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martedì 27 gennaio 2015

Islam e Occidente


Comunità dell’Isolotto – Firenze, domenica 25 gennaio 2015 e…

Islam e Occidente: quali occasioni di incontro per evitare la pericolosa contrapposizione tra i  fondamentalismi?

(riflessioni di Paola e Mario)

Letture:

Dal Vangelo di Matteo (5,38-46):
“Voi sapete che è stato detto: - Occhio per occhio, dente per dente-.  Ma io vi dico di non resistere al malvagio; anzi se uno ti percuote nella guancia destra, porgigli anche l’altra. Se uno vuol litigare con te, per toglierti la tunica, cedigli anche il mantello. E se uno ti forza a fare un miglio, va’ con  lui per altri due. Da’ a chi ti chiede, e non voltare le spalle a colui che desidera da te in prestito.
Voi sapete che fu detto :-Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico-.
Ma io vi dico: - Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa sorgere il suo sole sopra i cattivi e sopra i buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Perché se voi amate soltanto quelli che vi amano, quale premio meritate?
Dalla prima lettera di Pietro 2,15-17
 Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio. Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re.

Dai principi fondanti la Comunità di Medina

“Non ci sia costrizione  nella religione:”  ( Sura 2,257).
“Dì: la verità proviene dal vostro Signore, creda chi vuole, e chi non vuole neghi” (Sura 18,29).
“ Se il tuo Signore volesse, tutti coloro che sono sulla terra crederebbero. Sta a te costringerli ad essere credenti? (Sura 10,99).
[Versetti coranici trasmessi dall’Arcangelo Gabriele al Profeta Mohammad]

“Da parte del vostro Signore vi sono giunti appelli alla lungimiranza. Chi dunque vede chiaro lo fa a proprio vantaggio, chi resta cieco, lo fa a proprio danno” (Sura 6, 104).
“Quanto a me- dice  il profeta- non sono il vostro guardiano” .(Sura 6, 104).
“ Se dio volesse, non ci sarebbero più idolatri, ma noi -  dice Dio rivolgendosi al profeta  Mohammad- non ti abbiamo designato come loro custode” (Sura, 6, 107).
“Ammonisci dunque, ché tu altro non sei che un ammonitore, non hai su diloro nessuna autorità”. (Sura 88, 21-22).
“Chiama al sentiero del tuo Signore con saggezza e belle parole, e non discutere che nel modo più garbato”. (Sura 16, 125).




Introduzione.

La recente strage dei giornalisti della rivista satirica Charlie Hebdo a Parigi ha giustamente suscitato una campagna di opinione pubblica e numerose reazioni che hanno chiamato in causa alcuni valori fondanti la civiltà occidentale contemporanea quali “la libertà di espressione e pensiero” e hanno riproposto il tema dell’integralismo collegato alle confessioni religiose.
Gli spunti emersi in questi giorni grazie alla mobilitazione e alla reazione civile contro i gravi atti di terrorismo sono tantissimi e tutti molto importanti.
Tuttavia come membri di una comunità di base che si rifà all’alveo del cristianesimo ci è sembrato utile proporre in questo incontro comunitario alcune riflessioni e una proposta di percorso comunitario per le prossime settimane.
1.     Come è possibile che religioni che hanno a loro fondamento un messaggio d’amore siano state e siano ancora oggi utilizzate e travisate in chiave aggressiva e violenta?
2.     Come mai parliamo e ci ricordiamo delle religioni solo nei momenti in cui esse diventano fonte di ispirazione di comportamenti aggressivi e violenti mentre nella normalità non abbiamo il minimo rapporto di conoscenza e informazione verso di esse?
3.     Le drammatiche forme di violenza  giustificata in nome della fede, che così frequentemente ci si presenta davanti agli occhi quando apriamo la televisione  o la radio, sono davvero il frutto di fanatismi o integralismi religiosi, o invece e più in generale la conseguenza della perdita di significato di concetti come Vita/Morte che sembrano sempre più improntare la forma mentis degli uomini che vivono la realtà del villaggio globale dei nostri giorni?
4.     E in parallelo a questo non sarebbe il caso di interrogarsi come il terreno fecondo per ogni sorta di fanatismo e terrorismo anche di origine religiosa possa ampliarsi proprio in proporzione alla perdita progressiva di quei valori dell’umanesimo che da secoli sono stati il fondamento della civiltà occidentale?
I materiali che sono proposti per questa riflessione vogliono dare un primo contributo essenzialmente in due direzioni:
a.     Cominciamo a rimediare alla nostra cattiva conoscenza di ciò che viene indicato come  il “nemico” o “ la causa “ del male. Nel caso specifico l’Islam.

b.     per una vera cultura di coesistenza civile e fondata sul rispetto reciproco - più che sulla tolleranza - sull’accoglienza, occorre educare alla conoscenza vera delle cose.   Allora come non porsi con urgenza in una società che è ormai sempre più multietnica e multireligiosa due obbiettivi:           A. un ambito specifico e curriculare di storia delle religioni da inserire nella scuola pubblica prevedendo docenti opportunamente e specificamente formati.            B. la ripresa e lo sviluppo di momenti continui e intensi di confronto interreligioso.


Materiali e spunti per la riflessione 

Dall’intervista di Fabio Colagrande alla teologa musulmana Shahrzad Houshmand, docente alla Pontificia Università Gregoriana di Islam sciita nella facoltà (Radio Vaticana, 11 gennaio 2015)

R. – E’ chiaro che non si può in nessun campo giustificare un atto violento e l’uccisione di persone innocenti, questo è senz’altro condannato da tutti i capi religiosi, non solo islamici, perché qui non si tratta della violenza islamica ma è la violenza che ha colpito il cuore dell’uomo, in sé. Come diceva Ghandi: chi non è in pace con sé stesso è in guerra col mondo intero. Riprendo le parole anche di questo grande messaggero di pace che è Papa Francesco, che riprende, illumina, ci sveglia, ci scuote – come ripete sempre – da questa “globalizzazione dell’indifferenza” che alla fine è, anch’essa, la causa del malessere che viviamo oggi. Lui, infatti, ripete spesso di non generalizzare. Questo sarebbe un atto di grande ignoranza e un’altra violenza verso una grande fetta dell’umanità che comprende un miliardo e mezzo di persone. Quello che si sta un po’ facendo è questa generalizzazione che non sarà a favore di nessuno, non solo non a favore dei musulmani, ma nemmeno a favore dell’Occidente stesso, perché se non si usa con sapienza un atteggiamento accogliente, capace di un’analisi vera e profonda, questo non farà altro che causare altre forme di violenza. Io chiedo all’homo sapiens sapiens di oggi, che nonostante la sua sapienza ha messo in primo piano le fabbriche belliche e l’economia, di rivedere il messaggio profondo della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fratellanza. Se non approfondiamo questo terzo slogan – fratellanza – fin quando l’homo sapiens sapiens, che pensiamo di essere noi, non punterà su questo terzo punto, discrimina una fetta dell’umanità e non sceglie politiche sociali intelligenti per l’integrazione, per la dignità e per il rispetto, ma sceglie la generalizzazione, andremo a cadere in altre forme di violenze.
L’Islam, ma non solo, ha bisogno di riforma
D. – C’è chi dice che eventi tragici come quello di Parigi si ripeteranno fino a che non verranno
purificate le fonti di questa violenza che sono in alcune forme di cultura islamista…
R. – Ogni essere umano ha bisogno di riformarsi sempre. L’individuo ha bisogno di riformarsi, come le comunità, le società, anche le religioni. Tutti questi eventi ci portano a riflettere e rivedere alcune delle nostre posizioni. Questo vale anche per una fetta dei musulmani nel mondo che hanno una visione stretta dell’islam, soprattutto quelle scuole coraniche: lo Stato del Pakistan dice di non avere le risorse sufficienti per aumentare le scuole pubbliche e i privati – che non si sa da dove esattamente vengono – costruiscono queste scuole coraniche che danno una visione particolarissima del Corano. Allora, la riforma dovrebbe avvenire sicuramente nell’islam ma anche l’Europa ha bisogno di una riforma, di uscire da questo eurocentrismo profondo che non vede nelle altre culture nessuna positività, nessuna forma di democrazia, di benessere. Allora, questo atteggiamento dovrebbe essere reciproco. Abbiamo bisogno di riformarci a livello umano, di ripensare la fraternità e di medicare le ferite non con le bombe ma con l’istruzione, il dialogo e l’incontro. Infatti, leggo il paragrafo 253 della bellissima Esortazione “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco: “Per sostenere il dialogo con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni”. Dobbiamo riformarci tutti, veramente.


Ma Islam vuol dire pace

Il paradosso è che Islam viene dalla radice s-l-m che in arabo forma “salam” e in ebraico “shalom”, cioè pace. Esso quindi significa pace e rimanda alla pace del cuore e della mente che si ottiene quando ci si sottomette a quella verità ultima del mondo tradizionalmente detta Dio. Questo sottomettersi però non è da intendersi come cessazione della libertà, come la Soumission descritta da Michel Houellebecq nel suo nuovo romanzo e come a loro volta l’intendono gli integralismi islamici di ogni sorta, Is, Al Qaeda, Boko Haram, Hezbollah e affini. Si tratta piuttosto di sottomettersi nel senso di “mettersi sotto”, ripararsi, come quando piove forte e ci si rifugia dall’acquazzone. È la medesima disposizione esistenziale che porta i buddhisti a recitare ogni giorno “prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma, nel Sangha”, e che porta i cristiani a dire “Amen” cioè “è così, ci sto, mi affido” o a recitare Sub tuum praesidium. La sottomissione equivale alla custodia e al compimento della libertà del singolo che trova un porto a cui approdare e quindi una direzione verso cui navigare: è questo il fondamento originario alla base dell’Islam e di ogni altra religione…
Oggi però nella mente occidentale l’Islam è ben lontano dal venire associato a ciò a cui la sua radice rimanda. Evoca piuttosto il contrario, la guerra, la lotta, il terrore. Un duplice grande compito attende quindi ogni persona responsabile: prima capire, e poi far capire, che non è per nulla così. Ieri accompagnando mia figlia a scuola pensavo che in classe avrebbe trovato un compagno di fede musulmana e mi chiedevo con che occhi l’avrebbe guardato e con che occhi l’avrebbero guardato gli altri studenti. La disposizione dello sguardo dei figli dipende molto dallo sguardo e dalle parole degli adulti. Ma ora qualcuno provi a pensare di essere un musulmano quindicenne che ogni giorno si sente addosso sguardi diffidenti e rancorosi, e immagini che cosa finirebbe per pensare dell’occidente. 
Non sto per nulla dicendo che se c’è il terrorismo islamico è colpa nostra perché noi occidentali siamo malvagi e imperialisti, anche perché sono convinto del contrario, cioè che se c’è il terrorismo islamico è soprattutto per l’incapacità dell’Islam e delle sue guide spirituali di gestire l’incontro con la modernità, come più avanti argomenterò. Sto dicendo piuttosto che siccome il terrorismo islamico purtroppo c’è ed è in crescita nel cuore stesso dell’Europa, spetta a ognuno di noi decidere se trasformare ogni musulmano in un nemico e in un potenziale terrorista oppure no. E tutto procede da come parliamo dell’Islam e da come guardiamo i musulmani.
L’Islam è una grande tradizione spirituale con quattordici secoli di storia e con oltre un miliardo di fedeli. L’idea che a questa religione sia essenzialmente connaturata la violenza è profondamente sbagliata da un punto di vista teorico e soprattutto è tremendamente nociva da un punto di vista pratico, perché non fa che suscitare a sua volta violenza e da qui il gorgo che può finire per risucchiare irrimediabilmente la vita delle giovani generazioni. È vero che nel Corano vi sono pagine violente e che la storia islamica conosce episodi violenti, ma questo vale per ogni fenomeno umano. La Bibbia ha pagine di violenza inaudita e sia l’ebraismo sia il cristianesimo conoscono il fanatismo religioso e la violenza che ne promana. Lo stesso vale per l’hinduismo con l’ideologia detta hindutva. Persino il più mite buddhismo conosce oggi episodi di intolleranza in Sri Lanka e Myanmar.
Dando uno sguardo alla politica, che cosa abbiano prodotto la destra e la sinistra nel ‘900 è cosa nota: repressione dei diritti umani e milioni di vittime innocenti. Andando poi all’evento madre da cui è nata l’idea di laicità nella società europea, cioè la Rivoluzione francese, nei dieci anni della sua durata (1789-1799) si registra un numero di vittime variamente stimato dagli storici ma comunque enorme, visto che nei diciassette mesi del Terrore tra il 1793 e il 1794 si ebbero centomila vittime, una media di quasi 200 morti al giorno. E tutto questo nel nome di “liberté, égalité fraternité”, compresa, immagino, la libertà di stampa.
Noi non abbiamo nessun titolo per dare lezioni ai musulmani, se non uno solo: che siamo più vecchi e abbiamo più storia. Oggi buona parte dell’Islam, come l’Occidente cristiano nel passato, sta vivendo l’incontro con la secolarizzazione sentendosi aggredito, nel senso che i processi di laicità e di modernità risultano per esso come dei virus infettivi a cui reagisce attaccando e facendo così venir meno la tradizionale tolleranza che ha contraddistinto buona parte della sua storia.
Dalla Rivoluzione francese alla Seconda guerra mondiale, in un arco di oltre 150 anni, l’Occidente ha vissuto la sua influenza con febbri altissime, imparando alla fine a usare quel metodo della gestione della vita pubblica tra persone di diverso orientamento culturale e religioso che si chiama democrazia (per quanto ancora in modo molto imperfetto).
E noi questo dobbiamo fare: esportare democrazia. Non ovviamente nel senso criminale di George Bush e della sua guerra in Iraq (che ha molta responsabilità per la trappola in cui stiamo finendo), ma nel senso del rispetto delle idee e della vita altrui, da cui si produce quello sguardo amichevole che è il solo vero metodo per suscitare pace e lasciare una società migliore a chi verrà dopo di noi. Questo non significa che non bisogna essere determinati nella lotta contro i terroristi islamici, significa solo che occorre sempre saper distinguere l’organismo dalla malattia contratta. E in questa distinzione dovrà consistere la nostra lotta quotidiana a favore della pace del mondo. 
Vito Mancuso, la Repubblica 10 gennaio 2015


Considerazioni sul piano storico – da un contributo di Franco Cardini: Europa, “Occidente”, Islam: profilo storico e prospettive
DUE FONDAMENTALISMI DA SMASCHERARE
Esiste senza dubbio un "fondamentalismo" islamico: è ormai così che siamo abituati e definire - con un termine preso a prestito dal lessico delle sette cristiane statunitensi - l'atteggiamento di una quantità di gruppi e di scuole (peraltro differenti e sovente in conflitto tra loro), nati intorno agli Anni Venti e sviluppatisi soprattutto nei Sessanta-Settanta del XX secolo, alcuni dei quali postulano un'applicazione della normativa giuridica emergente dal Corano e dalla Tradizione (sunna) letteralmente accettati e senz'alcuna elaborazione esegetica, mentre altri sostengono di voler reinterpretare l'Islam nel suo complesso per ricondurlo alla purezza delle origini.
Atteggiamenti del genere, com'è noto, sono stati e in qualche misura sono propri anche di alcune sètte o Chiese cristiane che, dal medioevo alla Riforma fino ai giorni nostri, hanno proposto un impossibile "ritorno alle origini" della "Chiesa primitiva", quella "degli Apostoli". Nel mondo islamico, le pretese accampate da questi gruppi fondamentalisti possono in realtà, in qualche misura, rifarsi alle tesi di movimenti religioso-politici del passato (…).
Ma nell'insieme si tratta di istanze nuove, che ben si potrebbero qualificare come "moderniste": anche - e soprattutto - quando pretendono di rifarsi a un passato remoto. La loro nascita e il loro sviluppo di situano significativamente tra l'indomani della prima guerra mondiale e la sconfitta araba nella "Guerra dei Sei Giorni" del giugno 1967: dinanzi alla frustrazione profonda del mondo arabo-islamico e islamico ingenerale, che alla fine del Settecento aveva accolto con quasi unanime entusiasmo le proposte di modernizzazione che gli provenivano dall'Occidente ma che ormai si sentiva da esso ripetutamente ingannato, tradito e umiliato (inganni, tradimenti e umiliazioni che non erano affatto solo immaginari), nasceva quasi spontanea l'idea di tornare alla purezza della tradizione musulmana come unico rifugio e unica base per una nuova partenza spirituale, sociale e politica. Ma l'implausibilità delle tesi fondamentaliste -…- consiste tanto nell'impossibilità obiettiva d'un'applicazione letterale e normativa di Corano e di Tradizione come fondatrice d'una vera convivenza civile, quanto nell'arbitrarietà di tale strada mai proposta finora e quanto, infine, nel carattere non religioso bensì politico della tesi secondo cui il dovere principale del musulmano sia la lotta contro il "satana occidentale".
Questa tesi è una sorta di leninismo politico applicato alla fede, che sostituisce la lotta di classe con la lotta religioso-culturale: dovere del musulmano è, semplicemente, uniformarsi con intimo consenso alla volontà di Dio. Tale il significato della parola Islam, la radice della quale è la stessa della parola Salam ("pace"). Sarebbe bene non confondere quindi il sostantivo "Islam" e l'aggettivo "islamico" (o, meglio, "musulmano", che rispetta di più il termine originario), che indica il fedele dell'Islam, con i brutti neologismi "islamismo" e "islamista", che tuttavia potrebbero venir usati per indicare le idee e i sostenitori della sciagurata riduzione dell'Islam a ideologia politica. Una manovra, questa, che si autodefinisce antioccidentale: mentre al contrario - accettando proprio uno dei peggiori prodotti della cultura occidentale, l'ideologismo politico - denunzia proprio una perniciosa dipendenza dall'Occidente nei suoi aspetti meno positivi.
Esiste d'altronde, com'è noto, anche un "fondamentalismo" occidentalistico: figlio della caratteristica intolleranza illuminista, che usa com'è noto travestirsi da tolleranza ma che al contrario è profondamente convinta che il mondo delle democrazie liberali e del liberismo economico sia il migliore dei mondi possibili e l'unico, finale e necessario traguardo possibile di qualunque umana cultura.
Questo disprezzo per l' "Altro-da-sé", capace di tollerare culture differenti dalla sua solo nella misura in cui le ritiene fasi transitorie da percorrere per giungere alla "maturità" occidentale e che in ultima analisi non concepisce niente che nella breve o nella lunga durata possa sfuggire al suo Pensiero Unico e ai modi di vita e di produzione da esso proposti, sembra aver di recente guadagnato anche alcuni ambienti cattolici, magari d'origine "tradizionalista". .
Siamo dinanzi a un nuovo, inatteso totalitarismo. E difatti, ne ha i connotati. Annah Arendt sosteneva che il totalitarismo, in quanto tale, ha bisogna di un "nemico metafisico": ed ecco il "borghese" per il comunismo, l' "ebreo" per il nazismo.
[….]
Diciamo la verità. Siamo dinanzi al pericolo di un vero contagio intellettuale e massmediale, che potrebbe dar luogo a un nuovo fenomeno maccartista. D'altronde, l'immagine dell'Islam come "millenario avversario" del nostro Occidente ha largo corso in un mondo disinformato, dotato di scarsa e superficiale conoscenza della storia, abituato agli schemi scolastico-bignameschi, poco abituato a pensare per categorie religiose incline quindi a sottovalutarle e a considerare semplicisticamente i fenomeni che le riguardano, senza far le dovute distinzioni) e infine profondamente scosso dopo i tragici fatti dell'11 settembre del 2001.
Bisogna dire che questo errore di prospettiva, irresponsabilmente avallato da alcuni mass media e opinion makers, riceve purtroppo un'apparente conferma indiretta nel comportamento di alcuni ambienti musulmani, essi stessi molto poco informati sia della sostanza della loro fede, sia della -del resto molto complessa - realtà politica e culturale del nostro mondo, nel quale essi magari si trovano per esigenze di lavoro o di sopravvivenza, che credono di conoscere sufficientemente perché ne parlano un po' le lingue e ne guardano i programmi televisivi, ma che nel nucleo profondo sfugge loro tragicamente.
In questo modo, i fondamentalisti nostrani e quelli islamici, magari entrambi in buona fede, fanno entrambi il gioco degli agenti terroristi il fine dei quali è, appunto, tradurre in pratica l'infausta profezia di Samuel Hungtington e giungere allo scontro fra civiltà.
Esiste un antidoto? Sì: ma va assunto subito, e in massicce dosi, prima che sia troppo tardi. Non è verso il melting pot multiculturale che bisogna andare, bensì verso il salad bowl della convivenza entro uno stesso quadro pubblico e istituzionale, nel rispetto delle medesime leggi e nel mantenimento di quelle tradizioni proprie a ciascuna cultura che con tali leggi non siano in contrasto.
Bisogna moltiplicare - a cominciare dalle istituzioni, dai posti di lavoro, dalle scuole - le occasioni d'incontro, approfondire le nostre rispettive identità e al tempo stesso studiare e conoscere meglio e più da vicino quelle altrui. Io non credo nella tolleranza astratta: valore debole e retorico, che vacilla al primo soffiar del vento della retorica e del fanatismo, che crolla alla prima ingiusta violenza di cui si sia vittime o spettatori e che non si riesca a razionalizzare e ad analizzare nella sua struttura storica.
Io credo nell'incontro, nell'interesse e nella simpatia reciproci che ne nascono, nel confronto tra le tradizioni e le culture condotto nel rispetto reciproco e nel desiderio di rafforzare la propria identità attraverso l'accettazione di quel che è accettabile nelle culture altrui e l'arricchimento che ne deriva. A chi è più vicino un credente cattolico occidentale: a un ateo occidentale o a un ebreo o a un musulmano che condividono la sua fede nel Dio d'Abramo e nella Rivelazione, nel dialogo tra Dio e l'uomo? A chi è più vicino un euro-meridionale: a un arabo-mediterraneo o a un baltico?
Occidente e Islam: le sei fasi di un confronto storico.
Un primo nemico da battere è proprio il pregiudizio psuedostorico […] il presupposto di Hungtington è che quattordici secoli di storia dimostrano che fra Occidente e Islam la guerra è stata continua […]
..la storia, quella vera, insegna (…) che i lunghi secoli del confronto tra Europa e Islam furono certo caratterizzati da crociate e controcrociate, e non certo senza episodi violenti e sanguinosi; ma che la crociata non era affatto, non fu mai guerra "totale"; che in quei lunghi secoli - nei quali le guerre guerreggiate furono nel complesso endemiche, ma brevi e quasi sempre poco cruente - quel che di gran lunga prevalse fu il costante, continuo, profondo rapporto amichevole fra cristiani e musulmani nel teatro del mare Mediterraneo. Un'amicizia che si riscontra continua: a livello economico, diplomatico, culturale. A questo rapporto dobbiamo la rinascita dei commerci e della civiltà urbana dopo la stasi altomedievale; gli dobbiamo la nascita del sistema monetario e creditizio moderno; gli dobbiamo - grazie a uno stuolo d'instancabili traduttori arabi, ebrei e cristiani che lavoravano di comune accordo, soprattutto in Spagna - la stessa nascita scientifica e culturale della teologia, della filosofia, dell'astronomia, della fisica, della chimica, della medicina, della matematica, della tecnologia moderne.
Senza l'apporto dell'Islam - riciclatore della cultura ellenistica e divulgatore di quelle persiana, indiana e cinese altrimenti sconosciute all'Europa - non sarebbe mai nata la splendida Europa delle cattedrali e delle università, l'Europa dalla quale è scaturita quella stessa modernità di cui tanto andiamo fieri. Gloria e riconoscenza eterna, diciamolo da europei e da moderni, all'Islam di Avicenna, di Averroè, di Ibn Khaldun: senza i quali non avremmo avuto né Abelardo, né Tommaso d'Aquino, né Dante, né Machiavelli, né Galileo. Certo, l'Islam di oggi non è più quello di allora. Ma anche su ciò, bisogna intenderci. Europa e Islam hanno potuto trattare da pari a pari finché sono stati più o meno sullo stesso piano. Cerchiamo di distinguere i loro rapporti in sei specifiche fasi.
….[Si delineano le diverse fasi che hanno caratterizzato il rapporto tra Europa e Islam, e a proposito del periodo a noi più vicino si osserva:]
Dopo l'ondata della conquista dei secoli VII-X e quella della intermittente guerra turco-ottomana contro l'Europa,ecco quella che qualcuno chiama la "terza ondata" dell' immaginario assalto musulmano all'Europa. Quello degli extracomunitari e dei clandestini. Quello ancora privo di armi nel senso vero del termine, ma tuttavia "armato" di aggressività culturale e di vitalità demografica e sostenuto dalla propaganda fondamentalista che mina con l'immigrazione dall'interno quel "Satana occidentale" che vuol colpire con il terrorismo all'esterno.
E' un'interpretazione folle: che tuttavia è condivisa tanto da alcuni estremisti islamici ("islamisti", appunto, come si dovrebbero più propriamente chiamare: e nelle ragioni dei quali la religione ha ben poco posto) quanto da alcuni fanatici occidentalisti che hanno bisogno d'identificare nell'Islam il nuovo "nemico metafisico".
Diagnosi e possibili terapie
E' fondamentale gestire la sesta fase dei rapporti tra Occidente e Islam, nella quale attualmente ci troviamo, con saggezza e moderazione. Tagliando l'erba sotto i piedi alla velenosa campagna demagogica dei fondamentalisti islamici: vale a dire distinguendo nettamente gli ambienti, i filoni e i fini dei differenti ambienti musulmani; stringendo sempre più i rapporti con la stragrande maggioranza islamica che desidera articolare un rapporto di convivenza tra modernità e Islam; collaborando a risolvere alcuni problemi cruciali - come quello israeliano-palestinese […]

A commento della lettura della prima lettera di Pietro riportiamo l’omelia di Enzo Mazzi del maggio 1968, tratta dal libro “L’Isolotto: una comunità fra Vangelo e diritto canonico” di Sergio Gomiti, Edizioni il pozzo di Giacobbe, 2014:
 « “Comportatevi da uomini liberi, non come chi usa la libertà come una maschera per coprire la malizia, ma da servi di Dio”.
Queste parole di S. Pietro che abbiamo lette dalla sua prima lettera sono molto attuali.
La libertà è anche oggi la più grande aspirazione degli uomini e dei popoli. La libertà è una mèta e una causa per la quale merita veramente spendere tutto.
Ma il cammino verso la libertà, anche oggi come ai tempi di Pietro, è ostacolato dalla falsità.
L’Apostolo dice che bisogna stare attenti a non usare della libertà come  di una maschera per coprire la malizia.
C’è dunque un modo vero e uno falso di cercare, di difendere e di usare la libertà. E’ importante cercare la libertà in modo vero.
Prendiamo un esempio: l’affamato e il sazio.
L’affamato cerca disperatamente la libertà di sfamarsi; il sazio invece cerca la libertà di godersi in pace la propria sazietà, senza essere disturbato da nessuno.
Non è difficile capire che il primo è sincero nella sua ricerca di libertà, il secondo invece è falso, egli usa della libertà come di una maschera per coprire il proprio egoismo.
Oggi, nella società nella quale viviamo, si parla tanto di libertà. Sentiamo dire che la nostra società è una società libera e che dobbiamo difendere questa libertà.
Ma che libertà è la nostra: è vera libertà o libertà falsa?
Dobbiamo cercare di vederci chiaro, perché la libertà è una cosa molto importante. La lettera di S. Pietro ci invita a questo esame.
Prendiamo uno degli aspetti più fondamentali della libertà e che, in questo caso, ci riguarda in modo particolare: la libertà religiosa.
Si dice che nella nostra società vi è libertà religiosa. E’ vero questo?
Badate bene che quando si parla di libertà religiosa non si intende la possibilità di vivere o no la religione esteriormente, la facoltà di andare o no in chiesa, la possibilità di insegnare la religione nelle scuole, la possibilità di costruire chiese, ecc.
La libertà religiosa riguarda il più profondo dell’uomo e in particolare la possibilità di cercare la verità, la possibilità di pensare, di fare le proprie scelte religiose, di aderire al Vangelo e alla Chiesa in maniera personale, attiva, responsabile e creativa.
Questa è la vera libertà religiosa. Ma vi è da noi questa libertà religiosa?
Domandiamoci prima di tutto quale è la libertà dell’uomo comune, dell’operaio, della persona del popolo in ordine alla ricerca della verità… La persona del popolo, l’uomo comune deve solo affidarsi a chi ha il tempo, la possibilità e il compito di pensare e quindi di decidere.
Di fatto la gran massa della gente è considerata solo a livello delle sue possibilità di lavoro, di produzione. Si guarda come la massa può essere influenzata, guidata, magari anche contentata; ma le è tolta la possibilità di pensare e di decidere.
La stessa condizione del lavoro è tale che non c’è tempo di pensare e i pochi spazi che rimangono liberi sono riempiti spesso da cose che stordiscono e fanno dimenticare la realtà dei problemi.
La libertà più profonda dell’uomo scompare, e l’uomo come tale, cioè come persona che pensa e che decide, è ridotto a nulla…
Non vi sembra dunque che nel nostro sistema sociale la libertà religiosa si riduca davvero a poco più che un paravento?
La stessa struttura ecclesiastica è talmente inserita in questo sistema sociale che finisce per sostenerlo e per renderlo più oppressivo.
E’ doloroso vedere come gli uomini, per ognuno dei quali Cristo è morto e risorto, sono considerati, perfino dalla Chiesa, poco o nulla in quella che è la loro caratteristica fondamentale: la libertà, la loro libertà di pensare, di maturare e di decidere. Di fatto ciò che la Chiesa propone agli uomini, alla massa degli uomini, è un complesso di verità e di cose bell’e pensate, bell’e fatte… Il guaio è che fuori della Chiesa si trova subito un altro complesso di verità pronto ad accogliere e ad opprimere. Non vi sembra che anche nella nostra società la libertà religiosa sia un po’ una maschera, come dice S. Pietro?
Non vi sembra che sia importante aprire gli occhi su queste cose? Non vi sembra che valga la pena di impegnarsi a fondo perché la nostra società divenga più rispettosa della libertà delle persone e specialmente delle persone più umili?
Non ci nascondiamo che si tratta di un impegno assai difficile, duro e anche rischioso. Ci sembra però l’impegno più importante dei nostri tempi, perché l’aspirazione alla libertà è senz’altro la aspirazione più fortemente sentita dagli uomini e dai popoli».

Note:
-       bisogna tener presente che l'Islam è unico e unito nella sua comunità religiosa, l'umma: diviso però in una pluralità di culture, si stati, di scuole, di gruppi confraternali
-       passato coloniale – scelte sull’insediamento ebraico in Palestina

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