesa di dire quel che si deve fare: il tutto si svolge in una “austera anarchia”, in cui tutti fanno la loro parte. Chi pensa dunque che questa umanità sia un “esercito di gente chiamata a rapporto ogni due anni”, ragiona con i criteri di violenza e di omologazione che permea l’attuale modello culturale ed economico; al contrario gli organizzatori di questi incontri hanno una solida fiducia sulle capacità creative della auto-organizzazione e sanno che le comunità, se si danno adeguate possibilità di esprimersi, hanno tutte le capacità per trovare le loro strade, strade da individuarsi in modo lento, partecipato, complesso ma che aprono orizzonti di sostenibilità, di fraternità, di vero benessere. 



 



Quali sono i nodi della rete di Terra Madre?I primi nodi di questa rete sono state le comunità del cibo, cui si sono poi aggiunti i cuochi e i rappresentanti del mondo accademico.



Ø  Le comunità del cibo sono gruppi di persone che producono, trasformano e distribuiscono cibo di qualità in maniera sostenibile e sono fortemente legate a un territorio dal punto di vista storico, sociale e culturale. Le comunità condividono i problemi generati da un’agricoltura intensiva lesiva delle risorse naturali e da un’industria alimentare di massa che mira all’omologazione dei gusti e mette in pericolo l’esistenza stessa delle piccole produzioni.



Ø  I cuochi hanno un ruolo fondamentale. Sono gli interpreti di un territorio, che valorizzano attraverso la loro creatività. I cuochi di Terra Madre hanno capito che non si può separare il piacere dalla responsabilità verso i produttori, senza i quali non esisterebbe una cucina di successo. I ristoranti sono il luogo ideale per trasmettere questa filosofia ai consumatori. I cuochi rafforzano le comunità del cibo dialogando e collaborando con i produttori, e per questa via lottano anch’essi contro l’abbandono delle culture tradizionali e la standardizzazione del cibo.



Ø  250 universitàe centri di ricerca, con oltre 450 accademici in tutto il mondo, fanno parte della rete di Terra Madre e si impegnano, nel proprio ambito e con gli strumenti a loro più consoni, a favorire la conservazione e il rafforzamento di una produzione di cibo sostenibile, attraverso l’educazione della società civile e la formazione degli operatori del settore agroalimentare. Il mondo accademico che condivide i valori di Terra Madre cerca di coltivare un rapporto di reciprocità con la produzione, mettendo a disposizione le proprie conoscenze scientifiche per favorire scambi tra comunità locali ma anche mettendosi all’ascolto delle comunità, là dove queste hanno elaborato soluzioni ed esperienze ancora insondate dal mondo scientifico.



 


5. L’impoverimento del suolo


E’ ormai noto che lo sfruttamento industriale in maniera intensiva dei terreni coltivabili porta ad un progressivo impoverimento del suolo che, nonostante vengano utilizzati concimi, fertilizzanti e antiparassitari,  risulta progressivamente compromesso.

La desertificazione è un processo indotto dall’attività umana più che dai cambiamenti climatici; in genere deriva dall’eccessivo sfruttamento del terreno per uso agricolo e viene spesso accelerato per effetto del vento e del dilavamento delle piogge in aree a scarsa copertura di piante di alto fusto.

Le pratiche che portano all’impoverimento del suolo e alla desertificazione sono :

a)  pratiche agricole intensive                            a1)   uso di pesticidi inorganici

b)  processi estrattivi e di raffinazione              a2)  uso di compost inquinato

c)  processi industriali                                       a3)  irrigazione con acque inquinate

d)  traffico dei veicoli

  

L’agricoltura sostenibilecombina tre obiettivi fondamentali – un ambiente sano, il rendimento economico e l’equità sociale ed economica. Ad essa hanno contribuito diversi orientamenti filosofici, molte politiche e pratiche. Soggetti con competenze diverse, dagli agricoltori fino a consumatori, hanno condiviso questa visione e hanno contribuito al suo sviluppo.

Nel 1990 l’ Organizzazione delle Nazioni Unite ha definito la sostenibilità in termini di

“soddisfazione dei fabbisogni attuali senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri fabbisogni”. Per questo motivo la gestione sia delle risorse ecologiche e ambientali che di quelle umane è di estrema importanza. La gestione delle risorse umane comprende anche la gestione delle responsabilità sociali come le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori, i bisogni delle comunità rurali, la salute e la sicurezza dei consumatori sia nel presente che nel futuro. Gestire le risorse territoriali e ambientali vuol dire mantenere a lungo termine o accrescere questa fonte di vita fondamentale.