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lunedì 17 marzo 2014

Quale educazione per i nostri figli





Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 16 marzo 2014
Quale educazione per i nostri figli ?!
riflessioni del gruppo genitori 

Introduzione
Il vangelo dice che Gesù “Cresceva in età, sapienza e grazia’. 
Noi vorremmo che i nostri figli, e tutti i figli, crescessero in età, sapienza, e alla parola ‘grazia’ diamo il significato di libertà, serenità, autonomia, senso critico, creatività, equilibrio, complessità e molto altro. Vorremmo che crescessero capaci di relazionarsi con gli altri e di stare bene anche da  soli. Capaci di trovare soluzioni già sperimentate da altri e di inventarne di proprie. Capaci di superare le frustrazioni e di contare sulle proprie risorse, capaci di chiedere aiuto quando ne hanno davvero bisogno. Capaci di sentire e dare nome ai sentimenti propri e degli altri. Capaci di rispetto di sé stessi e di ognuno.
Abbiamo però la percezione che il mondo degli adulti, dai genitori alla scuola, sia invece in difficoltà rispetto alle esigenze e ai bisogni dei ragazzi. E che gli adulti, carenti di autentica ‘autorevolezza’ spesso oscillino fra modi ‘autoritari’ e modi ‘permissivi’ creando una sorta di schizofrenia. 

1.Letture dai Vangeli, dai poeti Gibran e Tognolini 
Abbiamo scelto questi due brani del Vangelo perché affrontano il tema – fondamentale oggi nell’attuale rapporto ragazzi–adulti all’interno della scuola e non solo - della “credibilità” e dell’”autorevolezza” di chi assume ruoli di maestro. 
Ci sembra che dal Vangelo emerga chiaro che la vera credibilità sta non nell’apparenza di titoli e onori, ma nella capacità di dare esempi concreti e di viverli in prima persona.

Essere credibili : In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. 
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. [..] Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato. [dal Vangelo di Matteo]

[…] si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». […] Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che  ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono.Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. 
[dal Vangelo di Giovanni]

2. Abbiamo visto insieme il documentario “La education prohibida” e ve lo raccontiamo

La Educaziono Prohibida è  un documentario realizzato dall’argentino German Doin Campos  che racconta, anche attraverso una lunga serie di interviste a insegnati ed educatori, tutti i mali dell’istruzione pubblica per come è concepita e organizzata nei paesi occidentali.
Il documentario è stato prodotto in proprio dopo aver realizzato una raccolta fondi collettiva su internet che ha coinvolto circa 700 cofinanziatori e raccolto quasi 50.000 euro. Il documentario è stato poi reso disponibile sulla rete in forma totalmente gratuita.   

A tutti i bambini e i giovani che vogliono crescere in libertà”. Questa è la dedica del film che appare mentre la voce narrante inizia a raccontare il mito della caverna di Platone: gli uomini, legati all’interno di una caverna devono guardare tutto il giorno le ombre proiettate da alcune sagome che passano ciclicamente davanti a un focolare; tra questi, un individuo, più scaltro degli altri, riesce a liberarsi e scappa per osservare la realtà.
Campos usa il mito come incipit alla sua critica alla scuola pubblica. Una scuola che non tiene conto dei singoli individui, che uniforma le persone e le appiattisce con un obsoleto sistema di valutazione per ottenere un insegnamento vuoto, noioso e inutile.
La prima accusa è contro il sistema. Sistema di per sé incoerente perché da un lato afferma che l’essere umano va stimolato alla pace, alla felicità, alla cooperazione, all’uguaglianza, alla libertà e alla solidarietà mentre a scuola ciò che viene trasmesso è la competizione, la concorrenza, la discriminazione, l’individualismo, il materialismo e la violenza emozionale.
La colpa non è assegnata agli insegnanti ma al sistema scolastico. In tale sistema non esiste più l’insegnamento in base alle esigenze del ragazzo o in vista dell’apprendimento in sé. L’unica cosa importante è il programma. Un piano di studi scelto dal sistema. Un elenco di studi da seguire, completare e del quale va verificato il corretto apprendimento.
“Sembra un addestramento canino. Questa non è educazione” dichiara Carlos Wernicke della Fondazione Holismo. Tutti gli intervistati ribadiscono le medesime cose: ciò che manca alla gelida scuola occidentale è in primo luogo l’amore. Amore per gli studenti. Amore per l’istruzione. Ogni alunno ha un proprio metodo di apprendimento e in particolare i bambini apprendono molto di più attraverso l’esperienza. Se lasciati liberi di scoprire, provare, osservare e costruire, attraverso la propria creatività arrivano a livelli di apprendimento superiori a quelli di qualsivoglia adulto.  

Il film poi fa una critica serrata al sistema che assegna un’etichetta di problematicità (‘Dislessia’, ‘iperattività’, ‘ansia’ etc) a quei ragazzi che non si adattano perfettamente o velocemente al sistema stesso: nella grande maggioranza dei casi questi ragazzi non segnalano una reale patologia ma la necessità di altri percorsi di  apprendimento.

Il film continua mostrando a grandi linee l’evoluzione storica del sistema di istruzione:
nell’antichità ad Atene la scuola – per i pochi che vi accedevano – era basata sull’osservazione, sulla retorica e sul dialogo. D’altra parte a Sparta i bambini erano educati alla guerra attraverso violenze e pratiche di puro rigore.
L’istruzione è poi stata gestita dalla chiesa fino ad arrivare alla fine del ’700 quando in Prussia nasce un sistema scolastico con lo scopo di creare un popolo suddito e disciplinato che possa servire il regno e sia pronto a fare il buon soldato. Questo sistema si propagò rapidamente in ogni società occidentale sino ad arrivare ai giorni nostri.

A questo punto Carlos Calvo Munoz fa una curiosa ed efficace metafora: la scuola è la mappa, l’educazione è il terreno da cartografare. Il problema nasce quando non si crede più al terreno, a ciò che si vede e si tocca, ma diventa più importante la mappa. Il sistema che ci siamo costruiti e dentro al quale ci sentiamo sicuri. 

Il film prosegue ribadendo queste tesi mentre sullo sfondo si sviluppa la storia di un gruppo di ragazzi all’ultimo anno di liceo che vogliono appendere manifesti e far circolare le notizie circa lo stato dell’educazione nel loro istituto e nel mondo. Chiedono una nuova scuola, dove i ragazzi abbiano maggior voce in capitolo e l’apprendimento non si fermi dietro al banco. All’inizio trovano delle resistenze ma poi alla fine riescono a coinvolgere i compagni e i professori riuscendo a far comprendere il loro punto di vista.

Il finale è aperto; Campos non indica una soluzione, non propone una alternativa concreta; ma probabilmente era proprio questo che voleva: lanciare una provocazione, attivare una discussione e lasciare aperte tante possibili soluzioni e percorsi. 
Tante sono state le critiche fatte a Campos – di approssimazione, di schematismo, di mancata conoscenza o presentazione dei nuovi metodi di insegnamento presenti negli attuali sistemi di istruzione e di mancanza di una propria proposta concreta alternativa. 
Ma molti sono stati anche gli apprezzamenti: hanno visto e scaricato il film da internet oltre 4 milioni di persone che sono venute a conoscenza del film attraverso un grandissimo ‘passaparola’, e certamente queste persone si staranno interrogando su questi temi come abbiamo fatto noi in questi giorni.



DSA- Disturbi Specifici di Apprendimento
Disgrafia, dislessia, discalculia e disortografia sono difficoltà di alcuni ragazzi nell’espressione scritta, nella lettura e nel fare i calcoli. Secondo una definizione scientifica, i Disturbi Specifici di Apprendimento, sono un problema diffuso tra bambini e ragazzi. Se non diagnosticati per tempo e in modo corretto, possono incidere pesantemente sul rendimento scolastico causando spesso abbandoni precoci. Per favorire un corretto approccio scolastico ai bambini con questi problemi, è stata approvata una legge specifica per differenziare i DSA dalle forme di handicap fisico: l’obiettivo è fare in modo che questi disturbi vengano diagnosticati in modo adeguato e che i ragazzi ricevano il giusto sostegno.

Che cosa dice la legge
La legge 170/10 ovvero –Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico- è nata come una evoluzione alla Legge Quadro sulla disabilità (104/92 destinata ai ragazzi con disabilità fisica) e se ne differenzia perché riguarda il diritto allo studio tutelato in modo diverso. Le norme sulla disabilità della legge 104/92 riguardano l’apprendimento da parte di studenti con Bisogni Educativi Speciali i quali presuppongono la stesura di un piano didattico individualizzato e l’affiancamento di un docente di sostegno. Nella nuova legge, prima di tutto vengono considerate disabilità la disgrafia, discalculia e dislessia, poi vengono indicate le finalità (interventi precoci, sensibilizzazioni delle famiglie e diritto all’inclusione scolastica), vengono formalizzate le certificazioni da parte delle ASL e indicate le attività formative per il personale docente. Viene stabilito inoltre come gli alunni con diagnosi DSA possano accedere a mezzi compensativi e dispensativi, come il computer e che possano disporre di tempi più lunghi per lo svolgimento delle prove.

La nostra esperienza
Una professoressa di Matilde in prima media, ad un colloquio, mi disse -“Ma lei è sicura che Matilde lo voglia?”- Questo è stato l’inizio del nostro “travaglio” per arrivare alla famigerata certificazione. 
Fin dalle elementari per Matilde la scuola significa fatica, una grande fatica. Ha fatto enormi sforzi per arrivare a risultati “accettabili” e classificabili con l’indispensabile 6 in pagella. La bambina dai test previsti dal Ministero non rientrava nelle classificazioni nette di dislessia, discalculia o disgrafia, risultava “borderline”. Quindi non era previsto un Piano Didattico Personalizzato, lo sforzo andava fatto da lei e da noi genitori.
Arrivata alle medie, per Matilde l’impegno si fa più serio e a metà della seconda decidiamo di approfondire e ci rechiamo da uno psicologo specialista in problemi dell’apprendimento.
La diagnosi ancora una volta è “aspecifica”: Matilde non rientra in nessuna delle  quattro specifiche problematiche tutelate per legge.  Esiste però il “Disturbo Aspecifico” del quale parla ampliamente la dichiarazione dell’allora Ministro all’Istruzione Francesco Profumo, secondo la quale anche lei può ottenere una certificazione. La dichiarazione nelle parole è molto bella, se non a tratti utopistica: “Gli alunni con disabilità si trovano inseriti in un contesto sempre più variegato, dove la discriminazione tradizionale – alunni con disabilità/alunni senza – non rispecchia pienamente la complessa realtà delle nostre classi. Anzi è opportuno assumere un approccio decisamente educativo, per il quale l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla base della eventuale certificazione, che certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di mantenerli in una cornice ristretta. […] E’ rilevante l’apporto del modello diagnostico internazionale dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. In questo senso ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici e sociali rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta. Va quindi potenziata la cultura dell’inclusione e ciò anche mediante un approfondimento delle relative competenze degli insegnanti.”
Nella Dichiarazione si parla anche degli alunni con “Deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività”, per i quali dovremmo aprire un un altro importante capitolo, e di alcune tipologie di disturbi, non esplicitati dalla legge 170/10 che danno diritto ad usufruire delle stesse misure previste per i DSA.
Tutte queste “classificazioni” ci fanno girare la testa e se Matilde abbia o meno ottenuto benefici dalla certificazione, ancora siamo a chiedercelo. Nel concreto, come conseguenza alla certificazione, Matilde dovrebbe ottenere dagli insegnanti un atteggiamento di rispetto delle sue caratteristiche, può usufruire di strumenti  compensativi, come la calcolatrice, schemi preparati a casa, formule. Può essere dispensata dal fare tutti gli esercizi richiesti da un compito in classe, può essere valutata su quelli che riesce a fare e può usufruire di tempi maggiori. Il problema è che lei la maggior parte delle volte questi “mezzi compensativi o dispensativi” non vuole usarli. Si vergogna nei confronti dei compagni, teme di far loro un’ingiustizia e di essere agevolata..(..è sicura che Matilde lo voglia?). 
L’esperienza che stiamo facendo ci pone tanti interrogativi. E’ giusto che le diverse caratteristiche dei bambini e dei ragazzi vengano classificate come “disturbi”? C’è qualcosa di diverso che si possa fare per affrontare dal dentro le sempre maggiori problematiche che si presentano? Possiamo solo individuare patologie a cui offrire una cura esterna o possiamo mettere in discussione il sistema scolastico più in profondità?





Qualche spunto di riflessione e letture

Gabriel Garcia Marquez per i 50 anni di  MAFALDA di Quino ha scritto:
“In ogni suo libro, da anni, Quino ci sta dimostrando che i bambini sono i depositari della saggezza. Quello che è triste per il mondo è che man mano che crescono perdono l’uso della ragione, a scuola dimenticano ciò che sapevano alla nascita, si sposano senza amore, lavorano per denaro, si puliscono i denti, si tagliano le unghie e alla fine diventati adulti miserevoli non affogano in un bicchier d’acqua, ma in un piatto di minestra”.

Domenico Starnone in occasione della rappresentazione teatrale  “La Scuola”tratto dal suo libro “Ex cattedra” ha detto : […] Non si può fare una scuola senza ottimi insegnanti. Non c’è generazione che non si consideri migliore di quella seguente. Eppure ogni mutazione antropologica dice che il mondo sta cambiando e che il buon maestro resta quello che sa fare dei suoi allievi non persone identiche a lui, ma diverse e migliori.

Al centenario dalla nascita di Marguerite Duras, esce in Italia per la prima volta il racconto “Ah Ernesto”, dove la scrittrice immagina la favola di Ernesto, un bambino che vuole distinguere tra sapere e conoscenza, che predilige l’esperienza diretta alla teoria sui banchi di scuola. La follia di Ernesto è voler disporre di una libertà strabordante, eccessiva, rivoluzionaria in un mondo totalmente assoggettato al consenso. E’ il suo rifiuto di ogni valore prestabilito, nella sua volontà di distruggere e sabotare il sapere per ritrovare l’innocenza universale.   

“Ernesto va a scuola per la prima volta. Torna, va dritto da sua madre e dichiara: 
-“Non tornerò più a scuola”-
-“Perché?”- dice la madre
-“Perché sì, a scuola mi insegnano cose che non so”-
I genitori di Ernesto si recano dal maestro insieme al figlio:
-“Rifiuti di istruirti, perchè?”- chiede il maestro
-”Perché non ne vale la pena..”-
-“Allora come saprai leggere, scrivere e contare, come saprai una qualsiasi cosa?
-“Io saprò”-
-“Si , ma come?”-
-“Oh…per forza di cose”-



Diritto all'educazione
Se mi insegni, io lo imparo
Se mi parli, mi è più chiaro
Se lo fai, mi entra in testa
Se con me tu impari, resta
[di Bruno Tognolini]

Il vero maestro non elargisce il suo sapere 
ma piuttosto il suo amore e la sua fiducia

Allora un maestro disse: Parlaci dell'Insegnamento.
Ed egli disse:
Nessuno può rivelarvi se non quello che già cova semiaddormentato nell'albore della vostra conoscenza.
Il maestro che passeggia all'ombra del tempio, tra i seguaci, non elargisce la sua saggezza, ma piuttosto il suo amore e la sua fiducia.
Se egli è saggio veramente, non vi offrirà di entrare nella casa della propria sapienza; vi condurrà fino alla soglia della vostra mente.
L'astronomo può parlarvi di come intende lo spazio, ma non può darvi il vostro proprio intendimento.
Il musicista può cantarvi il ritmo che è dovunque nel mondo, ma non può darvi l'orecchio che ferma il ritmo, né la voce che gli fa eco.
E chi è versato nella scienza dei numeri può descrivervi le ragioni dei pesi e delle misure, ma non può condurvi laggiù.
Perché la visione d'un uomo non può prestare le sue ali a un altro uomo.
E come ciascuno di voi sta da solo nella sapienza di Dio, così ciascuno di voi deve essere solo nel suo conoscere Dio e nel comprendere la terra.

[dal libro “Il profeta” di Gibran Kahlil]


Questa terza maschile, per diversi motivi, è particolarmente difficile. Gli alunni sono spesso distratti, non si interessano alle lezioni che preparo scrupolosamente, “dimenticano” di far firmare ai genitori le osservazioni sul comportamento, “dimenticano” di acquistare i quaderni… In compenso tengono in classe una disciplina passiva che mi sgomenta : fermi come statue, coi cervelli inerti, spesso non restituiscono nemmeno il sorriso. Forse hanno paura di me, perché quando voglio conversare con loro nei momenti di ricreazione, esaurite le notiziole superficiali, si chiudono in un gelido silenzio che non riesco a rompere. 
A volte, dalla finestra, li osservo quando escono sulla strada : oltrepassata la soglia è un libero volo, le bocche mute parlano e gridano: sono felici. Indubbiamente per questi ragazzi la scuola è un sacrificio; il loro comportamento lo dimostra. Ma quale è la causa ? E’ facile attribuirla alla scarsa volontà e al carattere dei ragazzi; e se fosse altrove, ad esempio nella organizzazione della scuola stessa ? 
Tanto nella società come nella scuola credo che non ci possano essere che due modi di vivere : o la sottomissione a un capo non eletto, oppure un sistema in cui la libertà di ognuno sia rispettata, condizionata solo dalle necessità di tutti.
Il paternalismo nella società degli adulti come nella scuola non e che una forma insidiosa dell’autoritarismo che concede una finta libertà.  Se la scuola non deve soltanto istruire ma anche e soprattutto educare, formando cioè il cittadino capace di inserirsi nella società col diritto di esporre le proprie idee e col dovere di ascoltare le opinioni degli altri, questa scuola fondata sull’autorità del maestro e la sottomissione dello scolaro non assolve al suo compito perché è staccata dalla vita. 
Ma come cambiare le cose ? con quali mezzi ?

[Mario Lodi, C’è speranza se questo accade al Vho, 1963] 


“… una prima serie di capitoli sarà dedicata alle tue “fonti educative” più immediate. Tu penserai subito a tuo padre, a tua madre, alla scuola e alla televisione. Invece  non è così. Le tue fonti educative più immediate sono mute, materiali, oggettuali, inerti, puramente presenti. Eppure ti parlano. Hanno un loro linguaggio di cui tu, come i tuoi compagni, sei un ottimo decifratore. Parlo degli oggetti, delle cose, delle realtà fisiche che ti circondano. Il linguaggio delle cose, da cui tu hai ricevuto la tua prima educazione, non è una rottura di scatole, te l’assicuro. 
Dopo la serie di capitoli dedicati al linguaggio pedagogico delle cose (o merci, o beni di consumo), dedicherò una lunga sezione del libro a parlarti dei tuoi compagni, che sono, sia ben chiaro, i tuoi veri educatori. Essi sono portatori, inconsapevoli e perciò tanto più prepotenti, di valori assolutamente nuovi, che solo tu e loro vivete. Noi – i vostri padri -  ne siamo esclusi. Quei valori, anzi, sono intraducibili nel nostro linguaggio. 
I tuoi compagni vivono esistenzialmente valori nuovi rispetto a quelli vissuti e codificati dagli adulti. E’ in ciò che consiste la loro forza. E’ attraverso quel qualcosa di nuovo che essi, con il loro modo di essere e di comportarsi, vanificano il conformismo pedagogico degli adulti e si impongono come i veri reciproci maestri. La loro novità non detta, e neanche pensata, ma solo vissuta, andando oltre il mondo degli adulti, lo contesta anche quando lo accetta totalmente. Tu sei schiacciato da questa novità ed è questa novità che costituisce il nucleo della tua ansia di apprendere. Essa non può esserti insegnata dagli adulti, e quindi tu, pur ascoltando gli adulti, pur mettendoci la tutta la buona volontà ad assimilare il sapere dei padri, in realtà hai una sola assillante avidità : quella di condividere con i tuoi compagni, apprendendola da loro ossessivamente ogni giorno, questa novità. Insomma, i tuoi compagni sono i depositari e i  portatori di quei valori che sono gli unici che ti interessano.  
Terza parte del nostro trattato saranno i due genitori: che sono i tuoi educatori ufficiali, se non ancora i tuoi diseducatori. Tuttavia, come vedremo, tra la loro intenzione pedagogica nei tuoi riguardi e la realizzazione di tale intenzione c’è un diaframma il cui spessore è immenso: si tratta del tuo rapporto di amore e di odio con essi.
Passeremo poi alla scuola, cioè a quell’insieme organizzativo e culturale che ti ha completamente diseducato, e ti pone qui davanti a me come un povero idiota, umiliato, anzi degradato, incapace a capire, chiuso in una morsa di meschinità mentale che, fra l’altro, ti angoscia. L’antiscuola (cioè la polemica contro la scuola) non è meno diseducativa. Essa ti impone un conformismo non meno degradante ed angosciante di quello della scuola.
Ti parlerò prima dei tuoi maestri elementari e poi dei tuoi professori: questi duplicati dei padri e delle madri, autori della tua diseducazione.
Proseguendo esamineremo la stampa e la televisione, questi spaventosi organi pedagogici privi di alcuna alternativa.
[…] La mia cultura mi pone in un atteggiamento critico rispetto alle “cose” moderne intese come segni linguistici. La tua cultura, invece, ti fa accettare quelle cose moderne come naturali, e ascoltare il loro insegnamento come assoluto. Io potrò cercare di scalfire, o almeno di mettere in dubbio, ciò che ti insegnano genitori, maestri, televisioni, giornali e soprattutto ragazzi tuoi coetanei. Ma sono assolutamente impotente contro ciò che ti hanno insegnato e ti insegnano  le cose. Il loro linguaggio è inarticolato e assolutamente rigido: dunque inarticolato e rigido è lo spirito del tuo apprendimento e delle opinioni non verbali che in te, attraverso quell’apprendimento, si sono formate. Su questo siamo due estranei, che nulla può avvicinare.”
       
[Pier Paolo Pasolini, lettere luterane, 1975]






Una scuola grande come il mondo

C’è una scuola grande come il mondo.
 Ci insegnano maestri e professori,
 avvocati, muratori,
 televisori, giornali,
 cartelli stradali,
 il sole, i temporali, le stelle.
 Ci sono lezioni facili
 e lezioni difficili,
 brutte, belle e così così…
Si impara a parlare, a giocare,
 a dormire, a svegliarsi,
 a voler bene e perfino
 ad arrabbiarsi.

Ci sono esami tutti i momenti,
 ma non ci sono ripetenti:
 nessuno può fermarsi a dieci anni,
 a quindici, a venti,
 e riposare un pochino.
 Di imparare non si finisce mai,
 e quel che non si sa
 è sempre più importante
 di quel che si sa già.

Questa scuola è il mondo intero
 quanto è grosso:
 apri gli occhi e anche tu sarai promosso!

Gianni Rodari



domenica 2 marzo 2014

Il lato oscuro degli uomini




Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 2 marzo 2014
Il lato oscuro degli uomini
La violenza maschile contro le donne: modelli culturali di intervento
riflessioni di Carlo, Claudia, Gisella, Luisella, Maurizio
con Maria Grazia Ruggerini, Alessandra Pauncz e Andrea Bagni


1. Letture dal Vangelo e non solo 
2. Il libro: Il lato oscuro degli uomini 
3. Dialogo con Maria Grazia Ruggerini e Alessandra Pauncz intorno al libro
4. La violenza alle donne riguarda tutte le donne e chiama in causa tutti gli uomini
5. Donne coraggio. Intervista a Enzo Mazzi
6. Lettera aperta agli uomini che odiano le donne di Cristina Comencini

1a. Letture dal Vangelo 
… all'alba si recò di nuovo al tempio e tutto il popolo gli si avvicinava ed egli, sedutosi, si mise a parlare con loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio e, messala nel mezzo, gli dissero: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". 
Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 
Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. 
Alzatosi allora Gesù le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno; va’ e d'ora in poi non peccare più".
Abbiamo scelto questo brano perché descrive da un lato l’orrore di un ordine simbolico di dominio, con conseguenti leggi, precetti, morali, che porta una donna a un passo dalla morte per lapidazione e dall’altro il comportamento di un uomo (ma che sappiamo essere il comportamento di un gruppo di donne e uomini intorno a Gesù) probabilmente anch’esso/i cresciuto/i in una cultura del dominio e del disprezzo per le donne, che riesce/riescono a dare spazio ad un altro possibile ordine simbolico, dove non c’è senso di superiorità, condanna ed esclusione, ma ascolto e rispetto. 

A questo brano del Vangelo fanno riferimento anche le parole di Enzo Mazzi in un articolo apparso su La Repubblica alla vigilia della manifestazione delle donne “Se non ora quando?” del 13.02.2011
[…] il Vangelo è un grande messaggio di valorizzazione della creatività dello Spirito che anima costantemente l’evoluzione e la ricerca umane e le conduce ben oltre la cosiddetta etica naturale codificata. Ed è anche una denuncia forte dei soprusi che provengono dalle cattedre di verità, soprattutto contro le donne. Gli uomini che stavano lapidando una adultera erano molto religiosi, si appellavano a Dio creatore e rivelatore e alla sua legge, era Dio stesso che imponeva di considerare l’adulterio un atto contro la verità della natura, la loro mano era mossa dalle cattedre di verità di quel tempo. Gesù li freddò con una frase che dovrebbe freddare anche oggi le gerarchie ecclesiastiche: «chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra, nessuno ti ha condannata, nemmeno io ti condanno».
La cultura femminile è essenziale oggi per un superamento delle vecchie prigioni delle anime e dei corpi. Quando il potere ecclesiastico arriverà a chiedere perdono alle donne di tutti i misfatti compiuti contro le loro coscienze fin dalla più tenera età, contro i loro corpi, i loro uteri, la loro capacità generativa e creativa, allora e solo allora sarà credibile nel suo parlare di difesa della natura e della vita. Quando il potere ecclesiastico avrà compiuto una riparazione storica facendo spazio alla visione femminile di Dio, della Bibbia, di Cristo, della fede e della vita della Chiesa, allora potrà intervenire credibilmente sull’etica della vita. Ma in quel momento si sarà dissolto come “potere”. Le donne che si riprendono le piazze si riprendono anche per se stesse e per tutti noi il potere sulla sacralità della natura, dei corpi, della sessualità e, mettendo un po’ di enfasi, sulla sacralità di tutto l’esistente. “Se non ora, quando?”.
2.Libro: “Il lato oscuro degli uomini. La violenza maschile contro le donne: modelli culturali di intervento”
Volume a cura di Alessandra Bozzoli, Maria Merelli, Maria Grazia Ruggerini. Ed. EDIESSE
[dalla quarta di copertina]

Violenza contro le donne: cosa si sta facendo in Italia?
Inasprire le norme repressive e isolare i comportamenti violenti maschili – che sono ormai arrivati ad un femminicidio ogni due giorni- facendone casi eccezionali, patologici, lascia inalterati i modelli culturali fondati su quegli equilibri patriarcali di potere contro i quali hanno lavorato fin dagli anni Ottanta i Centri antiviolenza e le Case per donne maltrattate, frutto delle lotte femminili e femministe.
Comprendere invece che la violenza sulle donne è prima di tutto un problema degli uomini significa spostare l’attenzione dalle vittime agli autori, a quella “questione maschile che tutta la violenza di genere sottende.
Il volume coglie, nella parte iniziale, questo cambiamento di ottica attraverso una ricerca – la prima in Italia – che censisce le esperienze d’avanguardia rivolte agli uomini violenti nel nostro paese, nelle carceri e nei centri, in ambito privato e pubblico, e offre un quadro di programmi sviluppatisi a livello internazionale, cui le esperienze italiane fanno riferimento. 
Nella seconda parte sono presentate le riflessioni e le proposte di studiosi e studiose afferenti a molteplici discipline, e le esperienze di operatrici e operatori con ruoli professionali diversi. In appendice, un’analisi critica del recente decreto legge n.93/2013 convertito nella legge del 15.10.2013 n.119.

3. Dialogo con Maria Grazia Ruggerini, una delle curatrici del libro, con Alessandra Pauncz, presidentessa del CAM (Centro Ascolto uomini maltrattanti) e autrice di una riflessione riportata nel libro: “Verso il luogo delle origini: riflessioni di un’operatrice eretica” intorno al libro e con Andrea Bagni rispetto al suo percorso personale nell’Associazione Maschile Plurale.

4. La violenza alle donne riguarda tutte le donne e chiama in causa tutti gli uomini
In più parti del libro si afferma l’importanza di affrontare il problema della violenza alle donne non soltanto dal punto di vista delle donne, ma anche dal punto di vista degli uomini: di quello degli uomini maltrattanti e di quello di tutti gli uomini. Si sostiene che il fenomeno della violenza alle donne non può essere ricondotto semplicemente a fenomeni di patologia degli uomini violenti o di “patologia di coppie malate” formate da donne vittime e uomini malati/devianti. Così come gli interventi non debbono essere ricondotti solo a misure repressive pur necessarie.
E non  si parla solo di casi eclatanti di violenza che le donne hanno il coraggio di denunciare e che magari raggiungono le prime pagine dei quotidiani, ma di quella “violenza domestica”, più sottile, impalpabile, che vede nella coppia ancora rapporti di potere da parte dell’uomo, potere che si esercita psicologicamente, con forme di svalutazione, di distruzione dell’autostima, economicamente e che pervade anche la sfera più intima, fisica e sessuale. E’ questa la violenza più difficile da smascherare e da ammettere, è quella violenza che nasce per l’incapacità, da parte degli uomini, di accettare l’autonomia e la libertà entrate nella vita delle donne che scatenano in loro senso di inadeguatezza, perdita di potere e di controllo e impossibilità ad accettare la diversità di una persona “altra” da loro. 
Quindi la violenza non è solo il retaggio di valori culturali di una società patriarcale, ma è anche il frutto della moderna trasformazione delle relazioni tra uomini e donne.
Nel libro si sottolinea con forza come diventi fondamentale e come sia una delle cose più difficili per gli uomini che accedono ai percorsi di trattamento, ammettere che in loro albergano delle negazioni fondamentali sulle quali devono lavorare rispetto a se stessi: la negazione dei fatti, che il più delle volte vengono minimizzati, anche rispetto alle conseguenze, di sofferenza e dolore, provocate alla vittima; la negazione della consapevolezza dell’azione abusante: la violenza è stata scelta come modalità, non è “capitata”; la negazione della responsabilità per cui la colpa viene attribuita ai comportamenti della vittima, o alla storia della propria infanzia.
E’ solo affrontando il fenomeno alle origini e in una visione complessiva, quindi uno sguardo che si sposta dalle vittime agli autori di violenza, che può diventare possibile cercare di interrompere il ciclo della violenza, anche nella trasmissione fra generazioni, di prevenirlo, con un lavoro non solo sugli uomini maltrattanti, ma che chiami in causa tutti gli uomini.
Gli uomini sono chiamati in causa a lottare contro la violenza non (sol)tanto nello schierarsi a fianco delle donne ma anche nel realizzare propri percorsi di riflessione su di sé.
Gli uomini sociologicamente abituati da millenni a guardare fuori da sé piuttosto che dentro di sé hanno finora mostrato delle resistenze nell’affrontare questi temi, ma a partire dagli anni ‘90 anche in Italia qualcosa si è mosso. Ed è interessante segnalare che uno dei primi passi, se non il primo, lo abbia fatto in Italia proprio un piccolo gruppo all’interno di una comunità di base: il gruppo Uomini della Cdb di Pinerolo. Ci fa piacere qui riportare una rassegna dei gruppi di uomini impegnati in un lavoro di riflessione sul ‘maschile’ e su di sé.

Gruppo Uomini, che diventerà poi Uomini in cammino, nasce nel 1993 all’interno della Comunità cristiana di base di Pinerolo (Torino) per rispondere “eccoci!” alle sollecitazioni del femminismo e con tre grandi motivazioni: interrompere il silenzio di fronte al maschilismo imperante nella chiesa; riscoprire, nella figura di Gesù, un modello di relazioni con le donne fatto di reciprocità e di accoglienza; avviare un cammino, individuale e collettivo, di autocoscienza e di cambiamento, da parte maschile, del modo di stare al mondo. Nel ’96 nasce “Uomini in cammino”, 4 pagine, veicolate dal Foglio delle Comunità di base per dare visibilità agli uomini che si mettono in cammino per uscire dal patriarcato: fa bene vedere e sapere di non essere soli”.

Associazione Onlus Cerchio degli Uomini – Torino (www.cerchiodegliuomini.org): Il Cerchio degli Uomini Onlus nasce nel 1998 in maniera spontanea tra un gruppo di uomini che ha cominciato ad incontrarsi per condividere esperienze, vissuti ed emozioni personali su tematiche inerenti la questione maschile, il significato di essere uomini oggi con il patriarcato fortemente in crisi, se non in via di estinzione ed i profondi mutamenti sociali in corso. Diventa Onlus nel 2004 con lo scopo di favorire il passaggio da una società fondata sulla prevaricazione ad una fondata sulla consapevolezza e la valorizzazione delle differenze e pari opportunità tra uomini e donne, ma anche tra religioni e culture diverse.

Gruppo Uomini - Verona: il gruppo nasce alla fine del 2002, conta una decina di persone di età e percorsi formativi e professionali diversi ma accomunate dalla consapevolezza che le relazioni giocano un ruolo centrale nella vita; il gruppo si ritrova una volta al mese per confrontarsi sulle tematiche dell’ ‘essere uomini’. “Ognuno di noi, a suo modo, sente che lo scambio con alcune donne (madri, compagne, amiche, colleghe, filosofe, scrittrici…) è stato ed è tuttora di fondamentale importanza per orientarsi nel mondo. Nel corso di questi anni abbiamo sperimentato le grandi potenzialità di liberazione insite nella pratica del partire da sé (invenzione politica del movimento delle donne), condividendo esperienze e pensieri con altri uomini. La nascita di una fiducia reciproca, guadagnata attraverso un confronto sincero e appassionato, sta facendo dissolvere il fantasma antico e condizionante di una inevitabile competizione tra maschi”. 

Gruppo Uomini – Bologna: il gruppo è nato nel settembre del 2003 con l’obiettivo di confrontarci riguardo al nostro proprio essere uomini. Ci incontriamo ogni due settimane, siamo una decina, ma intorno al gruppo ruotano altrettanti “simpatizzanti”. In queste serate ognuno si dedica al racconto di sé agli altri e all’ascolto. Argomenti sui quali ci siamo confrontati sono ad esempio il rapporto con il padre e la paternità, il rapporto con la madre, i ruoli tradizionali dell’uomo nella società e quanto le aspettative che ne derivano influenzano il nostro modo di essere maschi, la competizione tra uomini, la sessualità, l’omosessualità, lo sguardo e il desiderio, il nostro rapporto con le donne. Lavoriamo su noi stessi, per cercare, a vari livelli, la nostra parzialità, autenticità e originalità di uomini, senza pregiudizi e senza parlare di massimi sistemi.
Abbiamo scoperto che il confronto tra maschi è una straordinaria fonte di arricchimento, quando c’è rispetto per i percorsi personali e le opinioni altrui, e altrettanta fiducia e voglia di conoscere: alcune regole sui tempi e le modalità ci aiutano a gestire gli interventi, in modo da non concedere spazio a giudizi o a tentativi di imporre le proprie idee. Per alcuni la centralità della parola è caratteristica qualificante del gruppo, per altri il dialogo è un punto di partenza per aprirsi ad altre forme di comunicazione, anche non verbale.
A dare una direzione al nostro lavoro, in costante mutamento, sono le intuizioni dei singoli, che vengono ascoltate ed eventualmente raccolte e valorizzate, nel tentativo di assecondare il più possibile le esigenze e i desideri personali; gli argomenti per le serate, le iniziative o gli incontri con altri gruppi sono sempre frutto della proposta di un singolo, indice della voglia di partecipare e dare forza al gruppo che ci accomuna.

Gruppo Uomini – Viareggio: Il gruppo Uomini di Viareggio nasce all'inizio degli anni 90 in stretto rapporto con la casa delle donne di Viareggio e il centro anti-violenza.

L'Associazione nazionale Maschile Plurale è nata a Roma nel 2007, è una realtà di uomini con età, storie, percorsi politici e culturali e orientamenti sessuali diversi, radicati in una rete di gruppi locali di uomini più ampia e preesistente. I componenti dell’Associazione sono impegnati da anni in riflessioni e pratiche di ridefinizione dell’identità maschile, plurale e critica verso il modello patriarcale, anche in relazione positiva con il movimento delle donne. 
Attiva in alcune regioni italiane (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia), realizza diversi interventi, quali:
la produzione di riflessioni e di documenti con una valenza politica, sui temi della maschilità e delle relazioni tra uomini e donne, offerti alla discussione attraverso il sito www.maschileplurale.it;
gli incontri pubblici, sugli stessi temi, di sensibilizzazione e promozione culturale sul territorio
l’educazione e la formazione per le scuole, le università, gli operatori socio-sanitari e le forze dell’ordine
la collaborazione con alcuni centri antiviolenza, anche all'interno di reti di prevenzione e contrasto della violenza maschile sulle donne
la ricerca-azione in tema di percorsi degli uomini maltrattanti 
la partecipazione ad analoghe iniziative di molte altre realtà associative e istituzionali .
Iniziative come queste rispondono alle finalità principali indicate dallo  HYPERLINK "http://maschileplurale.it/cms/index.php?option=com_content&view=article&id=91:iscrizione-allassociazione-maschile-plurale&catid=21:associazione-nazionale-maschile-plurale&Itemid=34" Statuto dell'Associazione:
promuovere una riflessione individuale e collettiva tra gli uomini di tutte le età e condizioni, a partire dal riconoscimento della propria parzialità e dalla valorizzazione delle differenze, nella direzione di un mutamento di civiltà nelle relazioni tra i sessi;
impegnarsi pubblicamente e personalmente per l'eliminazione di ogni forma di violenza di genere;
facilitare una svolta nei comportamenti concreti di ciascuno, con le proprie diverse soggettività nelle relazioni interpersonali, nelle famiglie, nel mondo del lavoro, nelle scuole e università, nelle comunità religiose, nei luoghi della politica e dell’informazione, nonché nelle diverse occasioni di socialità.

Associazione Maschile–Plurale Gruppo di Roma: era ottobre del 2000 quando alcuni uomini di Roma si ritrovarono a un incontro nazionale di uomini organizzato vicino Torino dal gruppo uomini della comunità di base di Pinerolo. Alcuni di loro si erano già incontrati qualche anno prima nei movimenti che, all’inizio degli anni ’80 avevano portato al centro della mobilitazione le lotte contro il nucleare militare e civile, le denunce di un modello di sviluppo non più sostenibile, di un modo di produrre rovinoso per il pianeta, di un modo di fare scienza e di trasmettere i saperi funzionale ai poteri forti della politica e dell’economia, di un modo di fare politica fuori e dentro i partiti che aveva svuotato la partecipazione, corrotto il sistema politico, prodotto inefficienza, corruzione, violenza, e disaffezione dei cittadini per le istituzioni. Si tentava di affermare la necessità di un nuovo modello di sviluppo, di un altra qualità della vita e delle relazioni, di un nuovo sistema di relazioni tra i popoli e gli stati improntate alla pace e alla nonviolenza. Erano anni in cui già si vedeva quanto in profondità il movimento delle donne avesse inciso con le sue mobilitazioni e le sue conquiste nella società italiana, nelle relazioni tra uomini e donne, risignificando concetti quali sessualità, famiglia, maternità e denunciando prima di chiunque altro quanto lontano dalla vita, dai corpi, dai bisogni e dalle relazioni, fosse il mondo della politica, dei partiti e delle istituzioni.

Uomini in gioco – Bari: nasciamo nel 2001, sei uomini intorno ai 50, tutti sposati (e tre separati), spinti da desideri e non da doveri, dalla pancia e non dalla testa, … per:
aprire nuove piste intorno a interessi e letture comuni e alla voglia di rinnovare equilibri già assestati;
coltivare la curiosità di ciò che ci abita dentro e intorno come uomini di questo tempo e mondo, a partire dalle relazioni fondanti (partner-figli-fratelli-genitori);
arricchire il nostro ventaglio come genere maschile, non accontentarci di schemi, del già dato nel dna culturale ereditato, sentirci come un piccolo laboratorio, uno fra i non pochi, dove degli uomini si incontrano anche per ri-cucire scissioni ( pubblico/ privato, ad esempio);
raccontarsi, senza parlare di “donne e motori” ed elaborare dal basso nuove pratiche di uomini non in contrapposizione al cammino delle donne ma in parallelo e semmai in ri-sonanza.
I nostri incontri, uno alla settimana a turno nelle rispettive case con la cena finale, tendono al contenimento, in un clima di riservatezza, ascolto, non-giudizio, work in progress. 

Benin City - Il Progetto "La ragazza di Benin City" è un esempio unico al mondo di riscatto umano, politico, sociale e culturale. Nelle sue articolazioni mette insieme uomini che sono o sono stati clienti di prostitute e donne prevalentemente immigrate che sono o sono state vittime della tratta.
E' l'esempio reale di come dai bassifondi più oscuri della cultura patriarcale sia possibile per gli uomini mettersi in discussione, trasformare se stessi e la realtà, conquistare una vita, una sessualità, un modo di stare al mondo, più felici e degne. Fuori dal dominio, dall'oppressione, dallo sfruttamento, dalla vergogna.

LUI – Livorno Uomini Insieme: LUI nasce a Livorno nel 2011 come gruppo di amici che vuole confrontarsi sul proprio essere uomini nel mondo. Decisivo è stato l’incontro con l'Associazione Ippogrifo ed il Centro Donna del Comune di Livorno, durante il quale sono state condivise letture ed esperienze in relazione alle tematiche delle pari opportunità e del linguaggio di genere. Ad integrazione di questo percorso formativo il gruppo ha iniziato a frequentare il Gruppo Uomini di Viareggio, presente sul territorio versiliese da oltre vent’anni, facente parte della più ampia rete dell'Associazione “Maschile Plurale”.
LUI si pone l'arduo obiettivo di diventare un punto di riferimento per un confronto con tutti quegli uomini che vogliono avviare un percorso di introspezione sul significato di “essere maschi” nella società di oggi, iniziando una riflessione critica sui modelli dominanti di mascolinità, accogliendo tutti quegli uomini che vorranno dire la loro sulla violenza, sui rapporti tra sessi, sulle nuove problematiche sociali degli uomini, su culture e linguaggi generati dal patriarcato, a partire dalla loro identità e dalle loro esperienze di vita.
Un “dialogo maschile” che voglia proporre una critica costruttiva sulle relazioni tra i sessi, sulle relazioni in generale e sulle disparità tra donne e uomini. In questo percorso LUI non vuole essere autoreferenziale ma confrontarsi con le altre realtà della società lavorando in rete anche con il contesto locale: vuol essere una nuova proposta di “essere maschio”, finalizzata a far sviluppare una coscienza comune tra donne e uomini basata sul reciproco riconoscimento di autonomia. 
Oggi LUI si presenta come gruppo di uomini in cammino, verso un'emancipazione del genere maschile.

Il Cerchio degli Uomini – Milano: siamo un piccolo gruppo di uomini che si incontra, in incontri di 2 ore a casa di uno dei partecipate, per condividere esperienze, tematiche di interesse comune, emozioni cui - per mille remore - è spesso difficile dar voce persino nei rapporti di affetto e amicizia. L’esperienza nasce avendo come punto di riferimento il “Cerchio degli uomini” di Torino. I nostri rapporti erano i più diversi: dalla partecipazione ad esperienze di questo tipo, ad amicizie profonde, a comuni esperienze di lavoro, fino ad una totale ‘non conoscenza’ reciproca. Gli incontri si sviluppano su un piano ‘paritario’, non vi è un ‘organizzatore’ che ne decida per tutti tempi e tematiche ed è appena accennata e discretissima la figura di un ‘conduttore’. L’attività si svolge quasi esclusivamente sul piano verbale ma non sono stati esclusi del tutto momenti di attività corporea. Le “regole” che esistono nello sviluppo del dialogo hanno lo scopo di creare un contesto il più possibile facilitante: la frequenza è ‘fissata’ ma non rigida; la presenza di ciascuno è totalmente libera; le regole da osservare con maggior cura sono il rispetto della riservatezza riguardo a quanto viene detto o a quanto accade nel gruppo e il ‘non giudicare’. Tutto ciò contribuisce a creare un’atmosfera in cui ci si sente a proprio agio e in cui fluisce un discorso significativo per ciascuno. La tematica è scelta in modo che tutti si sentano coinvolti personalmente; così il discorso non si sviluppa ad un livello puramente mentale, intellettuale o astratto. Un’attenzione non formale all’altro non è solo una norma di ‘bon  ton’ o di rispetto, ma fa parte del piacere di questa esperienza. L’atteggiamento di ascolto e di attenzione non è orientato ad un 'consiglio' all'altra persona (che non sarà rigidamente escluso o 'censurato'), ma non è mai posto come fine prioritario. L’atmosfera favorisce appunto il massimo della spontaneità e il  minimo dell’auto-censura, grazie anche e soprattutto alla sicurezza che non si verrà giudicati dicendo qualcosa di sè che ci imbarazza o non ci colloca al vertice dell’auto-stima. 

Identità e Differenza- Spinea (Venezia): "Identità e Differenza" nasce nel 1988. E’ formata da donne e uomini che formano una rete di relazioni, alcune molto forti, con aspetti anche di amicizia personale, altre centrate su un progetto politico e di ricerca, altre ancora di semplice conoscenza e di condivisione di alcune attività. Tutte però basate sulla pratica dello stare in relazione in maniera non strumentale, con nessun altro fine che la relazione stessa, luogo di comunicazione profonda e sincera.
Siamo un gruppo di donne e uomini. Tra noi giocano molte differenze. Quella fondamentale è che siamo, appunto, donne e uomini. Sembra ovvio, persino banale, ma nel linguaggio e nelle rappresentazioni che circolano normalmente questa differenza viene sottintesa, taciuta, cancellata. Noi invece vogliamo significarla e quindi cerchiamo ed usiamo parole che la esprimano”.

Smaschieramenti - Bologna: Smaschieramenti è nato da un’iniziativa di Antagonismogay. Il laboratorio vuole intrecciare sguardi sul maschile per sostenere l’emergere di posizioni di genere multiple, libere e consapevoli della loro parzialità, che non liquidino solo apparentemente i temi della violenza e della dissimmetria di potere tra uomini e donne e tra maggioranze e minoranze sessuali.
A partire dai corpi e dai piaceri, interpelliamo desideri, pratiche sessuali e identità – secolari o appena inventate, ma che agiscono già come stereotipi di normalizzazione.

5. Donne Coraggio. Intervista ad Enzo Mazzi a cura di Maria Caterina Cifatte
(in “Sensibilità Maschili” a cura di M.C. Cifatte. Ed Il Segno dei Gabrielli Editori 2008 – pp.75-80) 

Caro Enzo in un recentissimo tuo intervento sull’Unità, hai chiamato le donne che subiscono violenza o stupro e che denunciano con titolo di “donne coraggio”. Vorrei approfondire la tua riflessione perché mi pare molto significativa: dunque molte donne si danno coraggio e denunciano, ma di fronte al moltiplicarsi delle cattive notizie ci domandiamo: sono aumentate le violenze o sono aumentate le donne coraggio?
Le donne coraggio non piovono dal cielo. Nascono dalla fecondità della lotta e del sangue versato. Il loro innegabile moltiplicarsi è il frutto di una mutazione culturale profonda e complessa. Che risale agli albori della modernità. L’umanesimo rinascimentale ha aperto una prima fase, molto contraddittoria ma rivoluzionaria rispetto al comunitarismo medievale: quella del valore dell’individuo in sé. Nel De dignitate hominis di Pico della Mirandola (1491) c’è l’esaltazione della libertà umana, germe faustiano dell’uomo creatore di se stesso. “Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale – fa dire Pico al creatore – perché da te stesso, quasi libero e sovrano ti plasmassi e ti scoprissi nella forma che avresti prescelto”. 
Che c’entrano le donne? Nulla.
La rivoluzione dell’umanesimo era fatta da maschi per maschi, europei, borghesi. 
L’homo europeus che nasceva nel Quattrocento, armato della sua libertà, si apprestava a sterminare le streghe, gli indios e i neri, tutti e tre “non-persone”, forse privi perfino dell’anima. 
Sarà la resistenza tenace, sorda, anch’essa contraddittoria come lo sono tutte le lotte, delle donne massacrate a milioni fino a tre secoli fa in nome della modernità dimezzata, a trasformare la rivoluzione dell’umanesimo maschile in rivoluzione umanistica universale. Sarà così per tutte le rivoluzioni che hanno animato nei secoli la modernità. In ognuna di esse le donne, donne coraggio, si sono fatte strada a fatica e a quelle stesse hanno dato anima e profondità e completezza e futuro. E siamo all’oggi.

Eppure viviamo ancora in una società pervasa di tabù, oppure subiamo in modo incessante una visione e un messaggio si sessualità distorta: corpi femminili e maschili sempre più mercificati, ostentazione di simboli ed esaltazione dell’immagine. I sentimenti, la spiritualità, la sintonia psicologica e disica sono repressi. L’immagine della guerra e dei suoi strumenti, come simboli fallici, connessi alla violenza mi ha particolarmente colpita. Come si può vivere la propria sessualità liberandosi da queste deformazioni?
“Sessualità e guerra” è un tema affidato esclusivamente allo specialismo delle psicologia e quasi disatteso non solo dalla politica e dai media ma anche dal movimento pacifista. Tutto ciò che sta sotto alle evidenza politica-economica-morale non può essere ignorato dalle nostre analisi e soprattutto dalle nostre pratiche di non violenza attiva. I roghi dei maghi e delle streghe prima (ci risiamo!), l’illuminismo e l’economicismo poi, hanno annullato tutta una parte della nostra umanità e ci hanno consegnato una modernità dimezzata, la modernità del dominio esclusivo della mente e della razionalità, incapace di opporsi alla violenza nelle sue radici pre-razionali. Si continua a potar rami ma non si va mai alle radici profonde della violenza. E la cultura di guerra sguazza in questa nostra assenza.
Lo so che sono temi delicati. Capaci di creare contraddizioni e perfino forse conflitti all’interno del movimento. Ci vuole prudenza. Ma mettere il capo sotto la sabbia non è mai una buona scelta. Al Forum sociale Europeo del 2002 a Firenze diverse realtà del movimento proposero un seminario sulla violenza “nelle” religioni e non solo “delle” religioni, che fu partecipato da centinaia di persone anche molto giovani. Fummo profeti. Poco dopo nel 2004, le elezioni statunitensi riportarono alla ribalta il problema. Stupore generale. Il mondo laico di sinistra non si aspettava questo “ritorno di Dio” in chiave reazionaria , che “sta scombinando il nostro lessico e i nostri riferimenti” (Rossanda). 
A sua volta Lea Melandri scriveva (Il Manifesto 12.11.2004): “Oggi si scopre che l’inconscio collettivo, che negli USA (ma il rischio resta alto anche in Italia) si è espresso “democraticamente” nel voto di una maggioranza silenziosa, è reazionario. Non era poi così difficile da immaginare: tutto ciò che è stato sepolto nella zona più oscura della vita dei singoli, identificato con la natura o con la parola rivelata di un Dio, per potersi modificare ha bisogno innanzi tutto di essere riconosciuto, narrato e analizzato, restituito alla cultura e alla politica con cui è sempre stato in rapporto, sia pure un rapporto alienato, strumentale, distruttivo della politica stessa e delle sue conquiste democratiche. L’immensa esperienza negativa che si è accumulata nelle viscere della storia nel corso dell’ultimo secolo, come conseguenza del fatto che sono stati considerati condizione quasi esclusiva del cambiamento i rapporti di produzione, oggi esce allo scoperto attraverso la retorica populista delle destre occidentali. Ma, se non ne abbiamo paura e, soprattutto se non abbiamo fretta di cancellarla o imitarla, forse è l’occasione per dare finalmente cittadinanza a esperienze essenziali del vivere umano. […] E’ quasi incredibile che chi si batte per la giustizia sociale e per l’umanizzazione dei rapporti tra diversi (contro la guerra), non si renda conto che sottrarre all’insignificanza storica le pulsioni e le componenti più elementari della vita psichica è il passo indispensabile per non esserne pesantemente condizionati e ostacolati nello sforzo di costruire “un altro mondo possibile””.

Il sociologo Gaston Bouthoul, citato in Psicoanalisi della guerra da Franco Fornari, i quale considera le ricerche di Bouthoul come il tentativo più serio di impostare i problemi della guerra in modo scientifico, afferma che è pura illusione pensare che la guerra dipenda interamente dalla volontà cosciente degli uomini, mentre al contrario le motivazioni coscienti della guerra sono da ritenersi epifenomeni (Le guerre, Longanesi, 1961). La transizione dalla cultura di guerra alla cultura di pace perciò non può essere che un processo rivoluzionario. Deve investire tutti i campi del convivere, certamente quelli economici e politici ma non solo quelli: anche i sistemi simbolici e religiosi, il dominio del sacro e l’organizzazione della psiche. La cultura di guerra ce la portiamo dentro nella quotidianità a nostra insaputa. Provocatoriamente potremmo dire che ce la portiamo inconsapevolmente anche nelle manifestazioni contro la guerra . Per questo necessita anche di un lavoro su noi stessi, sul nostro profondo, oltre le frontiere delle consapevolezze e perfino oltre i limiti del sogno, ai confini dei grandi silenzi, silenzi nostri e soprattutto della gente umile, della gente da sempre repressa, incapace perfino di sognare, ai confini del silenzi di donne e uomini dove l’inconscio si apre all’ignoto. Ai confini di quel silenzio che in noi, come in un utero pregno, cova nascite di mondi nuovi. Sul crinale di quei silenzi che dotti e maestri ignorano per cieca fiducia nella loro rumorosa, onnipotente razionalità necrofila, razionalità senza mistero. La rivoluzione della pace necessita di un lavoro per far emergere e sanare traumi che la mente e tutto il corpo hanno patito perfino a loro insaputa e che si manifestano poi come blocco della speranza, spavento senza parola, vuoto dell’anima, per passare dalla perdita inconsapevole e dall’angoscia talvolta senza nome alla ricerca di senso e di speranza.
In un mio scritto pubblicato sull’Unità [La pace è donna] al quale ti riferisci nella tua prima domanda, dicevo: ” …in questo senso più generale, di avvicinamento alla cultura della nonviolenza, il coraggio femminile, l’emersione della cultura femminile, l’affermarsi della soggettività femminile in ogni ambito della società, sono la nostra principale risorsa. La pace è donna”. 
Le donne coraggio che trovano la forza di uscire allo scoperto e di denunciare la violenza non solo affermano in principio di diritto e di giustizia, ma contribuiscono a far crescere globalmente la cultura di pace.

6. Articoli di approfondimento [da La Repubbica] 

6a Lettera agli uomini che odiano le donne di Cristina Comencini – La Repubblica 23.12.2013
Una analisi del fenomeno della violenza e dei cambiamenti nel rapporto tra i generi

Noi donne occidentali siamo le prime madri libere dal destino della maternità: possiamo scegliere di essere donne senza figli. Nella madre antica, il primo anno di vita e quelli seguenti creavano nel bambino un'idea di donna che si prolungava nell'età adulta, in cui il destino della ragazza era quello di sposa e madre e quello dell'uomo di trovare la donna madre dei suoi figli. 
Non c'era rottura, contraddizione, tranne quella che derivava dall'infelicità e dal sacrificio insiti nel destino femminile. A noi, madri nuove, viene richiesto un doppio salto mortale: dobbiamo essere pronte allo stato fisico e mentale che permette lo sviluppo del bambino, ma restiamo donne libere, ambivalenti nel desiderio di vivere pienamente il rapporto esclusivo a due col bambino ma di non esiliarci dal lavoro lasciato. Nel passaggio di testimone dalla nuova madre  alla nuova figlia, la bambina ne osserva la vita: la libertà, il lavoro, la parità e comincia a cercare, a costruire la sua identità sulla nuova identità della madre. Il figlio maschio di questa nuova madre e la madre nuova di questo figlio affronteranno invece una relazione molto complessa: la sessualità, l'immaginazione, il desiderio, la sicurezza iniziano a formarsi in lui con la madre dedita dei primi mesi e dei primi anni, che si trasformerà poi davanti agli occhi intimiditi del ragazzino, in una donna forte, sicura di sé, piena di autorità, che va fuori nel mondo senza paura, concorre col padre, tiene testa agli uomini.
Questo figlio cresce con l'idea che l'uomo non è sempre simbolo di forza, che il padre non ha l'esclusività del ponte col mondo, che non può riferirsi a lui per ogni aspetto della sua virilità nascente. Il padre gli sembra a tratti impaurito e lui tenderà a difenderlo contro la madre, prendendo così le parti di se stesso, messe a dura prova dalla sicurezza materna. Il ragazzo vede fuori casa molte ragazze che somigliano alla madre nuova che ha scoperto crescendo e non sa assolutamente come dovrà affrontarle, amarle, farci l'amore, pensa che potrebbe prendere la scorciatoia e incontrarne una più fragile o tradizionale, che si faccia guidare e proteggere da lui. E qualche volta la trova, ma non sa che anche nella più tradizionale delle donne il germe dell'autonomia conquistato dalle nuove madri è fiorito all'insaputa della ragazza. Capiterà che la ragazza si senta incerta come lui, che odi la madre nuova, con tutta la sua sicurezza vincente. E allora specularmente al ragazzo in cerca di un passato impossibile, si fingerà sottomessa, materna, unica. Una felicità fragile che si fonda su una frase fondamentale: noi non ci lasceremo mai.
E poi un giorno, lei o lui dirà la frase proibita: ti lascio. Solo che se la pronuncerà lui, lei piangerà e scriverà sul diario e ne parlerà con le amiche come nell'Ottocento. Lui invece potrebbe pensare di ucciderla, come si uccideva in duello nell'Ottocento per una donna, o farlo come avrebbe voluto qualche volta sopprimere la madre che quest'epoca gli ha dato. La violenza sulle donne – si celebra oggi la giornata mondiale contro il femminicidio - è frutto di questo nuovo, non un retaggio dell'antico. Usa forme antiche ma è del tutto nuova e legata alla libertà delle donne, delle madri, alle loro contraddizioni, al mutamento troppo lento degli uomini, dei padri di fronte a questa nuova libertà. Eppure è negli uomini, nei padri, nella loro riflessione, nella ripresa del loro ruolo centrale accanto alle donne che siamo oggi, che io penso possa compiersi la rivoluzione che le donne hanno iniziato.
Le nuove donne devono continuare a essere differenti dagli uomini e fare valere in tutti i campi la ricchezza della loro storia, della loro intelligenza, dei loro pensieri, ma devono anche cambiare nel profondo e lasciare agli uomini la loro parte di responsabilità nel nuovo mondo. I ruoli dell'uno e dell'altra, rimanendo differenti, possono sovrapporsi e prendere l'uno dall'altra. E la madre può cedere la sovranità assoluta per una libertà conquistata che apre le porte di un mondo vasto, ricco della presenza di Due diversi ma pari. E penso che il padre possa insegnare la sua nuova forza al figlio: un dominio sovrano che deve trasformarsi nell'accoglimento della differenza delle donne, della loro parità. Può insegnare al figlio a non averne paura, a parlarne, sottraendo così il dialogo sui sentimenti all'impero delle donne. Forse la nuova forza degli uomini è fatta anche del pianto di Ulisse - uomo per eccellenza - che nell'isola dei Feaci ascolta il racconto della guerra di Troia e piange, coprendosi il viso col mantello purpureo, "come donna piange lo sposo che cadde davanti alla città". Forse l'uomo può piangere ora come uomo, senza coprirsi il viso, anche davanti al figlio, e aprirsi nel racconto all'altro da sé. E le donne al contrario possono diventare più lievi, manifestare la loro imperfezione, dare ai figli la manifestazione vera di quello che sono e la possibilità di tenere testa senza violenza alle giovani donne libere che incontreranno nella loro vita adulta. 
Abbiamo la fortuna di vivere uno dei cambiamenti più importanti della storia, il mutamento profondo del rapporto tra i due generi, questo mutamento può cambiare il mondo e in questo nuovo mondo le donne e gli uomini possono amarsi e comprendersi molto più di prima.


6b.- Stuprata dal branco nei bagni della scuola.”Gli amici mi minacciano, cambio istituto”. Savona, quattro arresti. La 16enne insultata via sms dopo la denuncia. La Repubblica 13 febbraio 2014 
Al di là del fatto di cronaca a cui è seguita la precisazione che la denuncia non è per stupro, ma per violenza sessuale (ci chiediamo che cosa possa cambiare, rispetto alla ragazza!) la cosa  che ci ha colpito è stata la reazione dei ragazzi convocati in caserma, così come viene riportata dall’inviato Massimo Calandri:
“Convocati in caserma, i ragazzi hanno risposto che sì, sapevano perché si trovavano lì. E lo avevano anche confessato in famiglia, cos’era accaduto nei giorni precedenti. “In loro c’è come una forma di pentimento- spiegano gli inquirenti- ma è legato al dispiacere provocato in casa: la vergogna per la sospensione dalla scuola, l’arresto, la consapevolezza di aver deluso i genitori. La violenza no, non l’hanno percepita. Continuano a ripetere che era solo uno scherzo. Un gioco. E si stupiscono che proprio non riusciamo a capire””.


6c - “No alle iniziative nelle scuole previste dalla legge contro gli stereotipi di genere. Identità sessuale, altolà dei vescovi”. di Maria Cristina Carratù. La Repubblica 13 febbraio 2014
“Ai vescovi non piace l’educazione di genere e mettono in guardia la scuola pubblica: l’identità sessuale non è un optional e di famiglie ce n’è una sola, quella naturale fondata su un uomo e una donna. E’ chiaro l’orientamento espresso nei giorni scorsi dalla Conferenza episcopale toscana, riunita all’eremo di Lecceto. Nel mirino il cosiddetto decreto “L’istruzione riparte” diventato legge (n. 128) l’8 novembre scorso e che all’art.16 (formazione del personale scolastico) punta ad un aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere. Previsioni già contenute nel decreto contro il femminicidio di agosto. La 128 non solo imposta anche specifici finanziamenti, ma ricorre ad una terminologia (come appunto “stereotipi di genere”) che ai vescovi suona come una minaccia alla concezione educativa cattolica. Da qui la denuncia, proprio mentre le scuole sono alle prese con i piani di offerta formativa. La Cet parla di “ preoccupazione per i tentativi di introdurre il tema della valorizzazione delle differenze di genere” nei percorsi formativi dei docenti e degli studenti, secondo modalità ispirate alla “teoria del gender” … e sottolinea una visione antropologica fondata sulla differenza e le complementarietà dei sessi…”


 Le curatrici del volume sono fondatrici della società LeNove, creata negli anni Ottanta come cooperativa di studi storici e sociologici da un collettivo di studiose femministe, che ha sviluppato nell’arco di un trentennio ricerche in ottica di genere in Italia, in Europa e nell’area del Maghreb.