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sabato 23 aprile 2011

La festa che conduce all’essenza dell’essere




Le feste sono ormai banalizzate dall’orgia del consumo. Perfino il Primo maggio. Lo dimostra l’accanita opposizione che si è scatenata contro la lodevole iniziativa, “Ben venga maggio”, della CGIL di riportare la festa dei lavoratori al suo significato più profondo e originario. Un significato del resto comune a tutte le altre feste.



Esse mantengono infatti uno stesso nucleo profondo che converrebbe riscoprire e valorizzare: distacco dalla quotidianità dominata dalla coscienza dei fini, degli obiettivi, delle tecniche, dell’operosità e immersione nella dimensione del sogno, della danza, della poesia, che consente di emergere all’io profondo normalmente compresso dalla fatica dei mille impegni del dover essere. La festa che induce a cercare l’altro, svuotando un po’ i nostri scrigni per non dire i nostri sarcofagi di verità assolute, di obiettivi irrinunciabili, di “non possumus” senza speranza, come si fa nelle case per la pulizia di Pasqua.



Cambiano i nomi delle feste, cambiano i loro simboli, i riti, i tempi. Nella sostanza però tutto nella festa conduce all’essenza dell’essere, alla danza senza sosta del nascere e morire, al sogno del continuo rinascere del tutto, alla poesia perenne dell’esistere senz’altro scopo al di sopra e al di fuori dell’esistere in sé, uno scopo quindi capace di animare tutta l’infinita gamma dei colori dell’esistenza stessa.




La frenesia feriale ha invaso ormai anche la festa? E’ uno smarrimento preoccupante  e devastante. Le religioni hanno la loro responsabilità perché hanno piegato la festa a scopi trascendenti. Invece di unire il trascendente e l’immanente, il cielo e la terra, li hanno separati. E così hanno consegnato l’esistenza senza difese a tutte le violenze e la festa a tutte le strumentalizzazioni. Sarà possibile recuperare il senso profondo della festa?




Prendiamo la Pasqua. Pasqua è un termine ebraico, pesah, trascritto in greco con la parola pascha che in latino s’intreccia col terminepascua il quale serve a indicare“i pascoli”. Significa letteralmente “passaggio”. La festa di Pasqua nasce come grande festa della primavera di tipo agricolo-pastorale. Acquista poi gradualmente significati religiosi, storici, politici. Al fondo però mantiene sempre questo tema del passaggio: perdere una condizione e tendere a un’altra senza averla ancora acquisita. Come avviene per la natura a primavera. Quindi il passaggio a livello esistenziale è essenzialmente un vuoto. La stessa simbologia pasquale cristiana è infatti segnata dall'assenza e al tempo stesso dall'attesa: il sepolcro vuoto e la speranza del ritorno.



Non a caso uno dei principali simboli pasquali è l’uovo: immagine e modello della totalità prima di ogni differenziazione. E quindi anche in certo senso simbolo del vuoto rispetto ad ogni particolare realizzazione e interesse. L’uovo, come origine di tutto, è presente in molti antichissimi miti. In qualche modo è stato assunto anche dalla scienza come spiegazione dell’universo. Diamola pure per buona. Tra il piatto (l’universo piatto delle antiche cosmologie) e l’uovo (l’universo curvo di alcune teorie scientifiche) preferisco l’uovo. Lasciamo spazio all’immaginazione e alla poesia. Anche gli scienziati sognano. Le teorie, così si chiamano le certezze sempre provvisorie della scienza, nascono dalle ipotesi, le ipotesi dalle intuizioni, le intuizioni dai sogni.



E’ bello immaginare l’universo circolare; sognare che la luce delle stelle, ma anche “la luce dei tuoi occhi” ingrediente immancabile di ogni poesia d’amore, gira e gira e gira intorno, da stella a stella, ritornando all’origine in un vorticoso rimando senza fine. Che un raggio di luce prosegue il suo veloce cammino, dando vita alla notte anche quando si è spenta la fonte che lo ha generato. Pensare a una danza cosmica dei gesti di amore. Sognare un girotondo infinito della luminosa forza vitale lanciata dai gesti di solidarietà, serenità, forza d'animo, fede e coerenza. Una specie di immortalità immanente.



Ma i gesti di odio? E le guerre? Sono parte anche loro della giostra cosmica senza fine? E’ un interrogativo inquietante che intorbida la poesia.




Comunque buona Pasqua, pulcini nell’uovo cosmico, perennemente in attesa del parto, danzatori inesausti dell’incessante rinascere del tutto.



Repubblica Firenze 23 aprile 2011 pag. 1



Enzo Mazzi




  



 

venerdì 22 aprile 2011

La beatificazione di Wojtyla




La beatificazione di Wojtyla è un’operazione di marketing



di don Paolo Farinella



Il 1° maggio, universalmente giorno dedicato ai lavoratori, in Italia è stato requisito dalla gerarchia cattolica, segnatamente dal Vaticano che ha deciso di beatificare Giovanni Paolo II, il papa polacco, in questo giorno, con una volontà di prevaricazione ostentata e con l’intenzione di oscurare con una massa religiosa il 1° maggio laico, contrapponendo due celebrazioni, laica e cattolica, in modo artificiale e polemico.


E’ vero che il papa polacco fu un operaio. Lo fu solo per un anno o poco più. Non si può quindi dire che un «operaio», ma piuttosto che fece una esperienza di lavoro. Vendere questa esperienza come uno status qualificante è falso e mistificatorio. Non è degno di chi crede comportarsi così.

 Beatificare il papa polacco può rientrare anche negli affari interni alla gerarchia cattolica, ma è certo che una gran parte della Chiesa non partecipa a questa operazione di marketing della religione per risollevare le sorti di una religiosità languente. Non è così che si testimonia la fede, così la si uccide soltanto perché questo genere di eventi mettono in evidenza l’esteriorità: le grandi masse, i numeri, il folclore, l’illusione di dire che «erano in tanti» come sinonimo di richiesta di religione. Siamo in pieno paganesimo religioso perché si sfrutta il sentimentalismo per affermare una visibilità che nasconde il vuoto e il paganesimo dello stesso personale clericale. Sceneggiate. Parate. Mondanità. 

 Si dice che dopo la prima ubriacatura, oggi a pochi giorni della saga papale, si teme un flop che fa paura agli organizzatori che spendono per questa dimostrazione di forza debole una enorme quantità di denaro che poteva essere usato per i migranti o per altri scopi nobili sociali. Il costo dell’operazione è di € 1 milione e 200 mila, mentre al Comune di Roma tra straordinari e logistica costerebbe € 7 milioni e mezzo. Una cifra enorme, buttata al vento per una manifestazione con tanti interrogativi.

 Il papa polacco come uomo fu dirompente, carismatico, carnale e sanguigno: fu un uomo vero che si tuffava in mezzo all’umanità e vi restava. Ciò detto e riconosciuto, come papa fu il peggior papa del secolo scorso perché polacchizzò la Chiesa, consegnandola nelle mani delle sètte religiose che hanno frantumato il volto unito della sposa di Cristo. L’Opus Dei controlla le finanze del Vaticano e la cultura teologica, messa come cane da guardia per fare morire la Teologia della Liberazione. 

Comunione e Liberazione a livello nazionale e non solo è la longa manus del Vaticano in Italia, via privilegiata per accedere alle stanze del governo e delle leggi e poco importa se la Compagnia delle Opere, si esercita a fare affari con mafiosi e delinquenti. Poco importa se i due Istituti fanno a gare nell’arruolamento dei deboli a privare della coscienza chiunque si affaccia nel loro cortile. Poi vi è il lupanare dei Legionari di Cristo protetto e difeso anche di fronte all’evidenza delittuosa e immonda di un superiore generale pedofilo e padre di figli disseminati come noccioline.

L’obiettivo di tutta questa nuova fregola di evangelizzazione è uno solo: annientare definitivamente il concilio Vaticano II, il cui solo nome è sintomo di destabilizzazione nel mondo curiale e clericale. Noi celebreremo come possiamo il 1° maggio con un concerto dedicato ad un lavoratore della musica, il M. Emilio Traverso nel IV anniversario della sua morte e con lui pensiamo a tutti i lavoratori del mondo che cooperano alla grandezza del mondo.

(21 aprile 2011)

venerdì 8 aprile 2011

L'acqua, bene comune





Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 10 aprile 2011, ore 10,30, via degli aceri 1.







Tema dell'incontro comunitario:







Costituzione e Beni Comuni



Esserci: nel prossimo referendum per affermare il carattere di 'bene pubblico' di 'sora Acqua la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta' e fermare le privatizzazioni".







Riflessioni introduttive di Carlo, Claudia, Giampaolo, Gisella, Luisella, Maurizio, Moreno



con l’intervento di Gianfranco Tomassini del comitato per il referendum sull’acqua.











Indice



1. Letture dalla Bibbia, dal Vangelo e altre letture 1



2. Due parti di idrogeno e una di ossigeno (Marco Paolini – Gianni Rodari) 2



3. Costituzione e Beni Comuni 3



4. Acqua Bene Comune (di Giampaolo Pazzi) 7



5. I 4 Referendum del 12-13 giugno 8



6. L’intervento di Gianfranco Tomassini 10



7. La dichiarazione ONU per il diritto all'acqua…………………………………………………….11




(nota: le preghiere corali, compresa quella dell'eucarestia, sono tratte dall'archivio delle preghiere della Comunità e distribuite a parte ai presenti.)



1. Letture dalla Bibbia, dal Vangelo e altre letture



La creazione - Genesi



In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre riempivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.



Dio disse :”sia la luce”. E la luce fu. E Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò giorno la luce e notte le tenebre. E fu sera e fu mattina : primo giorno.



Dio disse :”sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque”. Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina : secondo giorno.



Dio disse :” le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto”. E così avvenne. Dio chiamo l’asciutto terra e la massa di acque mare. E Dio vide che era cosa buona.








Acqua viva, dal Vangelo di Giovanni (4, 5-14)



Giunse ad una città della Samaria chiamata Sicar … qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Gesù le disse: “Dammi da bere”. .. Ma la Samaritana gli disse “Come mai tu che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?” I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è chi è colui che ti dice “Dammi da bere” tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva. Gli disse la donna: “ Signore tu non hai un mezzo per attingere l’acqua e il pozzo è profondo; da dove hai (prendi) questa acqua viva (acqua di sorgente)? Sei forse tu più grande del nostro Padre Giacobbe che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?. Gesù rispose: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete, ma chi beve l’acqua che io gli darò non avrà più sete, anzi l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di vita eterna”.







"Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta…"



[Francesco d’Assisi]







L’acqua è fonte di tutte le forme di vita [dal Corano)]







L’acqua è la più grande nutrice ed è una madre per tutti [Taittitiya Samhita, sapienza Veda]







Come si possono comprare e vendere il cielo o il calore della terra? Il nostro modo di pensare è diverso dal vostro. L’acqua limpida che scorre in ruscelli e fiumi, per noi non è solo acqua, ma il sangue dei nostri antenati. Se vi vendiamo la terra dovete ricordare che essa è sacra, e dovete insegnare ai vostri figli che è sacra e dire loro che ogni ombra che si riflette nell’acqua chiara dei laghi parla di fatti e di ricordi della vita del mio popolo. Il mormorio dell’acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli, placano la nostra sete. I fiumi trasportano le nostre canoe e nutrono i nostri figli. Se vi vendiamo la terra dovete ricordare ed insegnare ai vostri figli che i fiumi sono nostri fratelli, e i vostri, e dovete quindi avere per loro lo stesso riguardo che avreste per un fratello. [Capo Seattle della tribù del Duwamish (Nord Est Cost)- 1855]







… giungeranno fino a noi grandi nuvole gonfie d'acqua che coccoleranno il mais:



scenderanno e lo abbracceranno con la loro acqua fresca, con la loro pioggia viva.



E là dove finisce il loro sentiero la pioggia sarà come un torrente:



trascinerà sabbia e fango, laverà le valli delle montagne,trasporterà i tronchi fino alla pianura.



Scorrerà acqua da tutte le montagne. I solchi di nostra Madre Terra saranno colmi d'acqua.



La mia preghiera è che accada così
. [Preghiera di speranza nella pioggia - Indios Zuni]







2. Due parti di idrogeno e una di ossigeno (Marco Paolini – Gianni Rodari)



Il corpo umano è fatto al 90%, di acqua, succhi, saliva e sputi….







nei mari della luna i tuffi non si fanno



non c'è una goccia d'acqua i pesci non ci stanno



che magnifico mare, che magnifico mare



nei mari della luna i tuffi non si fanno



non c'è una goccia d'acqua i pesci non ci stanno



che magnifico mare, per chi non sa nuotare...












Portatemi sulla riva, sul confine dove l’acqua tocca la terra, dove l’asciutto diventa bagnato.



Domani qua metteranno il cartello: Privato.



Ma di chi è l’acqua, perché non riesco a non pensare che questa non sia roba da vendere e comprare. Intuisco che è così, ma perché non può esserlo?



Dammi una buona ragione, e lui:



per la sua eguaglianza universale,



per l'indipendenza di ogni particella dalle altre: solo due parti di idrogeno per una di ossigeno.



Per la libertà del suo stato liquido, solido, gassoso, nel ciclo della pioggia e nelle correnti;



per la variabilità di quiete e tempesta;



per la consapevolezza della sua massa gigantesca tre a uno; 3 a 1 fisso dell’acqua sulle terre emerse;



per la grandezza di ogni orizzonte marino che diventa oceano;



per il suo essere linea, confine, finis terrae che disegna il mondo conosciuto;



per i pesci, i mammiferi marini, le capacità di sciogliere i sali, trattenere lo zucchero, la stanchezza umana e i rifiuti organici;



per la sua spinta dal basso verso l’alto uguale alla massa del liquido spostato;



per la commovente resistenza dei ghiacciai ai mutamenti climatici per niente scontati;



per la pazienza del bagnasciuga a Ferragosto;



per la dignità in memoria del nome dei fiumi avvelenati e seccati in modo per niente scontato o mal calcolato;



per la capacità di azione e reazione dei geiger, maremoti, tempeste, tsunami, alluvioni, Katrina e Rita;



per il mistero delle sorgenti prosciugate da grandi opere per niente scontate e mal calcolate;



per l’umidità dell’aria, per la nebbia, la rugiada, le nevi, la grandine;



per la capacità di lavare, togliere la sete, di spegnere il fuoco,nutrire le piante;



per essere risorsa, diritto, elemento fondante come aria e come l’aria di difficile conversione in merce.



Infatti che prezzo si può dare al vapore, alla nebbia, alla nube, alla pioggia, al nevischio, alla grandine… la grandine, nel bilancio idrico dei potenti, sarà un costo o un ricavo?



il suo essere bene indiviso nei secoli di antiche civiltà che fermavano la proprietà sulle rive dei fiumi, non l’ha salvata dall’essere merce nell’ultima frontiera dell’West,



dove per la prima volta nella storia, chi arrivava alla terra diventava anche padrone dell’acqua purché avesse un fucile per difenderla; i nativi d’America erano esclusi dalla gara, perché, partendo in loco, erano troppo avvantaggiati.



Così la possibilità di venderla e comprarla è un’idea che fa proseliti.



Per bere dovremo stappare!!!







L’acqua da imbrigliare, arginare, deviare, sbarrare, intubare, prelevata alla fonte, i rivoli invisibili che mettono i fiumi nell’imbarazzo di non riconoscere mai la foce, ma quale delta o estuario!



Il prezzo… Difficile non pensare alle conseguenze di svalutazione dell’intera razza umana, dal momento che essa rappresenta il 90% di ogni corpo umano. Dunque che prezzo dare alla vita? Che valore più o meno? Pagandola bene, sei bottiglie di acqua minerale, non è male, conviene!



E la scadenza? Se è merce avrà una scadenza. Che faremo allora degli stagni pestilenziali, delle lagune museo, delle pozzanghere inquinate, ma soprattutto dell’acqua dei vasi da fiore andata a male… nel bilancio idrico contabile del pianeta, dove le mettiamo, a costo o a ricavo?



3. Costituzione e Beni Comuni



Continuando il filo conduttore che il nostro gruppo si è dato quest’anno, cioè un’analisi degli articoli della Costituzione Italiana, questa volta abbiamo scelto quelli che riguardano il tema dei Beni Comuni anche in relazione al grande tema dell’acqua e dei prossimi Referendum, e in particolare l’art. 42 :



Articolo 42



La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.



La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.



La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.



La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.








Inoltre, nella Parte seconda al Titolo V Art. 118 la Costituzione Italiana afferma che :



Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”



Quindi è possibile promuovere organismi di controllo dei cittadini su attività di interesse generale come la gestione territoriale partecipata dei servizi pubblici.



Per questo scopo, in ogni Comune dovrebbe essere costituita la Consulta dei Beni Comuni, composta da cittadini singoli ed associati che esprimono interessi generali sui beni comuni, che garantisca la valorizzazione e la gestione partecipata dei beni riconosciuti come comuni.



Intervista di Slow Food a Giovanna Ricoveri



DOMANDA: Dott.ssa Ricoveri, proviamo a dare un‟inquadratura giuridica ai beni comuni? L‟articolo 42 della nostra Costituzione considera unicamente la proprietà pubblica e quella privata. Servirebbe, forse, un articolo 42 e mezzo dedicato ai beni comuni...



RISPOSTA: La Costituzione italiana del 1948 è molto avanzata: non solo definisce le regole di organizzazione dei poteri pubblici ma esplicita anche i valori verso cui orientare la vita del paese alla luce dei principi di democrazia e di libertà recuperati in Italia con la Resistenza al nazifascismo e la guerra di Liberazione.



La consapevolezza che la proprietà comune della common law può in certi casi essere più adeguata di quella pubblica e di quella privata perché è “liquida” o flessibile, non era ancora emersa con la forza che assunto con la globalizzazione, e ciò nonostante la nostra Costituzione ne riconosce in parte il fondamento all’art. 43 dove afferma che “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, alla Stato, a enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio e abbiano carattere di preminente interesse generale”. Se la nostra Costituzione ha un limite da questo punto di vista, non è tanto il mancato riconoscimento della proprietà comune, ma il mancato riconoscimento della Natura come soggetto di diritti … Per dare un’inquadratura giuridica ai beni comuni legati alle risorse naturali acqua, aria, terra e fuoco-energia, serve infatti recuperare la “sacralità” della Natura e il rispetto dell’ecosistema Terra che si sono persi in Europa con la Rivoluzione industriale e che esistono invece ancora in alcune aree del Sud come ad esempio nei paesi andini dell’America latina.







DOMANDA: A ben guardare, il tema dei beni comuni e della loro gestione si intreccia con la storia dell’umanità e ha a che fare da sempre con il potere, dal “dispotismo idraulico‟ dei regni dell’Asia e del Medio Oriente, alle enclosures messe in atto in Inghilterra a partire dal XV secolo...



R. Si, è vero. La storia dell’umanità è fortemente segnata dall’uso del potere per espropriare le masse e appropriarsi delle risorse naturali, in tutte le parti del mondo e in tutte le epoche. La particolare attenzione che nel mio libro dedico alla enclosuse delle terre comuni inglesi nel Cinquecento e Seicento è dovuta al fatto che la Rivoluzione industriale ha segnato la storia e il destino del mondo intero, al Nord e al Sud. In questo contesto mi pare utile sottolineare che lo sfruttamento delle persone e quello della natura viene normalmente considerato “compatibile” con la democrazia parlamentare, un sistema dove le persone non contano niente perché sono private della possibilità di decidere della loro vita e non hanno alcun controllo né sul proprio tempo né sul proprio lavoro. Tutto è deciso dal mercato - o, per dirlain modo più preciso - dalle condizioni che il mercato determina e che pretende offrano a tutti le stesse opportunità mentre invece sono un piano inclinato dove il confronto non è mai alla pari. I beni comuni sono invece autogestiti dalle comunità, e questo offre alle persone maggiori opportunità di decidere di sé e di costruire un proprio progetto autonomo di vita. Forse è davvero il caso di rivalutare e di ripensare strutture e istituti del passato, considerati arretrati e visti come un ostacolo alla “modernità”.



D. Oggi assistiamo all’emergere di una nuova discussione politico – giuridica sui beni comuni. Se l‟ONU, il 28 luglio del 2010 dichiara diritto umano l’accesso all’acqua potabile e all’igiene, siamo di fronte a una decisione che potrebbe far storia, non trova?



R. La decisione delle Nazioni Unite secondo cui l‟accesso all‟acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari è un diritto universale e non un bisogno, è sicuramente un fatto storico perché sancisce che l‟acqua non è una merce da mettere sul mercato e perché premia la mobilitazione portata avanti dai movimenti di tutto il mondo da almeno due decenni. Ma è solo un inizio, e molto resta da fare a livello dei governi e dei movimenti dei singoli paesi nel Sud ma anche nel Nord, per far si che questo diritto non resti una petizione di principio. Gli ostacoli sono enormi perché l‟accesso all‟acqua è minacciato dalla carenza di questa preziosa risorsa, che ha già dato luogo a una serie di conflitti armati. L‟acqua è una risorsa teoricamente illimitata perché rinnovabile, ma è resa scarsa sia dai cambiamenti climatici – che ne causano la dispersione per la concentrazione delle piogge, alluvioni e danni enormi all’agricoltura - sia dagli usi impropri cui essa è desinata dal mercato capitalistico – nell’agricoltura industriale e monoculturale, nelle grandi dighe, per l‟inquinamento delle falde acquifere e lo spreco nel consumo individuale degli occidentali e delle elite del Sud. Un‟altra causa di spreco va ricercata nelle moderne tecniche di captazione, conservazione e utilizzo che non prevedono più la raccolta dell’acqua piovana nei pozzi, praticano l‟irrigazione agricola a pioggia anziché a goccia, non curano più la manutenzione degli impianti di distribuzione le cui perdite raggiungono fino alla metà dell’acqua trasportata. Il problema dell’accesso all’acqua e ai servizi igienici riguarda soprattutto i 2 miliardi di persone del Sud che ne sono totalmente prive, dove la carenza di acqua potabile e di servizi igienici è causa di mortalità infantile elevata. Ma riguarda anche il Nord e l‟Italia, perché nelle aree interne e nelle regioni meridionali l‟acqua arriva in modo discontinuo e perché l‟acqua del rubinetto è sempre più inquinata e a rischio. C’è poi un altro problema, quello della privatizzazione con l‟ingresso delle multinazionali e l’aumento di prezzo del servizio idrico: in questo modo l‟accesso all‟acqua cessa di essere un diritto e dipende invece dal livello di reddito dei cittadini. Contro la privatizzazione dell‟acqua decisa dal governo Berlusconi, i movimenti italiani hanno proposto un referendum popolare che si spera di poter votare in primavera, crisi di governo permettendolo.



D: Però, secondo lei, chi è che decide cos‟è un bene comune e come lo si può gestire?



Serve un’autorità sovrastatale? E se sì, gli stati sarebbero disposti ad accettare



decisioni che arrivano dall’ONU o dalla Comunità Europea?




R. Sono domande importanti, cui è difficile rispondere perché la realtà del mercato capitalistico in cui siamo immersi da diversi secoli rende difficile prefigurare le alternative – persino averne la percezione, per dirla con Vandana Shiva. Comunque, io penso che no, gli stati non accetterebbero nessuna riduzione di potere decisa né dalle Nazioni unite né dall‟Unione europea e penso inoltre che non serva nessuna autorità sovrastale che decida sui beni comuni; anzi, se ci fosse, resteremmo al punto in cui siamo. Penso che i cittadini possono organizzarsi da soli in Comitati o Movimenti, come stanno già facendo in Italia e in tutto il mondo. In Campania, persone di tutte le età sono scese in piazza contro le discariche nel parco del Vesuvio e hanno spiegato perché quelle discariche non ci dovevano essere, perché creano un grave problema di salute pubblica; hanno indicato le soluzioni alternative anche sul piano tecnologico e sono ancora mobilitate per ottenere che le autorità preposte risolvano i problemi nei modi da loro indicati. Lo stesso ha fatto il Comitato No-Tav della Val di Susa, che da anni spiega dettagliatamente perché quella ferrovia ad alta velocità non serve e perché non può essere realizzata in una valle stretta e già piena di infrastrutture. Lo stesso stanno facendo in Abruzzo i Comitati popolari nell’Aquila post-terremoto, che chiedono di poter ritornare a vivere nel centro storico e denunciano la prepotenza da loro subita con le new towns realizzate dal governo con fiumi di denaro pubblico che poteva servire alla ricostruzione del centro storico, evitando così un altro giro di tangenti e di commesse truccate. So bene che questi movimento e comitati non hanno oggi il potere di decidere, perché gli Enti locali, gli Stati e la Comunità europea decidono sulla loro testa, ma non c‟è altra strada se non la mobilitazione popolare pacifica ma ferma e informata, che deve crescere fino al punto di costringere le Autorità ad ascoltare. Così facendo, i movimenti e i comitati, novelle comunità, conquistano legittimazione e modificano la situazione oggi dominata dallo Stato e dal Mercato, e dalle loro ideologie. Non penso che tutto questo sarà un “pranzo di gala”, ma credo che la crisi del capitalismo e dei suoi sostenitori spingano in quella direzione e che altre soluzioni non ce ne siano: non ci possiamo più permettere di sprecare l’intelligenza e l’energia della gente in carne ad ossa, che può fare meglio dei politici di professione perché è direttamente coinvolta nei problemi che intende risolvere, che sono anche i suoi.



D: In una conferenza tenutasi al Salone del Gusto a Terra Madre dquest‟anno i relatori facevano notare che una visione dei beni comuni legata unicamente alla prossimità locale e temporale potrebbe essere foriera di rischi. Hanno diritti sull‟acqua di un lago, ad esempio, solo coloro che vivono nelle sue immediate vicinanze? Oppure: se è vero che l‟Amazzonia è considerata il polmone del pianeta, quali sono i diritti e i doveri del Brasile da una parte, e del mondo intero dall’altra? Lei cosa ne pensa?



R. Non capisco bene la domanda: che vuol dire avere “una visione dei beni comuni” come se la realtà dei beni comuni non esistesse e dovessimo deciderla a tavolino, con operazioni di ingegneria istituzionale decise dall’alto, tipo quelle fatte ogni giorno dagli Stati sulla testa delle persone? I beni comuni operano secondo una logica molto diversa da quella che regola il mondo del mercato: sono flessibili e adattabili al variare delle situazioni, ma i conflitti ci saranno sicuramente, e saranno i tribunali a doverli dirimere esattamente come succede oggi nelle vertenze tra i soggetti presenti sul mercato e come succedeva nella società medioevale incentrata sulle comunità locali e sulla common law o legge consuetudinaria. Se invece la domanda si riferisce al fatto che i territori non hanno tutti la stessa dotazione di risorse naturali e che alcune risorse naturali come la Foresta amazzonica sono ecosistemi di valenza mondiale che non possono essere gestiti a scala locale, allora il problema diventa quello del coordinamento tra le comunità locali, che a mio parere non dovrebbe essere demandato ad autorità esterne ma realizzato a tavoli di trattativa dove le comunità locali siedono insieme ai rappresentanti dello Stato e del Mercato avendo eguale potere decisionale. Non ho una proposta articolata sul coordinamento delle comunità di cui vedo la necessità, ma diffido di organismi esterni che decidono dall’alto e così facendo espropriano le comunità. La difesa dell’ecosistema Amazzonia non è del resto assicurata neanche oggi, dal sistema attuale dove le



decisioni sono prese a livello nazionale e sopranazionale: io penso che con le comunità le cose non potranno dunque che migliorare.



D. Stefano Rodotà ha scritto: “I beni comuni ci parlano dell’irriducibilità del mondo alla logica del mercato, indicano un limite‟. Crede che saremo in grado, noi occidentali, di renderci conto di questa grande verità? Riusciremo farci insegnare qualcosa dai popoli del sud del mondo, oggi all’avanguardia nel dibattito sui beni comuni (pensiamo al Brasile, al Kenya, all’India che stanno cambiando le loro costituzioni proprio in questa direzione) ?



R. Anche queste sono questioni cruciali. Sulla prima parte della domanda, se saremo in grado di accettare il limite indicato dai beni comuni, la mia risposta è che bisogna precisare chi siamo “noi”. Se si tratta della classe dirigente, sono propensa a dire che non sarà in grado perché così facendo perderebbe i privilegi di cui oggi essa gode. Se invece ci si riferisce ai giovani disoccupati, ai pensionati poveri, ai lavoratori in cassa integrazione, alle donne in genere, agli immigrati, allora la risposa è si, tutti questi soggetti vedono quel limite con estrema chiarezza; anzi, lo vivono giorno per giorno e non ne possono più di una classe dirigente che legittima la situazione data, per interesse o per ignoranza. Sulla seconda parte della domanda, se riusciremo ad imparare qualcosa dai popoli del Sud, penso che sia utile conoscere e confrontarsi con le altre culture, dove la Natura è ancora rispettata ed è quindi possibile riconoscere i sui diritti come diritti costituzionali, garantendo che la base materiale dei diritti umani non sia erosa e vanificata dal venir meno della realtà fisica su cui quei diritti riposano. Ma è altresì auspicabile che si riesca a recuperare la memoria della nostra esperienza sui beni comuni, smettendola di credere alla favola del mercato che le cose buone e utili sono solo quelle nuove, che le nuove tecnologie sono sempre utili, che il passato è da buttare. Il futuro non si costruisce nel vuoto ma facendo tesoro del passato, da rideclinare per tener conto del passare del tempo e dei cambiamento che esso inevitabilmente – e fortunatamente – porta con sé.



4. Acqua Bene Comune (di Giampaolo Pazzi)



Nei paesi in via di sviluppo circa 2 Miliardi di persone non hanno accesso a quantità sufficienti di acqua potabile e/o non hanno sevizi igienici in casa. I paesi che dispongono di maggiori risorse finanziarie hanno la possibilità di investire ogni anno centinaia di miliardi di dollari in dighe, sistemi irrigui, acquedotti e infrastrutture per minimizzare i rischi della scarsità di acqua che, però, essi stessi creano con eccesivi consumi di acqua nell’agricoltura, nell’industria, con la deforestazione che spezza il ciclo dell’acqua o inquinando le falde acquifere, solo per fare alcuni esempi. D’altra parte in conseguenza del riscaldamento del globo terreste si creano sempre più zone di mancanza di acqua e zone di presenza eccessiva di acqua con alluvioni. In entrambi i casi ci sono minacce per la vita umana così come per la biodiversità animale e vegetale.



L’acqua è così diventata preziosa e nel ventunesimo secolo c’è il rischio dello scatenarsi di nuovi conflitti per il possesso delle fonti idriche. Grandi società prevedono già di fare enormi affari con il trasferimento di acqua fra diverse località. C’è un progetto che prevede il trasporto di acqua con navi cisterna dall’Alaska all’India, per 45 miliardi di litri ogni anno.



“L’acqua è diventata scarsa. L’acqua è diventata merce. In molti paesi si sta privatizzando. Tra gli effetti c’è l’aumento delle tariffe e la mancanza di garanzie sulla qualità. Se l’acqua diventa una risorsa scarsa chi la controlla può moltiplicare i profitti. E’ quello che sta accadendo” . Questo quanto afferma Vandana Shiva, indiana, vice presidente di Slow Food e fondatrice di Navdanya – organizzazione non governativa a difesa della biodiversità.



Anche in Italia molti comuni hanno già privatizzato le società che forniscono acqua ai cittadini con conseguenze negative sulle tariffe e sulla qualità del servizio. Molti altri comuni hanno mantenuto pubblico il servizio idrico comunale e si sono riuniti in un Coordinamento Nazionale "Enti Locali per l’Acqua Bene Comune e la Gestione Pubblica del Servizio Idrico" con i seguenti obbiettivi:



- confermare il diritto umano all’acqua, ossia l’accesso all’acqua come diritto universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune pubblico;



- ribadire il principio della proprietà e gestione pubblica del servizio idrico e che tutte le acque, superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà;



- riconoscere che la gestione del servizio idrico è un servizio pubblico essenziale per



garantire l’accesso all’acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini;



- promuovere iniziative atte a rendere pienamente operativa da parte di tutti gli uomini il



fondamentale diritto all’acqua e alla sua qualità;



- promuovere la partecipazione dei lavoratori e dei cittadini alle scelte fondamentali relative



alle politiche di tutela dell’acqua e di gestione del servizio idrico integrato.







Tra Aprile e Giugno 2010 sono state raccolte 1.402.000 firme a sostegno di 3 quesiti referendari contro la privatizzazione dell’acqua. Il 7 Dicembre la Corte di Cassazione ha dichiarato legittime le richieste e siamo in attesa che venga indetto il Referendum.



La mobilitazione del suddetto Coordinamento Enti Locali e delle associazioni referendarie continua soprattutto per impedire che proseguano le privatizzazioni in attesa che venga indetto il Referendum.



(testo presentato alla Veglia di Natale della Comunità dell’Isolotto 2010).











5. I Referendum del 12-13 giugno







I Referendum del 12-13 giugno sono:



1) il Referendum sul cosiddetto “Legittimo Impedimento”;



2) il Referendum sull’acqua (contro la privatizzazione del servizi di gestione dell’acqua)



3) il Referendum sull’acqua (contro la trasformazione dell’acqua in merce)



4) il Referendum sul nucleare.







Referendum sul Legittimo Impedimento







QUESITO (TESTO LETTERALE): Volete voi che siano abrogati l’articolo 1, commi 1, 2, 3, 5, 6 nonché l’articolo 1 della legge del 7 aprile 2010 numero 51 recante “disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza?”?



IN ALTRI TERMINI: volete abrogare la normativa che ha ampliato notevolmente le ragioni per le quali un cittadino può non comparire in udienza in Tribunale?



Nel codice penale è previsto che ogni cittadino abbia diritto a far spostare un’udienza di un processo che lo riguarda se ha un grave impedimento (per es. una malattia, un ricovero ospedaliero). La legger n.51 del 7.4.2010 fortemente voluta dal Presidente del Consiglio Berlusconi ha esteso notevolmente i casi in cui si può non presenziare al dibattimento (per. una vasta gamma di attività di governo) e quindi, implicitamente, di rinviare le udienze.



Il Referendum è stato proposto dall’Italia dei Valori ed è stato ammesso dalla Corte di Cassazione dopo che la legge è stata dichiarata parzialmente incostituzionale.



Votare per l’abrogazione significa affermare che tutti i cittadini, comprese le alte cariche istituzionali, sono uguali davanti alla legge.







Referendum sul Nucleare







QUESITO (TESTO LETTERALE): Volete voi che sia abrogato il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, limitatamente alle seguenti parti: art. 7, comma 1, lettera d: realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare?



IN ALTRI TERMINI: Volete voi che sia impedita la realizzazione di impianti nucleare sul territorio nazionale?



Il Referendum si propone di abrogare la norma che prevede la realizzazione in Italia di nuove centrali nucleari.



Di recente 100 associazioni di ogni tipo, tra cui ACLI, ARCI, AUSER, Amici della Terra, Ecologisti Democratici, Fare Verde, Legambiente, FIOM, Greenpeace, WWF, Slow Food, AIAB, Terra, Forum Ambientalista, Movimento difesa del cittadino, ecc. hanno costituito a Roma un Comitato denominato “ Vota Si per fermare il Nucleare” per sostenere la campagna referendaria..



Su questo tema rimandiamo al lavoro di informazione curato da Giampaolo per l’Assemblea della Comunità di domenica 27 marzo 2011.







Referendum sull’acqua







Referendum n.1 sull’acqua (sulle Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali…)



QUESITO (TESTO LETTERALE): Volete voi che sia abrogato l'art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n.112 "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n.133, come modificato dall'art.30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n.99 recante "Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia" e dall'art.15 del decreto legge 25 settembre 2009, n.135, recante "Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea" convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n.166, nel testo risultante a seguito della sentenza n.325 del 2010 della Corte costituzionale?



IN ALTRI TERMINI: volete fermare la privatizzazione dell’acqua?



L’abrogazione dell’art. 23bis della Legge n.133/2008, relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica si propone di fermare la privatizzazione dell’acqua.



La legge n.133/2008 approvata dal Governo Berlusconi stabilisce come modalità ordinaria di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati (attraverso gara) o a società a capitale misto pubblico-privato all’interno delle quali il privato (scelto attraverso gara) detenga almeno il 40% del capitale.



Con questa norma, si vogliono mettere definitivamente sul mercato le gestioni dei 64 ATO (su 92) che o non hanno ancora proceduto ad affidamento o hanno affidato la gestione del servizio idrico a società a totale capitale pubblico.



Le società di gestione del servizio idrico a totale capitale pubblico dovranno cessare l’attività improrogabilmente entro il dicembre 2011, o potranno continuare a condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato ad almeno il 40%. La norma inoltre disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dic. 2015.



Abrogare questa norma significa contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese.







Referendum n.2 sull’acqua (Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma



QUESITO (TESTO LETTERALE: Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?



IN ALTRI TERMINI: volete impedire che i gestori dei servizi idrici ricavino profitti garantiti sull’acqua?



Abrogare l’art. 154 del D.Leg.vo n.152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente) limitatamente a quella parte che dispone che la tariffa per il servizio idrico sia determinata tenendo conto dell’ “adeguatezza della remunerazione del capitale investito” significa abrogare quella parte della normativa che consente al gestori privati di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio. Abrogando questa parte dell’articolo della norma tariffaria, si elimina il “cavallo di Troia” che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici: si impedisce di fare profitti sull'acqua.











6. L’intervento di Gianfranco Tomassini







SERVIZIO IDRICO E PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA







Il referendum contro la privatizzazione obbligatoria della gestione dell’acqua e la realizzazione di profitti da parte delle aziende cui questa è affidata non si propone il semplice ritorno alla gestione pubblica, obbiettivo già importante. I promotori del referendum vogliono andare oltre.



L’acqua non è l’unico bene comune dell’umanità, ma e’ quello più essenziale ed è giusto partire da qui per affrontare il tema di una gestione dei beni comuni, cioè di beni la cui proprietà è condivisa e indisponibile. Questa caratteristica li esclude dal mercato, ma anche dalla tradizionale gestione statalista per affidarli alla partecipazione democratica dei cittadini. In un Paese come l’Italia che soffre di un grave deperimento della democrazia, non basta rivendicare il rispetto e l’attuazione della Costituzione. Occorre puntare al ritorno della politica attraverso la partecipazione diretta dei cittadini. Va in questa direzione sia rivitalizzare l’istituto del Referendum con il raggiungimento del quorum, che proporre come obbiettivo successivo la gestione pubblica partecipata del servizio idrico.



Ma come? La discussione è aperta.



Il forum dell’acqua, che è all’origine dell’attuale referendum, era già riuscito a raccogliere le firme necessarie per inviare in Parlamento nel 2007 una proposta di legge di iniziativa popolare sul tema della gestione del servizio idrico. Come c’era da aspettarsi, è ancora in attesa di esame. E’ pensabile che la vittoria al referendum possa sbloccare la situazione e consentire l’approvazione di una legge innovativa da questo Parlamento? Nel dubbio si sta pensando di utilizzare gli spazi concessi dall’attuale ordinamento degli Enti Locali per attuare, con la spinta del movimento per i beni comuni, una svolta nel modello di gestione pubblica dell’acqua. Il nuovo modello deve comunque essere flessibile e inclusivo, adeguabile alle singole realtà locali.



Secondo il Prof. Lucarelli, uno degli estensori dei quesiti referendari, gli attuali Statuti e Regolamenti Comunali consentono la partecipazione dei cittadini associati agli organismi di gestione del servizio idrico., secondo i criteri di una democrazia della rappresentanza (Ente locale o Consorzio) e della partecipazione (Associazionismo).



Si possono prevedere delle “Aziende Speciali”, sul tipo della “Eau de Paris”, i cui organi potrebbero essere:



Un Consiglio Comunale allargato all’associazionismo con potere di voto.



Un Consiglio di Amministrazione allargato ai cittadini “attivi” che delibera



Un Comitato di Sorveglianza con funzioni di controllo.



Tra i problemi da risolvere a questo proposito, c’è anzitutto il criterio di selezione di questi “cittadini attivi” variamente associati.



Se il criterio è prevalentemente quello della “competenza” si corre il rischio di una deriva tecnocratica e corporativa: Il problema della partecipazione si pone comunque in maniera diversa tra aree metropolitane e distretti rurali e montani , che meglio si prestano.



Altra questione delicata quella del controllo e diffusione delle informazioni, alla base di qualsiasi possibilità di partecipazione democratica. C’è anche un rischio di localismo egoista, che non tiene conto della diversità nelle disponibilità e nei bisogni tra i vari territori. Un meccanismo di solidarietà regionale e sovraregionale, come può essere attuato, garantendo allo stesso tempo la partecipazione democratica dei cittadini? Si deve prevedere la partecipazione specifica agli organismi dell’azienda speciale dei lavoratori addetti al servizio idrico? La discussione è veramente aperta e può favorire l’affermazione di una vera cittadinanza responsabile.







Una volta stabilita la gestione pubblica e democratica del servizio idrico, resta il problema del suo finanziamento. Secondo la proposta di legge di iniziativa popolare, un minimo garantito di 50 litri d’acqua per abitante deve essere a carico della fiscalità generale. Per il resto occorre un sistema tariffario trasparente che deve esser articolato in base al reddito e penalizzare gli sprechi. Con questo si coprono i costi di gestione e parte degli investimenti. Nessuna remunerazione è prevista per il capitale Gli investimenti necessari per il servizio idrico sono previsti in 2 miliardi di € l’anno per prossimi 30 anni. E’ una cifra ingente, che potrebbe essere coperta, oltre che dalla fiscalità generale, da contributi europei e dall’accensione di mutui presso la Cassa Depositi e Prestiti.



L’economista Duccio Valori propone l’applicazione di uno strumento finanziario previsto da una legge del 1993 e finora non utilizzato: il “prestito irredimibile”. E’ un prestito che non prevede la restituzione del capitale, ma garantisce un rendimento del 6% annuo. Con questo i cittadini potrebbero contribuire al finanziamento degli investimenti, oltre le tasse e le tariffe.



In alternativa c’è che propone un prestito obbligazionario.





7. Il diritto umano all'acqua e ai servizi igienico-sanitari di base



Assemblea Generale delle Nazioni Unite - Risoluzione A/64/L.63/Rev.1



L'Assemblea Generale, viste le sue risoluzioni:



. 54/175 del 17 dicembre 1999 sul diritto allo sviluppo,



. 55/196 del 20 dicembre 2000 che proclamava il 2003 come Anno Internazionale dell'Acqua,



. 58/217 del 23 dicembre 2003 che proclamava il Decennio internazionale per l'azione "Acqua per la vita" (2005-2015),



. 59/228 del 22 dicembre 2004,



. 61/192 del 20 dicembre 2006 che proclamava il 2008 Anno Internazionale dell'Igiene



. 64/198 del 21 dicembre 2009 riguardante la valutazione complessiva intermedia della realizzazione del Decennio internazionale per l'azione "Acqua per la vita",



. l'Agenda 21 di giugno 1992,



. l'Agenda Habitat del 1996,



. il Piano d'azione Mar del Plata del 1977 adottato dal Conferenza sull’Acqua delle Nazioni Unite,



. la Dichiarazione di Rio sull'ambiente e lo sviluppo di giugno 1992,







Richiamando anche:



. la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo,



. il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali,



. il Patto internazionale sui diritti civili e politici,



. la Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale,



. la convenzione relativa all'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne,



. la Convenzione sui diritti del fanciullo,



. la Convenzione sui diritti delle persone con Disabilità



. la Convenzione di Ginevra relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra, del 12 agosto 1949,








Ricordando inoltre tutte le precedenti risoluzioni del Consiglio Dei Diritti Umani sul "diritto umano all'accesso all'acqua potabile sicura ed ai servizi igienico-sanitari”, comprese:



. le risoluzioni del Consiglio n. 7/22 del 28 marzo 2008 e 12/8 del 1 Ottobre 2009 riguardanti il diritto umano all’acqua potabile sicura ed ai servizi igienici,



. il Commento Generale n. 15 (2002) del Comitato sui diritti economici, sociali e culturali sul diritto all'acqua (articoli 11 e 12 del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali),



. il rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani sulla portata e sul contenuto dei rilevanti obblighi connessi al diritto umano ad un accesso equo all’acqua potabile sicura ed ai servizi igienici, nell’ambito degli accordi internazionali sui diritti umani,



. nonché la relazione dei periti indipendenti sulla questione dei doveri connessi al diritto umano di accedere all’acqua potabile sicura ed ai servizi igienici di base;







Profondamente preoccupata del fatto che circa 884 milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile e che più di 2,6 miliardi di persone non hanno accesso ai servizi sanitari di base, ed allarmata perché circa 1,5 milioni di bambini sotto i 5 anni di età muoiono e 443 milioni di giornate scolastiche vengono perse ogni anno a seguito delle malattie connesse alla mancanza di acqua e di servizi igienico-sanitari;







Riconoscendo l'importanza di un'equa disponibilità di acqua potabile sicura e pulita e di servizi igienici come parte integrante della realizzazione di tutti i diritti umani;







Ribadendo la responsabilità degli Stati nella promozione e protezione dei diritti umani che sono universali, indivisibili, interdipendenti ed interconnessi e devono essere trattati globalmente ed in modo equo ed affrontati tutti sullo stesso piano e con il medesimo impegno;







Tenendo presente l'impegno assunto dalla comunità internazionale per raggiungere appieno gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e sottolineando, in tale contesto, la volontà dei capi di Stato e di Governo, espressa nella Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, di dimezzare entro il 2015 la percentuale di persone prive di accesso all’acqua potabile sicura, e di dimezzare la percentuale di persone senza accesso ai servizi igienici di base, come concordato nel Piano di Attuazione del Vertice mondiale sullo Sviluppo Sostenibile ("Piano di Attuazione di Johannesburg"):







1. Dichiara il diritto all'acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani;







2. Invita gli Stati e le organizzazioni internazionali a fornire risorse finanziarie, competenze e tecnologie, attraverso l'assistenza e la cooperazione internazionale in particolare verso i paesi in via di sviluppo, al fine di incrementare gli sforzi per fornire acqua potabile sicura, pulita, accessibile e



disponibile e servizi igienico-sanitari per tutti;







3. Plaude alla decisione del Consiglio dei Diritti Umani di chiedere che i periti indipendenti esperti sulla questione degli obblighi connessi ai diritti umani in relazione all'accesso all'acqua potabile sicura ed ai servizi igienici presentino una relazione annuale all'Assemblea Generale e la spingano a continuare il proprio lavoro su tutti gli aspetti del suo mandato in accordo con tutte le specifiche agenzie delle Nazioni Unite, i fondi ed i programmi, affinchè il rapporto all’Assemblea, nella sua sessantaseiesima sessione, includa il tema delle principali sfide legate alla realizzazione del diritto umano all’acqua potabile sicura ed ai servizi igienici e la relativa incidenza sul raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.



Una storia positiva :



A Plachimada, un villaggio dello stato indiano del Kerala, qualche anno fa c’era uno stabilimento della Coca Cola che consumava un milione e mezzo di litri d’acqua al giorno e produceva siccità e inquinamento in tutta la zona, restituendo addirittura, spacciandoli sotto forma di concime, i rifiuti tossici. Ma le donne del villaggio iniziarono a manifestare, prima davanti ai cancelli della fabbrica, poi coinvolgendo gli altri villaggi della regione. Dopo quattro anni di lotta, la corte di giustizia del Kerala diede loro ragione : l’acqua è un bene pubblico e il governo regionale fu costretto a far chiudere la fabbrica.



Da allora in India una campagna di boicottaggio nei confronti di Coca Cola e Pepsi Cola ha dichiarato più di 500 villaggi, scuole e università “Coca e Pepsi Free”.







Una campagna il tempo di Pasqua



promossa dalla Rete Interdiocesana Nuovi Stili di Vita



Acqua: dono di Dio e bene comune



Diocesi di Andria, Belluno-Feltre, Bolzano-Bressanone, Brescia, Carpi, Cuneo, Milano, Padova, Pescara – Penne, Reggio Emilia, Termoli-Larino, Trento, Vittorio Veneto, Senigallia, Lanciano Ortona, Pistoia







1) L’acqua è uno dei grandi doni della creazione, tramite i quali Dio dona la vita a tutte le sue creature. Non a caso, gran parte delle religioni dell’umanità vede in essa un segno della presenza del Mistero e un simbolo di purificazione e rinascita. Lo stesso tempo pasquale invita a vivere alla luce del Risorto, scoprendolo come “sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv. 4, 14).







2) Noi stessi, come tanti altri esseri viventi, siamo fatti in gran parte d’acqua e dipendiamo dal suo continuo ciclo. L’acqua è quindi essenziale per la vita delle persone e l’accesso ad essa costituisce un “diritto universale inalienabile” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n.485; cf. anche Caritas in Veritate n. 27).







3) “Il principio della destinazione universale dei beni si applica naturalmente anche all’acqua” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n.484), ma la fruizione di tale diritto è preclusa a un gran numero di esseri umani, ponendo un grave problema di giustizia. Un quarto della popolazione del pianeta, infatti, non ha accesso ad una quantità minima di acqua pulita, mentre oltre 2,5 miliardi di persone non hanno accesso ai servizi igienico-sanitari di base, determinando anche la diffusione di gravi malattie endemiche.







4) La campagna “Acqua, dono di Dio e bene comune”, unaproposta cristiana al di sopra di ogni schieramento politico e ideologico, è un invito ad adottare stili di vita e comportamenti che tutelino questo prezioso bene comune, garantendone la disponibilità per tutti. Proponiamo alle Chiese locali, la costruzione di percorsi pastorali, adatti al proprio territorio, che conducano i cristiani a riscoprire lo sguardo di Francesco, che chiamava l’acqua “sorella”, rinnovando così coerentemente le proprie pratiche.



Stili di vita amici dell’acqua







5) L’acqua è un bene prezioso e la sua accessibilità è limitata; dobbiamo quindi imparare ad usarla con sobrietà e senza spreco. Tante sono le pratiche possibili: scegliere la doccia al posto del bagno, non lasciar il rubinetto aperto quando ci laviamo i denti o facciamo la barba, o ancora evitare le perdite, mettere sui rubinetti i riduttori di flusso che fanno risparmiare acqua miscelandola con l’aria.







6) Occorre attenzione anche nella scelta dei prodotti che mangiamo e che indossiamo, preferendo quelli che richiedono meno acqua per la produzione. Teniamo presente, ad esempio, che la produzione di carne esige molta acqua (un chilo di carne bovina comporta in media l’uso di 5.500 litri, mentre un chilo di carne di pollo ne richiede 3.900 litri) e che ci vogliono 10.000 litri d’acqua per produrre un paio di jeans e 2 mila per una maglietta di cotone.







7) È importante privilegiare l’uso dell’acqua del rubinetto, che è buona, controllata, comoda e costa poco. Il suo impatto ambientale è limitato anche perché non richiede né involucri in plastica, né trasporti inquinanti. In quelle situazioni in cui è assolutamente necessario l’uso dell’acqua minerale, andranno almeno preferite acque a chilometri zero (imbottigliate vicino a casa); si cercherà poi di acquistare confezioni grandi e/o in vetro per ridurre la produzione di rifiuti.



Un diritto da tutelare



La possibilità di usare l’acqua del rubinetto richiede necessariamente che ne sia garantita la qualità da parte delle diverse autorità a ciò preposte. Una puntuale vigilanza in tal senso è parte della pratica di custodia del creato cui sono chiamati i cristiani.







9) “L’acqua, per la sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale” La distribuzione dell’acqua ha dei costi, ma su di essa non si può fare profitto in quanto il diritto al suo uso si fonda sulla dignità della persona umana e non su logiche economiche (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n.485). L’acqua è quindi un vero bene comune, che esige una gestione comunitaria, orientata alla partecipazione di tutti e non determinata dalla logica del profitto.







10) Il diritto all’acqua deve dunque essere garantito anche sul piano normativo, mettendo



in discussione quelle leggi che la riducono a bene economico. Sarà importante, quindi, partecipare attivamente al dibattito legato al referendum sulla gestione dell’acqua, che mira a salvaguardarla come bene comune e diritto universale, evitando che diventi una merce privata o privatizzabile, ma ripubblicizzandola mediante una forma di gestione pubblica e partecipata dei servizi idrici.







11) “E mi mostrò un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che da frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni”. (Ap. 22, 1-2). Pasqua è tempo di vita nuova, nel quale siamo invitati a partecipare nello Spirito alla vita della nuova creazione. Contempliamo l’acqua – nella preghiera personale e comunitaria, come nelle pratiche – come un segno di quell’amore vivificante che Dio offre ad ognuno di noi ed alla famiglia umana.



Fonte: Ufficio Comunicazioni sociali della Diocesi di Pistoia

lunedì 4 aprile 2011

Mario Fabiani e l'Isolotto






Assemblea di domenica 3 aprile 2011

Cecilia Pezza, consigliera comunale di Firenze presenta la figura di Mario Fabiani, oggetto della sua tesi di laurea.



(Questo che segue è preso dal fascicolo distribuito dal gruppo formato da Antonietta, Lucia, Paola)

Vita di Mario Fabiani


Mario Fabiani nasce ad Empoli nel 1912 da Ida Berlincioni e Raffaello Fabiani, proprietario di una piccola attività commerciale. All'età di diciassette anni Mario Fabiani venne assunto dalla ditta Rigoli di Empoli, nella quale svolse mansioni di rappresentante di generi alimentari, prevalentemente nella zona di Colle Val D'Elsa e Poggibonsi.

Entrato nel movimento giovanile comunista empolese nel 1929, su iniziativa del cugino Paolo Vezzi, Fabiani ne divenne in breve tempo il principale esponente. La Fgci contava allora a Empoli circa duecento iscritti, non pochi per le dimensioni della cittadina.

A Parigi e a Mosca Nel dicembre 1931 espatriò clandestinamente, per sottrarsi ad un ormai sempre più probabile arresto. Fabiani raggiunse a Parigi il centro estero del PCI. Successivamente, nel maggio del 1932, approdò a Mosca. Lì frequentò la scuola leninista. In seguito fu di nuovo a Parigi, da dove, a partire dall'estate del 1933, compì varie missioni clandestine in Italia, in particolare nelle zone attorno a Modena e a Bologna.

La permamenza in Unione Sovietica rappresenta una tappa fondamentale nel forgiarsi del pensiero politico dell'empolese: Fabiani infatti, tra tutti i dirigenti che erano stati in URSS, resterà quello con la posizione maggiormente disincantata.

Arresto a Bologna Nel 1934, rientrato in Italia, viene arrestato a Bologna e condannato a ventidue anni di carcere, di cui ne sconterà nove.

Scarcerazione Nell'agosto 1943

Fabiani riconquista la libertà e torna ad Empoli, prendendo immediatamente contatti con il Pci fiorentino ed assumendo ruoli cruciali nella battaglia per la liberazione della città. Sindaco di Firenze (1946-1951)

Dopo la Liberazione, Fabiani assume il ruolo di vicesindaco e assessore al personale nella giunta formata dal CTLN e guidata da Pieraccini, in attesa delle prime elezioni democratiche, avvenute il 10 Novembre 1946: dopo questa tornata elettorale, nella quale conquista 21.564 voti di preferenza, l'”ex impiegato dalle spalle strette e l'occhio pensoso” viene designato sindaco di Firenze.

In piazza Signoria, il neoeletto sindaco afferma: “[la Giunta] è fermamente decisa ad amministrare la città tenendo presenti le condizioni del popolo lavoratore e colpire quindi tutti coloro che hanno speculato sulla fatica di esso.” Questa sua particolare tensione è il segno evidente dell'esperienza antifascista, della consapevolezza cresciuta in Fabiani che senza la classe operaia, senza i lavoratori della Galileo, del Pignone, la città non avrebbe potuto festeggiare la propria Liberazione. Ma è anche il segno della realtà che il giovane sindaco si trova di fronte: quella di una città devastata dai bombardamenti, piena di sfollati e di disoccupati, da ricostruire sia fisicamente che moralmente.

Accanto ai problemi urgenti, dalla ricostruzione dell'acquedotto al riassestamento delle scuole, l'impegno della nuova Giunta va anche verso la riapertura del Maggio musicale fiorentino: azione che denota come, nel pensiero di Fabiani, non potesse esserci una ripartenza reale della comunità fiorentina lasciando in secondo piano gli attori culturali che ne erano stati, negli anni, protagonisti. Nel 1949, durante il dibattito sul Bilancio in Consiglio, il Sindaco torna sul tema della giustizia sociale, e della responsabilità di ogni amministratore per cercare di concretizzarla, con parole chiare e dirette: “Tutte le volte che ci accingiamo a far pagare veramente i ricchi, ci accorgiamo che, per i ricchi, c'è sempre il modo di sfuggire al pagamento; ed allora noi finiamo per accordarci con essi, siamo da essi ricattati. (…) Se almeno una volta riusciremo a farli pagare, sarà una soddisfazione morale per tutti i lavoratori ai quali chiediamo di pagare l'imposta di famiglia e che la pagano in proporzione molto più forte dei ricchi.”

Accanto alla sensibilità forte verso i diritti dei più deboli, il sindaco comunista si contraddistingue sempre di più per la sua elevata attenzione al rispetto delle regole democratiche: si denota in questo aspetto il trascorso della gioventù durante la dittatura fascista, e la volontà di difendere la libertà da qualsiasi elemento nocivo, sia esso di un colore politico piuttosto che di un altro. I due grandi nodi su cui si sviluppa il lavoro di Fabiani sindaco sono essenzialmente la questione urbanistica, dalla ricostruzione dei quartieri bombardati allo studio di un piano regolatore comunale, e il pareggio del bilancio.

Ma Mario Fabiani è innanzitutto ricordato come sindaco della ricostruzione:

quando la sua Giunta prende in mano questo lavoro, sicuramente risente del dibattito avvenuto nei mesi precedenti da parte dell'intellettualità fiorentina: dalle pagine di molte riviste, tra le quali si contraddistingue “Il Ponte”, architetti, storici e studiosi in generale si confrontano sul futuro della città, e soprattutto sul modo di ricostruirne le parti distrutte dalla guerra. È una discussione profonda e stimolante, cui partecipano tra gli altri Michelucci, Berenson, Bianchi Bandinelli.

Fabiani sarà l'uomo contro il culto della personalità, anche di quella comunista, prendendo posizioni sicuramente scomode per la cultura politica cui appartiene: è celebre il suo commento ai compagni riuniti in Federazione, nel 1953, alla notizia della scomparsa di Stalin, nel quale consiglia di non piangere la morte di un dittatore. Il giovane sindaco ha conosciuto infatti l'Unione Sovietica quando, come abbiamo ricordato, negli anni Trenta viene mandato a studiare alla scuola moscovita, per diventare un “rivoluzionario di professione” . Da quell'esperienza apprende cosa sia il socialismo reale sovietico: e forse è proprio per averlo conosciuto direttamente che questo personaggio resta sempre un comunista sui generis, sempre pronto per esprimere la propria posizione anche in contrasto con la linea ufficiale.

In un articolo su “Rinascita”, pochi giorni dopo la sua morte, Alberto Cecchi continua a ricordarlo con queste emblematiche parole: “Il binomio rinnovamento-continuità diventerà con lui combattimento arduo nell'uno e nell'atro senso. (…) Ci insegnerà che l'unità non è né ovvia e grigia dispiplina uniforme, né coacervo di comode indiscipline o di arroganti certezze individuali, ma combattuta conquista collegiale di teste sollecitate continuamente a pensare

Il piano INA-Casa e i 19 villaggi popolari – L’Isolotto

Mario Fabiani, sindaco di Firenze, era a Roma nel novembre del 1950; a lui furono assegnati per il biennio 1951-52, 2 miliardi e 400 milioni dal Comitato di attuazione dell'INA-Casa, come amministratore di una delle 19 aree, distribuite su tutto il territorio nazionale, in cui costruire i nuovi quartieri, in genere alla periferia di grandi città (Cesate a Milano, Falchera a Torino, Mestre a Venezia, Panigale a Bologna. ...Dopo la visita a Roma il sindaco incaricò gli ingegneri Burci (dell'IACP), Giuntoli del Comune, Poggi e gli architetti Pastorini, Pellegrini e Tiezzi di redigere il piano urbanistico dell'area...) (Daniela Poli, Storie di Quartiere, ed. Polistampa 2004, p.73).

Nel 1951, alle porte del voto amministrativo, si svolge in Consiglio il dibattito sul piano regolatore: la caratteristica principale del lavoro svolto, oltre quella di essere il primo piano regolatore della città dopo circa venti anni, è per l'appunto quella di avere per la prima volta nella storia di Firenze un'ottica intercomunale. Ancora una volta la città diviene protagonista di un dibattito nazionale, non solo perchè è fra le prime grandi città a produrre un suo atto di pianificazione, ma perchè lo fa in modo innovativo, scartando il modello di crescita a macchia d'olio e affermando il rifiuto di un comune che attinge energie solo al suo interno.. Il piano propone un modello, si apre all'esterno, secondo una forma di grande “tenaglia” che stringe l'Arno e la Piana allungandosi verso Prato.

Una convergenza operosa

 





(La Pira e Fanfani, sindaco entrante e sindaco uscente - 1951)





Nel 1949 la città sta uscendo dalla fase più difficile del dopoguerra e della ricostruzione, ed è in questo periodo, soprattutto dal 1950, che si accende in Consiglio comunale quella spiccata sensibilità internazionalista e pacifista che caratterizzerà in particolar modo l'amministrazione presieduta da La Pira. Questo legame tra i due primi sindaci è importante e messo in risalto bene nelle memorie di molti protagonisti dell'epoca, tra i quali Romano Bilenchi, che racconta: “Quando La Pira sembrava un po' stanco gli proponevamo uno dei piani che tenevamo sempre pronti. Non certo per sminuire la sua opera importante che soltanto lui avrebbe potuto portare avanti, posso affermare con tranquillità che alcune iniziative di La Pira, delle più acclamate, erano spesso partite da un suggerimento di Fabiani, come quella dell'incontro fra i sindaci di città dell'Est con i sindaci di città americane.”

...Ci accomunava, dirà effettivamente La Pira commemorando Fabiani, l'idea che, in tempi di guerra fredda e di virulento scontro ideologico Est-Ovest, fosse necessario mettere Firenze a servizio della coesistenza pacifica, della unità e della giustizia dei popoli. Per questo La Pira descriveva il suo ventennale rapporto con Fabiani come una convergenza operosa.

Presidente della Provincia di Firenze (1951-1962) e Senatore

Fabiani fu eletto tre volte senatore nelle liste del PCI: nel 1963, nel 1968 e nel 1972. Nel 1966, da consigliere comunale e senatore, nei giorni tragici dell'alluvione di Firenze, fu punto di riferimento insostituibile per migliaia di cittadini fiorentini. Da presidente della provincia di Firenze, Fabiani dette un impulso fondamentale alla nascita della Unione regionale delle province toscane (Urpt) e della rivista La regione, pubblicazione dedicata alla riflessione sul futuro delle autonomie locali nel sistema istituzionale italiano.

L’impegno nel Movimento regionalista

Fin dalla relazione di insediamento del 10 luglio 1951 affronta il problema del riassetto istituzionale del Paese. La questione dell’Ente Regione è una sorta di filo rosso nella battaglia di Fabiani in favore delle autonomie locali, è un tema su cui torna in ogni possibile occasione, quasi a sottolineare l’importanza sia su un piano politico generale, sia per i compiti specifici cui potrebbe assolvere in proprio o di cui favorirebbe l’assolvimento da parte dei Comuni e delle Provincie. In Toscana, a differenza che nel resto d’Italia, il fronte regionalista, anche grazie alla figura determinante di Mario Fabiani, resta ampio e vede il favore anche di alcune parti della Democrazia Cristiana, come il già ricordato contributo di Nicola Pistelli e della sua rivista. Fabiani legge l’ordinamento regionale prima di tutto come garanzia e tutela dello spazio democratico per le forze popolari, contro gli abusi monopolistici ed il potere centrale. Rende quindi la battaglia per l’Ente Regione una battaglia non solo istituzionale, ma politica, militante. Firenze rappresenta, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, il palcoscenico principale delle discussioni intorno al Titolo V della Costituzione, agli spazi di autonomia locale, ai temi principali cui l’autonomia dà voce. L’Istituto Nazionale di Urbanistica organizza in questa città il suo appuntamento sui temi del governo del territorio; sarà sempre all'ombra della cupola di Brunelleschi che si riunirà per la prima volta, il 12 settembre 1960, il consiglio nazionale del Movimento regionaliosta e tanti altri sono i momenti in cui la discussione passa da qui.

L'idea della Toscana in Mario Fabiani

Nel 1963 riprende la pubblicazione della rivista curata dall’URPT (Unione regionale provincie toscane), “La Regione” . Gli autori della rivista chiariscono subito quale sia la Toscana cui si rivolgono e a cui pensano: non la regione da cartolina, passata alla storia come locus amoenus immobile, cristallizzato nei tempi antichi, protetto da un’aurea quasi sacra che avvolge coloniche di campagna, filari di cipressi e discussioni accademiche da salotti aristocratici. Non la Toscana che “significa vita tranquilla per i beati possidentes”. La Toscana di chi amministra e conosce il territorio è un’altra cosa: è la regione della crisi della mezzadria, delle grandi masse che cercano nuovi sbocchi lavorativi, che si muovono dalle campagne verso i centri abitati. È la Toscana dei distretti industriali che stanno nascendo, con tutte le fratture sociali e culturali che si portano dietro. La Toscana della piccola impresa che riparte favorita dal boom economico che sta attraversando tutto il Paese. La Toscana dei porti, delle vie di comunicazione da incentivare, a partire dalle strade e ripristinando la rete ferroviaria. La Toscana che produce, cresce, si sviluppa. Per cogliere la nuova idea di Toscana, Mario Fabiani, Elio Gabbuggiani e il resto della redazione approfondiranno in ogni numero della rivista un aspetto diverso della regione: che sia l'urbanistica piuttosto che il sistema aeroportuale, o l'agricoltura. È interessante a questo proposito interpretare il rapporto tra la politica ed il lento abbandono del sistema mezzadrile a favore della piccola e media industria, che inizia a costellare, insediandosi, varie zone del territorio. Come sostiene Giacomo Becattini, la difesa della mezzadria è stata per lo più sostenuta in una chiave squisitamente sociale da autori, romantici e conservatori, ma dal punto di vista strettamente economico anche i suoi sostenitori ne hanno ben presto riconosciuto i limiti. Sono state le prime agitazioni popolari del dopoguerra, e soprattutto la crescente presa di coscienza dei propri diritti e della possibilità di modernizzazione individuale ancor prima che sociale, a far crollare questo sistema che per anni ha retto l'economia toscana. L'esodo di massa prodotto dall'abbandono dei campi ha posto gli amministratori, per lo più comunisti, di fronte a nuove esigenze cui dare risposte: è il periodo della crescita urbanistica, cui abbiamo già accennato, ma soprattutto è il periodo cui si rivolgono le parole dell'editoriale della rivista, nel 1963: “Nessuno più di noi è infatti lontano dal mondo degli stanchi adoratori della Toscanina della quale discettava or è un secolo un gruppo di colti ed amabili signori che nella regione possedeva grandi estensioni di terra, che era il depositario del sapere come del potere e che ha lasciato dietro di sé tanti sospiri languorosi ora magari repressi ma non spenti: una Toscanina che significava vita tranquilla per i beati possidentes, capacità di elaborare gruppi di validi anche se non sempre vigorosi ingegni intellettuali, povera agricoltura mezzadrile, contadini impigriti e non diremmo egemonizzati ma addirittura succubi del buon padrone, con elegantissime ma silenziose città ed aviti castelli o rinascimentali ville dove la grande proprietà andava a braccetto con la borghesia antica e recente e con l'intellettualità delle pandette e del verso a godersi vicendevolmente i frutti del loro raffinato mondo

Il progetto di Toscana che Mario Fabiani, e con lui un'intera generazione di governanti, vuole mettere in campo è dunque strettamente legato al futuro delle autonomie locali, alla possibilità di modellare un territorio partendo dalla volontà degli amministratori, dal rapporto con i cittadini. La battaglia per l'attuazione del Titolo V diventa quindi una prima prova verso i modelli di democrazia partecipata, di rappresentanza territoriale, di autonomia nelle scelte. È una battaglia per il futuro dei territori.

(Fonti: Cecilia Pezza, Daniela Poli, Wikipedia)

Tre belle foto (da "Cronache fiorentine del XX secolo" di Franco Quercioli, provenienti dall'Archivio di Red Giorgetti. (g.c.). )


domenica 3 aprile 2011

Indirizzata alla Conferenza episcopale italiana

L'occasione persa

Ha ragione la Littizzetto (stasera a "Che tempo che fa"): Eminenza, ma il discorso della Montagna, ma il vangelo: avevo fame, avevo sete, ero fuggiasco e abbandonato...


Immaginare un consesso che ha in gestione 25000 parrocchie e che disponesse con lettera pastorale pubblica a tutte le comunità parrocchiali: immediata verifica nelle strutture ecclesiastiche  e accoglienza di un numero di profughi-fuggiaschi-caniperduti senza collare in proporzione alle verifiche logistiche delle singole realtà: con una media di 2 accoglienze a parrocchia sarebbero 50.000 (cinquantamila) persone a cui è garantito il diritto alla vita, anche se non si tratta di embrioni. Che colpo, anche sul piano propagandistico. Uno shock positivo per tutto il pianeta. La percentuale dell'8x1000 alle stelle in questo periodo di dichiarazione dei redditi. Il cattolicesimo in trionfo, Lampedusa libera senza casinò, campo da golf e ville miliardarie; rimasta integra e pura ai suoi pescatori...Chi occasione persa, Monsignori del mio stivale. Urbano.


venerdì 1 aprile 2011

Mario Fabiani, sindaco di Firenze


Mario Fabiani e la nascita del villaggio INA-Casa dell'Isolotto.

(Assemblea domenicale del 3 aprile 2011, alle ore 10,30)



Sessanta anni fa, il 18 aprile 1951 il Consiglio comunale di Firenze approvò nella stessa seduta il piano regolatore di Firenze e il progetto INA-Casa del quartiere "Isolotto". Si avviò così una grande trasformazione. Seguirono anni di operosità e di impegno costruttivo, non solo sul piano urbanistico.

Sindaco di Firenze era Mario Fabiani, una figura di "uomo giusto" che vale la pena di conoscere un po' da vicino. Abbiamo chiesto a Cecilia Pezza, consigliere comunale di Firenze, autrice di una tesi di laurea su Mario Fabiani, di presentarcene la figura,  domenica 3 aprile, via degli aceri 1, ore 10,30. Seguirà, come di consueto, il dibattito tra i presenti all'assemblea.

La Comunità dell'Isolotto

 

 

Nota:



Neruda e Pratolini





Nel gennaio 1951 Neruda incontrò il sindaco Fabiani, in palazzo Vecchio:



E quando in Palazzo Vecchio, bello come un’agave di pietra, salii i gradini consunti, attraversai le antiche stanze, e uscì a ricevermi un operaio, capo della città, del vecchio fiume, delle case tagliate come in pietra di luna, io non me ne sorpresi: la maestà del popolo governava. E guardai dietro la sua bocca i fili abbaglianti della tappezzeria, la pittura che da queste strade contorte venne a mostrare il fior della bellezza a tutte le strade del mondo. La cascata infinita che il magro poeta di Firenze lasciò in perpetua caduta senza che possa morire, perchè di rosso fuoco e acqua verde son fatte le sue sillabe. Tutto dietro la sua testa operaia io indovinai. Però non era, dietro di lui, l’aureola del passato il suo splendore: era la semplicità del presente. Come un uomo, dal telaio all’aratro, dalla fabbrica oscura, salì i gradini col suo popolo e nel Vecchio Palazzo, senza seta e senza spada, il popolo, lo stesso che attraversò con me il freddo delle cordigliere andine era lì. D’un tratto, dietro la sua testa, vidi la neve, i grandi alberi che sull’altura si unirono e qui, di nuovo sulla terra, mi riceveva con un sorriso e mi dava la mano, la stessa che mi mostro il cammino laggiù lontano nelle ferruginose cordigliere ostili che io vinsi. E qui non era la pietra convertita in miracolo, convertita alla luce generatrice, né il benefico azzurro della pittura, né tutte le voci del fiume quelli che mi diedero la cittadinanza della vecchia città.



Pratolini scrisse: Il comunista Mario Fabiani, un impiegato poco più che trentenne, dalle spalle strette e dall'occhio pensoso, è Sindaco di Firenze.