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lunedì 22 ottobre 2012

In morte di Enzo (22 ottobre 2011-22 ottobre 2012)




Comunità dell’Isolotto
Domenica 21 ottobre 2012


LA  MEMORIA , IL CERCHIO DELLA COMUNITA’,
L’OLTRE
nomi – pensieri – riflessioni – immagini




Riflessioni del gruppo
 Tina, Paola, Adriana, Luciana, Carmen

a un anno dalla morte di Enzo


IL FUTURO HA UN CUORE ANTICO

Iniziamo rileggendo questo testo del vangelo di Luca.
Non sappiamo veramente chi era Luca e quale sia stato l’obbiettivo di questa sua narrazione: celebrare un mito? Rassicurare i dubbiosi?
Dimostrare il potere di vincere la morte?
A noi piace cogliere  la dimensione della tenerezza e dell’affetto delle donne  che  vanno a salutare una persona cara che è morta , il messaggio di una entità che le invita a riflettere sull’assenza di Gesù, la incredulità dei tanti che avevano grandi attese e progetti sulla sua persona e che non erano capaci di cogliere il valore di intuizioni e sentimenti ……la scoperta che le relazioni, l’amicizia, la condivisione di
un cammino (il camminare insieme) la particolarità di gesti generosi e di dono gratuito permisero a due discepoli di riconoscere ed annunciare “ la sua resurrezione” cioè l’oltre la morte.

Dal vangelo di Luca

Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino,alcune donne si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato.  Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro;  ma, entrate, non trovarono il corpo di Gesù.  Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti.  Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?  Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea,  dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno”. Ed esse si ricordarono delle sue parole.
Tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri.  Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli. Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse.
Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto.
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus,  e conversavano di tutto quello che era accaduto.  Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro.  Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.  Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino? ”. Si fermarono, col volto triste;  uno di loro, di nome Clèofa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni? ”.  Domandò: “Che cosa? ”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo;  come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso.  Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.  Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro  e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.  Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come aveva detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. …………….
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano.  Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro.  Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.  Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista.  Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture? ”.  E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro,  i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”.  Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

"LA SOPPRESSIONE DELLA MORTE"
NEL CANONE BUDDISTA”

Cercando ancora ed ancora l'esistenza,* gli esseri
tornano e ritornano nella matrice;

Gli esseri vanno e vengono, *ad una tappa dell'esistenza
ne succede un'altra.

Il saggio con la vigilanza, la virtù e la purezza
costruisce un'isola,* nessuna marea può sommergerla.

Alzati, comincia una nuova vita, segui la Dottrina,*
calpesta gli eserciti del Signore della Morte,
come un elefante che danza su una capanna di fango.


La vera saggezza pone fine alla nascita e alla morte,*
e raggiunge la liberazione dal mondo.

Come le acque del Gange vanno veloci a perdersi nel mare,*
così il pellegrino del giusto sentiero
arriverà alla soppressione della morte.

Chi ha la mente incerta non comprende la santa Legge,*
chi è incostante nella fede non raggiunge la sapienza.

Il saggio che possiede la perfetta memoria,
la diligenza, il discernimento e la comprensione,*
libera la sua mente da ogni errore.

                                                
Lascia che il tuo pensiero carico di benevolenza percorra l'universo,*
diffondendo ovunque pensieri d'amore;

                                                 *UNDANAVARGA. Testo del Canone buddhista, facente parte del
                                                                          Sutta Piyaka. Scritto in prosa ed in versi, dal libro "La Preghiera Universale
                                                                          di p. Giovanni Vannucci.



CHIAMATI/E PER NOME
Il ricordo e l’intreccio dei vissuti

Nella città, nel quartiere, nella piazza e qui in queste baracche abbiamo unito mani e piedi ed   abbiamo camminato insieme a tanti/e, donne e uomini di buona volontà.
Ogni persona ha arricchito ciascuna/o di noi con la sua identità,i suoi pregi ed i suoi limiti e ciò ha creato affettività,  relazioni, comunità.
Ci piace oggi ricordare le/gli assenti a partire proprio dalle relazioni e dagli affetti: abbiamo pensato che un modo per farlo è chiamarle/i per nome
Chiamare per nome  per dare significato alle identità e specificità personali, per mantenere una comunicazione di affetti e sentimenti che ci hanno accompagnato e che vogliamo rendere vivi e presenti questa mattina

Oda (Mazzocchi)– Meo( Bellosi) Anita Renato( Macinai)

Giselda( Ughi) Nunzia (Belli) Enzo ( Mazzi)Mariapia( Chegia)

Vittorio ( Tabacchini) Benedetta( Liberio)Michele ( Della corte)

 AssuntinaOrlando( Rocchi) Marta ( Leoni)– Gianpaolo ( Taurini)
Giuseppina ( Fallai)Angiolina ( Pistolesi)Raffaello

Sergio ( Prati)Sergio ( Rusich)Mario (Vezzani)

Pasquale (Pasca) Amelia ( Vichi)Clara ( Pistolesi)Maria ( Ricciardi)

Nella ( Ristori)Umberto ( Ristori)RinaTosca (Magni)
Lucia ( Giannoni)  - Piero Luigi ( Cipani) – Elettra – Franco (Vannini)

Angelo ( Mennitto)   Oliviero  ( Cardinali)


Questi sono alcuni dei nomi che ricordiamo, ciascuno può aggiungere ed arricchire la lista dei ricordi



LE IMMAGINI

Vogliamo ricordare le persone con le loro caratteristiche ed identità, ma non vogliamo fare una memoria come celebrazione e culto della personalità: dunque la memoria di Enzo e di ciascuno  ha secondo noi  un significato se collocata in questo contesto di relazioni, affetti, ricerca e impegno comune
Abbiamo scelto delle immagini che ci accompagnino in questo ricordo e che ci permettano  di riconoscere la singola persona come presenza viva nel cerchio della comunità
Le faremo scorrere lentamente mentre leggiamo le parole e i messaggi che ci hanno lasciato.
Link immagini pubblicate su Flikr.

LE PAROLE, I MESSAGGI : COLTIVARE IL SOGNO, L’UTOPIA
I testi che leggeremo sono una raccolta da notiziari ed altri materiali del nostro archivio

ENZO
La memoria sociale tiene unita la nostra identità collettiva.
La memoria del vivere sociale ha una grande vitalità generativa: produce identità collettiva, tesse la trama del tessuto relazionale della città, crea di continuo comunità solidali e ostacola i germi distruttivi della frantumazione egoistica. E' la vitalità propria del seme: può restare a lungo apparentemente inattiva, a causa di contingenze storiche che ne impediscono lo sviluppo o la visibilità, ma è sempre pronta a esplodere in nuove fioriture, e inoltre, come avviene nei pollini, è racchiusa in forme piccole e leggerissime che possono essere trasportate lontano dal vento…..
E’ una convinzione che ci deriva dall’esperienza di vita. Non dalle mappe dei navigatori culturali offerte dalla storiografia tuttora dominante, le quali sono per lo più devianti perché indirizzano solo sulle autostrade dei grandi eventi, delle individulità emergenti, dei fasti e nefasti del potere, mentre sono cieche sugli intrecci sotterranei dove si muovono le grandi masse dei senza potere. Non vedono quegli intrecci di relazioni che tessono di continuo la trama sociale del vivere: fatti distanti fra loro anche secoli  creano sintonie incredibilmente profonde fra persone, messaggi, esperienze, che magari non si sono mai fisicamente incontrate. Il vivere sociale nella strada, nella piazza, nel lavoro, nella famiglia, negli stessi luoghi della segregazione, è la mappa che ci consente di vedere la struttura profonda dell’interrelazione che cavalca i secoli e produce e riproduce ininterrottamente valori di comunità aperta oltre i confini…
La frontiera della memoria sembra essere rimasta l'unica capace di contrastare la marcia del sistema di dominio neo-liberista.Per questo salvaguardare la memoria, spogliarla dalla ritualità necrofila, attualizzarla, è uno dei compiti più urgenti di chi vede un futuro per l'umanesimo sociale, per la solidarietà planetaria, per la società dei diritti di tutti/e a partire dai diritti sociali, per l’etica comunitaria aperta oltre i confini……………………..
Una memoria unitaria genera e arricchisce continuamente la nostra identità sociale.
Non voglio dire che gli ideali di "comunità umana oltre i confini" nascano solo dalla memoria. Forse sono radicati nel cuore stesso della persona umana, nel Dna costitutivo della specie. "Noi rivolgiamo un appello come esseri umani ad esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate tutto il resto": così chiude il Messaggio di Einstein all'umanità, del gennaio 1955. Il grande scienziato credeva nella radice di amore universale posta nel cuore stesso dell'umanità. E ci credeva Ernesto Balducci, che lo cita nel suo libro L'uomo planetario (ECP, 1990), con il seguente commento: "Si tratta del capovolgimento puro e semplice dell'umanesimo di cui siamo figli ...sulla soglia dell'età planetaria il soggetto umano è chiamato a dilatare se stesso soprattutto attraverso i sentieri della memoria...ponendosi a servizio della vita, l'uomo si fa più vero...e trova il senso primo di sé nel trascendere se stesso per mettersi a servizio dell'umanità come specie e della specie come umanità...Il nuovo umanesimo nasce proprio dalla necessità di questa transizione". Questo nuovo umanesimo, che definirei come "sociale" (mettendo nel conto che ogni appellativo è equivoco), non s'identifica con nessuna ideologia e non è esaurito da alcun programma politico né etica religiosa. ………………….Significa piuttosto un insieme immane di frammenti di memoria che si riconoscono tutti in un grande orientamento di umanizzazione sociale. Le mille e mille memorie particolari non sono separate e disgregate ma formano una identità: l'identità appunto dell'umanesimo sociale. Ogni più piccolo frammento di memoria, in questa visione unitaria, ha un suo valore, sia che appartenga a un personaggio famoso o a un movimento di grande portata, quale ad esempio il movimento operaio, sia alla persona meno nota. E ogni frammento deve essere accuratamente preservato senza gerarchie d'importanza…………………..Ogni frammento deve riconoscersi come tale perché nessuno "possiede" la memoria complessiva. E riconoscendosi come frammento può intrecciarsi con gli altri e al contempo sentirsi valorizzato.

EMMA
Ho imparato nella comunità a leggere la Bibbia.
La lettura apre gli occhi ai ciechi. Oggi, quando io parlo, faccio continui riferimenti ai passi della Bibbia. È l'effetto della lettura che si è fatta e si fa in comune qui all' Isolotto.
Una volta io potevo anche andare in chiesa. Il parroco ci invitava alla lettura e al commento della Bibbia. Leggeva e commentava lui. Io pensavo: ma noi dobbiamo andare in chiesa solo per ascoltare? Ma i preti e i vescovi la gente non l'ascoltano mai?
Io voglio citare un esempio: so che il vescovo di Firenze si è incontrato con quattro giovani venuti dall'America centrale. Volevano parlare con lui della situazione dei loro paesi.
In quattro e quattr'otto li congedò senza farli neppure parlare.
Disse loro: "So tutto, sono informato".
Io avrei voluto dirgli che la realtà di quei paesi lui  l'avrà sentita dalle relazioni del clero e dei vescovi.
Ma corrisponderà veramente a quella popolare?

NUNZIA
Io non so leggere e scrivere. Parlo come so parlare. Mi vengono in mente tante cose. Anche sui vescovi che invece di insegnare la verità della vita vogliono tenere il popolo nell'ignoranza.
A me non tornano i paroloni. Io cerco le parole semplici: sincerità, amore reciproco, rispetto della natura, umanità, essere vicino a chi soffre e ha grandi problemi a tirar su la famiglia.
Io ho Cristo in me e ci parlo, me lo vedo , non sul seggiolone, ma in un prato, in un luogo qualsiasi alla pari di noi……….
Col vescovo Piovanelli, quando venne alle baracche, ho ragionato volentieri di cose passate che servono per il presente e anche per il futuro. Gli ho parlato di mio padre. Ho riflettuto sulla mia vita.
 Era genitore di nove figlioli. L'hanno tenuto nell'ignoranza.
 Si credeva, frequentando la chiesa, di conoscere di più. Abbiamo patito la fame, la miseria e mio padre quei due soldi che aveva li dava al prete per le messe.
Egli sentiva la voce del prete cadere dall'alto.
Ma la provvidenza non è nei miracoli: è nel lavoro.
Il prete non ci insegnava nulla, non ci aiutava ad aprire gli occhi.
 Il prete ci ha tenuti nel buio e la nostra vita è stata buio.
 Anche mio padre avrebbe avuto bisogno di una comunità...Io ho capito di più in questi ultimi vent'anni che in tutta la mia vita passata.

 RENATO
È, a nostro avviso, fuori dubbio la buona riuscita del Seminario delle Cdb a Livorno dell' 11/13 novembre di quest'anno………
 C’è stata la possibilità di interventi improntati alla semplicità, alla varietà e senza il consueto affanno. La discussione è risultata così più ricca e partecipata. La ricerca di contenuti adatti ad affrontare i problemi di una società come quella attuale, scadente in fatto di prospettive, soprattutto schiacciata e soffocata da intransigenti sistemi di potere, nazionali e mondiali, ha trovato largo interesse nei partecipanti ed ha appassionato la discussione, così pure nella ricerca del modo di come comportarci con tutta quella parte del mondo cristiano, specie quello non inglobato nelle certezze istituzionali.
Non è scaturito un progetto di Chiesa e di società tutto nostro, ma piuttosto la necessità proprio di non avere tale progetto. Non sono scaturite direttive precise su ciò che si deve fare; non c'è stata enunciazione di schemi rigidi e programmati.
Tutto ciò, a nostro avviso, è stato altamente positivo. Altrettanto positivo l'esigenza di avere e di dare solo degli orientamenti, la necessità di scoprire e di cogliere alcuni segni per la ricerca di un bene comune e il bisogno di un'attenta vigilanza nel ricercare la strada da percorrere.

ANITA
Volevo dire una cosa. Noi si è parlato troppo poco del nostro passato. Perché i fascisti sono venuti con le catene a mandarci via dalla chiesa nel 1968? È vero! Buttati fuori dalla chiesa con le catene dai fascisti e poi portati in tribunale dal vescovo.
Erano proprio qualche decina di fascisti, una squadraccia ben riconoscibile e organizzata, volti noti, con catene e spranghe, che proteggevano il prete mandato dal vescovo a dire la messa al posto dei nostri preti. Una firma, una presenza per non consegnare la chiesa ai fascisti che si stavano riorganizzando, in quel tempo poco prima delle bombe di Piazza fontana, e ci hanno portato in tribunale. Quasi mille persone in tribunale: gente umile, la più umile. Come facciamo ad avere fiducia nella Chiesa? Per me la Chiesa è finita. Si parla di riconciliazione? Con una Chiesa che usa i fascisti per provocare il popolo cristiano e mandarlo in tribunale?
Cose passate? No affatto! Prima ci scomunicano perché siamo comunisti; poi finalmente si trova ora la parrocchia che ci accoglie senza guardare in faccia alla tessera del partito e allora ci buttano fuori insieme al parroco e ci mandano in tribunale!
Da 15 anni nessuno è venuto qui, in questa piazza, a dirci parole di riconciliazione. Nessuno ci ha cercato. E allora?

VITTORIO
A me fa piacere questo incontro anche perché sono uno dei cosiddetti "vecchi". Frequento anche altre esperienze poiché sono un individuo sempre irrequieto alla ricerca della verità.
Nella mia esperienza ho assistito a tante contraddizioni. Ho dovuto fare la guerra voluta dal fascismo. Ho visto tante tragedie avallate da una Chiesa istituzionale che oggi rappresentano la vergogna dell'umanità.
Mi sono sentito in dovere di riscattare questo nome: "cattolico", perché cattolicesimo vuol dire universalità, uguaglianza, amore.
Questi sono gli stessi contenuti che Cristo ci ha insegnato………. Il Popolo di Dio non è una fregatura, è una realtà; non è quello che dice Signore Signore, ma quello che fa la volontà, quello che dà dei risultati positivi e dà la testimonianza pratica della fede. In questi valori mi riconosco attraverso la mia esperienza a tutti i livelli, anche nell'impegno politico, come operaio, comunista (nel senso del dividere con gli altri). L'autorità, che ha tutto il potere nella Chiesa, ha creato la politica del dualismo, della non compatibilità fra queste componenti della persona: l'esperienza di cristiano e l'esperienza di comunista.
Invece, la vera incompatibilità credo sia fra il riempirsi la bocca di belle parole di amore e il praticare l'amore nella realtà.
Credo che la Chiesa che noi vogliamo debba andare verso questo tipo di ricerca: andare incontro a Cristo con i fatti, non con le parole.

MICHELE  DALLA CORTE
Sono un docente universitario, ho passato la mia vita attiva nella ricerca. Mi occupo di fisica nucleare. Sono cattolico, di quel cattolicesimo imposto. All'età della ragione, però, la scienza e quel tipo di religione non andavano d'accordo, quindi per me il fatto di fede divenne un fatto chiuso. Restava nel mio intimo il mistero della figura di Cristo. Questo mi ha sempre affascinato, ma ho passato degli anni rimuginando in me queste cose senza nessun tipo di comunicazione con il prossimo. Finalmente un giorno uno dei miei figli mi disse: "Babbo, perché non vai all'Isolotto?. Eravamo nel 68 e da allora io ho seguito la Comunità.
Ho capito che l'amore cristiano può essere praticato tutti i giorni, che non è una norma astratta, è una cosa concreta. Ho sentito il caldo della collettività. In genere parlo poco, mi sento un ultimo; ho soprattutto da imparare dal popolo.
Ho vissuto in un ambiente che era lontano dalla vita pratica: si legge il giornale, si commentano i fatti, però il pensiero della gente non si conosce: non c'è comunicazione con la gente. Qui l'ho imparato, ho fatto veramente una esperienza di fede, ho ritrovato una mia fede, che è fede in Cristo visto negli occhi del prossimo. Per me questo è importante.

RINA
E' molto poco che faccio parte della Comunità. In questa grande famiglia, io l'ho definita proprio così, ho trovato una grande pace. Sono stata a Torino al Convegno delle Comunità di base. Là sì chi era meraviglioso. Tutto ciò che ho visto e sentito mi ha attratto fortemente, e vorrei avvicinare tutte le comunità di base che ancora non conosco.

MARIA PIA
Da quando abbiamo saputo l'argomento del prossimo Convegno delle CDB, …….abbiamo cominciato a cercare di capire le diverse applicazioni alle quali si presta, nel linguaggio di oggi, la parola "laicità".
Non è facile, dopo una vita durante la quale hai dato alla parola laicità un certo significato, tutto a un tratto abituarti a pensare "laicità" in termini diversi, più ampi e complessi.
Io, per esempio, ho sempre creduto di essere una persona abbastanza libera, democratica, critica e contraria ai dogmatismi.
Sapevo di essere laica perché non mi uniformavo alla Chiesa cattolica.
 Oggi, invece, scopro che sono laica perché ho un atteggiamento critico e distaccato non solo verso il cattolicesimo ma verso molti altri aspetti della vita come il consumismo,la moda,i mass-media,i partiti, ecc.

ODA                                                                                
DONNA...!!!

Da poco tempo è sfornata la legge sull'aborto:
per l'obbiettore è ancora scottante,
l'episcopato è indignato e contorto,
per la donna è legge liberante.

L'uomo ti cerca, ti vuole, ti brama,
con desiderio, tu gioia infinita.
Non è di ferro ma taglia la sua lama:
suo possesso lui ti ha concepita.

Sei madre, moglie, sorella e figlia.
Attorno a te s'è ordito un gran filato:
come a baco da seta si assomiglia...
Non sia più adesso come nel passato!

Eri chiamata l'angelo della casa:
senza le ali e nella gabbia d'oro:
lavorar, servire i troppi figli, invasa,
senza rispetto, senza alcun decoro.

Rompi quel filo, esci di dentro,
sii gentile, guardinga e preparata,
spezza quel cerchio, entra in parlamento!
Il sesso non è pane e marmellata:
non essere passiva, non fare la nidiata.
Per liberarti esponi il tuo bel corpo:
non è peccato se sciogli quella vita
come nave che si allontana dal suo porto.
Abortir non è cosa gradita:
ma meglio un figlio in meno che un genitore morto!

                    (composta nel gennaio 1979
                    per i gruppo femminista
                    della Comunità)


BENEDETTA
Ero andata a Verona con una precisa riserva: mi sarei confrontata come femminista, membro di un collettivo che fa riferimento alla Comunità dell'Isolotto, con le altre donne che da tutta Italia avrebbero portato le loro esperienze; ma senza farmi coinvolgere, io non credente, dalle tematiche che ritenevo specifiche ad un convegno di comunità cristiane.
Il coinvolgimento, invece, c'è stato: quello vissuto come un grosso momento di crescita intellettuale, emotiva, esistenziale.
Ho trovato a Verona la continuità, ideale e concreta, con il patrimonio di protagonismo e di lotte degli ultimi dodici anni ed insieme il coraggio di ripensarvi criticamente, rinunziando alle "certezze" dell'ideologia per privilegiare la ricerca e l'analisi nel vivo della società attuale; una pratica quotidiana di intervento fra le masse più sfruttate e subalterne, affrontando con loro la repressione del potere politico e religioso; lo sforzo di darsi strumenti per capire e non giudicare o esorcizzare la realtà di cui siamo partecipi, con le sue contraddizioni e i suoi fermenti. Esemplare ho trovato a questo proposito la relazione di Giulio Girardi sull'autoanalisi di classe, frutto di quattordici mesi di ricerca con i lavoratori della FIAT, relazione che mi ha fornito indicazioni preziose per la mia attività complessiva di delegata, di operatrice sindacale e di madre di un operaio giovane.
 Ho verificato- arricchendo la mia visione del mondo e la mia comprensione degli altri - che anche lo sforzo di demistificare il linguaggio evangelico traendone l'autentico significato "rivoluzionario" è lavorare per la liberazione degli oppressi, se si accompagna alla lotta sul terreno dei loro bisogni.
Lavorare con le donne, infine, è stato bellissimo. Nelle differenze delle nostre storie personali, di collettivi, di gruppi, di situazioni territoriali, ci siamo scoperte un tessuto comune di rabbia e di determinazione a decidere della nostra vita, a riprenderci la nostra identità globale, i nostri spazi di libertà e di felicità che il potere ci ha sempre negato.
Un'ultima osservazione sulla preghiera collettiva che ha concluso il convegno. Credevo che mi sarei trovata a disagio, in una dimensione "non mia", invece l'ho vissuta con profonda emozione e partecipazione. Se quel canto dell'Alleluja esprimeva una gioia di essere insieme in tanti a testimoniare l'impegno e la volontà di adoperarci a costruire una nuova qualità della vita, se questo è preghiera, sono ben felice di avere pregato.

GISELDA
Può essere utile accostare il ricordo dell'alluvione con la memoria mitica che i popoli hanno a proposito di grandi inondazioni...
Il mito più conosciuto, su questo argomento, è indubbiamente quello del diluvio universale descritto dalla Bibbia, ma fra altri antichi popoli si narrano storie di immense inondazioni... che convergono tutte su una stessa morale: da una catastrofe può nascere un uomo nuovo con una nuova coscienza, che riflettendo su i propri errori, dà vita ad una nuova società...
Molto poetica e significativa, nella sua semplicità, è la leggenda della "Grande inondazione" che si racconta fra i popoli indiani d'America e della quale vi leggo il brano conclusivo:
... L' inondazione si propagò ovunque e solo le cime più alti emergevano ormai alla superficie. Gli animali cominciarono a discutere sul da farsi. Speravano che piano piano l'acqua si sarebbe ritirata, ma le loro speranze furono deluse.
- Mi tufferò e cercherò la terra - disse un giorno la lontra. Altrimenti moriremo tutti qui.
Respirò profondamente e disparve nell'acqua. E tornò a gialla se non dopo tanto tempo. Quando infine riemerse, sputando e farfugliando disse:
- Mi dispiace, ma non sono riuscita a toccare il fondo.
Il luccio si offrì come volontario e parti; rimase a lungo sotto l'acqua ma non ebbe maggior successo della lontra.
Poi fu il turno dell'anitra. Essa si tuffò e andò giù come una pietra. Il viaggio sembrava interminabile, e stava per tornare indietro scoraggiata quando improvvisamente toccò il fondo. Raccolse allora quanta terra poteva e tornò rapidamente in superficie. A dire il vero non poté portare molta terra con le sue zampe palmate, ma almeno ora conosceva la strada e poteva fare da guida agli altri.
Così, ben presto, lavorando duramente, gli animali recuperarono zolla per zolla l'intero paese degli indiani sommerso dall'acqua e tornarono finalmente alle loro case.
Avevano vinto la grande inondazione...
Questo racconto mette in evidenza come si possa affrontare le più drammatiche situazioni quando, superando le differenze culturali e ideologiche che ci dividono, ci uniamo in uno sforzo comune, mettendo insieme le nostre esperienze e capacità, sviluppando idee e concetti nuovi per un nuovo domani, per il bene di tutti

SERGIO  PRATI
Approdai a questa piazza in un periodo in cui la comunità si interrogava se doveva continuare le sue riunioni o riconoscersi esaurita con il superamento definitivo, da parte di alcuni suoi membri, dal religioso per il politico e il sociale: l'unico campo in cui, per loro, si può fare qualcosa di veramente positivo per i poveri e con i poveri.
 Fra religioso e politico parve proporsi una alternativa che si risolveva tutta in favore di quest'ultima.
Ma il maggior numero fu per la continuazione di questa esperienza e per il mantenimento di questo intreccio fra ispirazione evangelica e impegno nell'umano. Avevo perduto la fede cattolica tradizionale già prima di vent'anni. Ma il puro e semplice agnosticismo spesso non è che un vuoto amaro e disperante.......
Nella comunità non ho ritrovato la fede ma un senso più motivato e meno individualistico del mio non credere che prima mi mancava e che forse andavo cercando: una religione povera di trascendenza, un cristianesimo laico. Oggi io potrei intitolare una mia personale confessione: La mia fede di non credente. Se fede non è appartarsi nella propria razionalità ma scoprire una ragione per essere con gli altri e condividere una sorte comune, la mia è fede………...Il problema è di cercarla nel luogo giusto, sapendo scegliere i compagni di strada……

NELLA
Io ho partecipato al Convegno dall'esterno. Intendo dire: poco, perché ero malata. Mi sarebbe piaciuto ………essere presente nelle commissioni soprattutto per ascoltare, sentire a che punto siamo arrivati noi dell' Isolotto al confronto con gli altri e gli altri a confronto con noi. Non è che all' Isolotto siamo stati più bravi. L' ascoltare le relazioni finali mi ha ricordato che esistono, nel movimento delle comunità, esperienze altrettanto valide della nostra.
Riguardo al discorso della laicità io debbo dire chi mi sono sempre sentita libera. Cioè mi è sempre  piaciuto parlare e agire in libertà, farmi le mie ragioni.
Mi sono trovata bene all' Isolotto, prima in chiesa e poi in comunità.
Perché la Chiesa deve essere democratica e i laici devono contare ed essere interpellati.

AMEDEO BELLOSI
Amici, quello che ci hanno detto gli operai dell'Amiata ora ci deve fare veramente vergognare, vergognare a noi italiani ma soprattutto cristiani dell'Isolotto. E' qualcosa che non so neppure come classificarlo. Fa male, fa male al cuore. Alla gente onesta fa male. Sapere che degli operai che lavorano nelle condizioni in cui lavorano gli operai dell'Amiata ad un certo punto son buttati fuori, non hanno nessuna possibilità, nessuna prospettiva per l'avvenire delle loro famiglie. E a noi ci hanno chiuso questa chiesa perché volevamo discutere questi problemi. Io dico questo, anziché andare alla messa come stamattina don Alba ha fatto, noi siamo ben felici di rimanere in questa Piazza e non andare alla messa quando non si vuole discutere i problemi degli operai dell'Amiata e di tutti gli operai d'Italia. Noi siamo ben felici di rimanere qui. Vadano pure gli altri alla messa. La nostra coscienza è più a posto della loro coscienza.

GIAMPAOLO T
........................l’incontro di stasera è derivato dalla constatazione di una certa stanchezza che è stata rilevata nella vita della Comunità dalla chiusura del processo del giugno scorso fino a ora...... molti hanno rilevato che vi era una mancanza di partecipazione e soprattutto vi era una assenza abbastanza massiccia di tutte le persone che negli anni passati avevano più attivamente, con maggiore costanza, seguito tutta la vita della Comunità....dunque, qual è il discorso, secondo me? Il discorso è questo: che nella vita della parrocchia, cioè prima del ’68 tanto per intendersi, la riflessione, il modo di andare avanti, il modo di lavorare all’interno della parrocchia era quello di trovare….. il passaggio dal Vangelo alla vita, dalla vita al Vangelo, però la vita era il centro  motore di tutta la nostra problematica. E quindi lo stimolo che veniva dato era quello di riuscire a trovare all’esterno della vita della parrocchia, della vita della stessa Chiesa, tutta una serie di strumenti per riuscire a mettere in pratica un ideale al quale noi evidentemente credevamo, noi questo ideale lo abbiamo messo in pratica in maniera molto precisa. Tanto è vero che negli ultimi tre anni nel quartiere sono nati tutta una serie di organismi ……il terreno della scuola, il terreno dell’intervento sul territorio a vari livelli e via discorrendo. Questo è un fatto essenzialmente positivo, un fatto per il quale noi ci siamo battuti, sul quale noi abbiamo riflettuto prima del ’68….. Ora però l’interrogativo che dobbiamo porci è questo: la Comunità, a questo punto, venendogli a mancare, come obbiettivamente sono venuti a mancare, tutta una  serie di terreni, tutta questa serie di possibilità di intervento, ha ancora possibilità, ha ancora un ruolo all’interno del quartiere, all’interno della Chiesa, all’interno del mondo cattolico?..... A mio avviso questo ruolo ce l’ha ancora………. il nostro ruolo di persone cioè che credono in certi ideali precisi, ideali che derivano dalla nostra lettura e dalla nostra meditazione del Vangelo…. E quindi noi dobbiamo riuscire a trovare una collocazione precisa e una serie di azioni precise per ricominciare quella battaglia contro la Chiesa istituzione che noi avevamo iniziato prima del ’68, che col ‘68-’69 abbiamo continuato a condurre ma che, in questi ultimi anni, in questi ultimi mesi, ripeto, si è venuta estremamente affievolendo, e così rinchiudendoci in una realtà nostra che poi rischia, se va avanti in questo modo, di morire per vecchiaia......

SERGIO S.
………io penso che non bisogna stancarsi mai di andare avanti. Le grandi trasformazioni storiche vengono dal basso, da gente come noi che sembra non valere nulla. Questo è il discorso di fondo delle due grandi ideologie che sono il vero cristianesimo e il vero socialismo. L'utopia non è un sogno irrealizzabile che ci allontana dalla realtà. Anzi, forse è la molla che ci spinge a cambiare, a migliorare la realtà. L'utopia ci spinge sulla strada della ricerca dei cambiamenti realizzabili. L'utopia ci spinge a fare politica in senso ampio. Se ho dentro un grande ideale, riesco anche a cercare la strada per arrivarci, ho anche la pazienza della tappa intermedia.
Per me il Vangelo è questo: una grande utopia, un ideale sempre più grande di tutte le conquiste immaginabili, una molla che mi spinge a cercare con gli altri la strada del cambiamento. In questo modo io leggo lo spirito del Vangelo con la politica. Ma se il cristianesimo, se la religione cristiana diventa un dogma, se diventa una dottrina, una strada bell'e fatta, un insieme di principi assoluti da applicare, allora mi allontana dalla realtà della vita, mi separa dagli altri compagni che cercano, mi impedisce la fatica e il rischio degli altri mortali. Del resto la stessa cosa accade quando si interpreterà dogmaticamente il marxismo




IL NOSTRO BISOGNO DI COMUNICARE CON IL CORPO ED
OLTRE IL CORPO
Spunti di riflessione

Comunicare, mantenere relazione è molto più che ricordare e fare memoria.
Per superare il vuoto delle assenze, nella storia l’umanità ha coltivato in vario modo il “culto dei morti”, perché c’era il bisogno di ricordare, di mantenere un contatto……
Questo mette in evidenza come da sempre si sia manifestato  il  bisogno di comunicare
oltre l’assenza ,ma il limite della comunicazione possiamo vederla anche come  limite della corporeità? La nostra mente ed il nostro corpo ad un certo punto“ dimenticano” il volto, i sentimenti, le caratteristiche, le risorse della persona assente ( i compagni di scuola, gli amici lontani,…) perché non riesce a contenerli per sempre…..siamo limitati .Allora nasce per noi il desiderio ed il bisogno di scoprire nuove forme di comunicazione, fra i vivi ed anche oltre .
L’assenza del contatto fisico, anche se non è morte, quando si interrompe ogni forma di comunicazione è comunque assenza.
Inoltre sperimentiamo che abbiamo bisogno di scoprire  il come valorizzare e arricchire la comunicazione  con chi non è più vicino a noi ma anche con chi ci è vicino.
Il corpo è  certamente una risorsa nella comunicazione fra persone ma è anche un ostacolo che limita e a volte rende difficile tale comunicazione profonda.
Abbiamo tutti/e esperienza che Il rapporto con la fisicità spesso evidenzia le pesantezze e i limiti dei nostri corpi e non si riesce ad andare oltre per valorizzare le risorse le relazioni  personali.
Nelle relazioni con i figli spesso il contatto fisico, che è una necessità di cura, protezione,affetto…….non favorisce la comunicazione profonda: le separazioni fisiche dai figli, dai compagni,è comunque assenza e sofferenza ma è anche risorsa necessaria perché ciò ne  permette la crescita ed anche perché ciò spesso ci aiuta nella riscoperta di una nuova comunicazione con loro.
Il cerchio della comunità è una risorsa ed un valore forse perché valorizza positivamente le differenze e la comunicazione oltre le pesantezze di una convivenza che è, nel nostro caso, occasionale, parziale e sporadica.
Una convivenza basata sulla scelta ideale e su occasioni di incontro che sono comunicazione creativa e rassicurante.
Forse amare significa proprio andare oltre la pesantezza dei limiti personali per comunicare in profondità, per valorizzare e rendere creative le relazioni…..per regalarsi reciprocamente vita, gioia ….

Le parole, gli scritti, le immagini…ma anche la scienza, la tecnologia, i nuovi mezzi di “comunicazione” arricchiscono la nostra memoria e capacità di comprendere e  comunicare……( telefono, TV…)….ma per tutte/i  coloro che non lasciano tracce…esiste una possibilità di relazione e comunicazione “oltre” il corpo e le sue capacità di consapevolezza?
Le scoperte della scienza: biologica ed antropologica ci dicono:
(Dal libro di Boncinelli “La scienza non ha bisogno di Dio” leggiamo:)

“Il genoma non è onnisciente, si badi bene; interpreta, a modo suo, solo una piccola frazione dei segnali che gli giungono dalle varie fonti, una frazione da lui stabilita e  quasi codificata, ma anche così la sua capacità è impressionante. La sua saggezza e quasi “lungimiranza” derivano dal  suo passato evolutivo: ha accumulato tutto da quando è comparso, milioni e milioni di anni fa. Se il genoma dell'organismo in questione non avesse «imparato» le cose che c’erano da imparare, l'organismo stesso non esisterebbe più e con ogni probabilità neanche molti dei suoi antenati…
Il DNA «ricorda» cose che sono successe tanto tempo fa, ma il complesso suo e delle proteine nucleari che lo accompagnano e lo avvolgono nella struttura cromosomica
in cui si trova, «ricorda» anche quello che è avvenuto pochi minuti o qualche ora prima nella cellula stessa. Il complesso DNA-proteine cromosomiche registra insomma tutti gli eventi cellulari che sono accaduti dall'inizio dello sviluppo.
… Se osservo in questo momento una qualsiasi cellula del mio corpo, vedo che contiene in sé il genoma che varia con eccezionale lentezza, portando in sé il ricordo di eventi lontani nel tempo, ma anche un certo numero di strutture molto più recenti: le proteine, gli organelli, la membrana cellulare eccetera. Ci vogliono tutte e due queste realtà insieme…
Forse uno dei segreti di questo immane unico episodio che noi chiamiamo vita è la capacità di ogni suo protagonista di giocare su questo doppio piano temporale: il piano lunghissimo del DNA, cioè del patrimonio genetico, appoggiato al campo più ristretto e quasi giornaliero delle strutture cellulari…
La vita di tutti i tempi e di tutti i luoghi costituisce uno stesso unico evento; rappresenta cioè il medesimo avvenimento…. Che ci appare diviso in tanti episodi e individui.”

Dalla ricerca scientifica sembra, dunque,  si possa dedurre che la memoria lascia tracce di tutte le esistenze, anche di coloro che  non hanno lasciato segni.
Forse chi verrà dopo di noi potrà comprendere meglio questo mistero su cui ci interroghiamo oggi.



Sul tempo
(di Gibran)
E un astronomo disse: Maestro Parlaci del Tempo.
E lui rispose:
Vorreste misurare il tempo, l'incommensurabile e l'immenso.
Vorreste regolare il vostro comportamento e dirigere il corso del vostro spirito secondo le ore e le stagioni.
Del tempo vorreste fare un fiume per sostare presso la sua riva e
vederlo fluire.

Ma l'eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo
E sa che l'oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi.
E ciò che in voi è canto e contemplazione dimora quieto entro i confini di quel primo attimo in cui le stelle furono disseminate nello spazio.
Chi di voi non sente che la sua forza d'amore è sconfinata?
E chi non sente che questo autentico amore, benché sconfinato, è racchiuso nel centro del proprio essere, e non passa da pensiero d'amore a pensiero d'amore, né da atto d'amore ad atto d'amore?
E non è forse il tempo, così come l'amore, indiviso e immoto?

Ma se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni stagione racchiuda tutte le altre,
E che il presente abbracci il passato con il ricordo, e il futuro con l'attesa.


Nota:
Enzo da Augias (video)

sabato 20 ottobre 2012

Luisa Morgantini scrive (dalla Palestina)



(English below)

La delegazione di Bait al Karama sarà ospite insieme a Carlo Petrini – fondatore di Slow Food – a
Che Tempo Che Fa in onda lunedì 22 Ottobre alle 21.05.
In vista della partecipazione al Salone del Gusto e Terra Madre, una piccola delegazione di Bait al Karama parteciperà inoltre al Mercato della Terra di Bologna, in programma sabato 20 ottobre dalle ore 9 alle 18 nel cortile del cinema Lumière. Il Mercato organizzerà una lezione di cucina palestinese aperta al pubblico (costo 20 €), tenuta dalle cuoche di Bait al Karama.
La partecipazione al Mercato della Terra di Bologna rientra in un percorso formativo organizzato dalla Fondazione Slow Food, assieme alle Ong Overseas e ACS, per aiutare la rete di Terra Madre in Palestina a sviluppare iniziative innovative a supporto delle piccole produzioni di qualità. Un percorso di sei giorni che prevede la visita ad associazioni, condotte e Presìdi Slow Food in Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Lombardia, che si concluderà con la partecipazione di Bait al Karama al Salone del Gusto e Terra Madre a Torino (dal 25 al 29 ottobre a Torino, Lingotto Fiere e Oval).
Per biglietti e informazioni http://salonedelgustoterramadre.slowfood.com/

The delegation of Bait al Karama will be a guest along with Carlo Petrini – founder of Slow Food – at Italian TV programme ‘Che Tempo Che Fa on Monday’, October 22 at 21.05.
Connected to the participation at the Salone del Gusto and Terra Madre, a small delegation of Bait al Karama will take part in the Earth Market in Bologna this Saturday, October 20 from 9 am to 6pm. The Market will also host a Palestinian cooking class open to the public (cost € 20), held by the cooks of Bait al Karama.
Participation in Earth Market Bologna is part of a training journey organized by the Slow Food Foundation, together with NGOs Overseas and ACS, to help the Terra Madre network in Palestine to develop innovative initiatives to support small-scale quality products. A journey of six days which includes a visit to associations, Condotte and Présidi Slow Food in Emilia-Romagna, Veneto, Piedmont and Lombardy, which will conclude with the participation of Bait al Karama at the Salone del Gusto and Terra Madre in Turin (25 to 29 October in Turin, Lingotto Fiere and the Oval).